La Cerere della Romagna Toscana

Giuseppe Mengozzi (1841-1920), poeta originario di Rocca San Casciano, è un nome oggi poco noto ma che merita di essere riproposto al pubblico, poiché il suo poema La Cerere della Romagna Toscana del 1888 è un’opera monumentale, di rara erudizione e di grande virtuosismo tecnico.

Il titolo originale dell’opera è Thuscae Romandiolae Ceres. Carmen Georgicum. Il poema, infatti, è scritto in esametri latini, ma il Mengozzi gli ha affiancato una traduzione italiana in ottava rima. L’opera è costituita da una prefazione e da quattro canti, ognuno dedicato a una stagione dell’anno. Era l’epoca in cui anche il Pascoli si cimentava nella scrittura in versi latini, e l’opera del Mengozzi regge il confronto con quella dell’illustre conterraneo romagnolo. Mengozzi nell’introduzione dedicava il poema alla moglie amatissima e ricordava il prof. Bernardo Frediano Francesconi che era stato suo insegnante in un collegio a Lucca.

La Cerere descrive la vita agreste della Romagna Toscana, la zona collinare che dal XIV secolo agli anni ’20 del ‘900 ha fatto parte del territorio sotto la giurisdizione di Firenze. In particolare Mengozzi si riferisce al paese di Rocca San Casciano, che viene descritto in questi versi:

Divi Arx Casjani, princeps toto imperat agro.

Hic Themis ara, Satrapsque Itali moderaminis auctor,

Jura regunt populi. Magna et ditissima quondam

Urbs surrexisse hic fertur Saxatica, cujus,

Nomine nunc dempto, vestigia nulla supersunt.

“Di Rocca San Cascian l’antica Terra

Della Tosca Romagna a capo siede,

Ove di Temi il tempio a’ rei fa guerra,

E autorità governativa ha sede.

Quivi, se vecchia tradizion non erra,

Grande e ricca città sorse un dì in piede;

Sassatica fu detta, ma di questa,

Del nome in fuor, vestigio oggi non resta.”

Prefazione, ottava 5

Il poema ripercorre lo stile bucolico di Virgilio, che ovviamente faceva scuola nel genere, e si caratterizza come opera erudita, non esente da un certo andamento pedante e prolisso; ma in certi punti la poesia mengozziana si accende con impennate di efficace lirismo. Molto suggestive sono le descrizioni della bellezza selvatica del paesaggio collinare tosco-romagnolo, come in questo caso:

Nulla viatori facile tentanda patebat

Tunc via, sed tantum fallaces undique calles

Praebebant aditus, scopulis, altisque frequentes

Saepe voraginibus, per quos vix caprea posset

Ardua ferre pedes. Veteres sed cedere silvae

Paullatim dura victae didicere securi.

“Niuno del viator s’apriva ai passi

Facil sentier; sol vie scoscese e strette

Fra baratri profondi, e rupi, e sassi,

E orror di boschi, e dirupate vette,

E spumosi torrenti, e acuti massi,

Da sgomentar sin l’agili caprette;

Ma vinte dalla scure, a poco a poco

Le antiche selve alfin cessero il loco.”

Prefazione, ottava 10

Non mancano gustose descrizioni della vita famigliare nella casa contadina, come quella dedicata alla azdòra, il nome romagnolo della massaia:

Sed rectrix, veluti populos regina gubernat,

Una praeest domui vigilans, avibusque cohortis,

Ipsaque fert escas, ad tempus colligit ova,

Riteque matrici subdit traditque fovenda,

Ut nova pullorum surgant, spes optima lucri,

Agmina. At interea, sua jura domestica, claves

Dat rector; locat illa sagax linteamina capsis,

Mox tepidum stratura torum, mensamque modestam,

Lubrica quae insertis maculis lixivia tersit;

Tondet oves, mulgetque (immissa coagula lacte

Candida nempe dabunt jam casea, lanaque vestes),

Abstergit penetrale, cibumque accurat ineptum.

“Ma la massara, all’azienda interna

Qual regina presiede, ed il pollajo,

Cui nutrimento dà, vigil governa;

L’ova raccoglie, e al fine di Febbrajo

Ponle a covar; cucina e rigoverna,

Cura la biancheria, spazza il solajo,

Tesse, fila, cuce abiti e rammenda,

Tosa, munge, fa il cacio e la polenda.”

Prefazione, ottava 29

Il poema descrive i lavori agricoli, l’allevamento dei bachi da seta, le macchine trebbiatrici, che per l’epoca erano avveniristiche…

Un affresco insomma della civiltà contadina, talvolta edulcorato nella descrizione di idillici rapporti fra padroni e contadini, ma anche specchio di una società in cui gli stili di vita erano assai semplici e i rituali collettivi della vita di campagna stringevano le classi sociali in una fitta rete di rapporti personali:

Cum domino oh vere agricolae concordia felix!

Arvorum incrementa parit, mitescere mores

Posse rudes patitur, viresque istaurat agresti,

Qui videt in pretio campos et semet haberi.

“Oh! felice amistà, che in dolci nodi

Del cultor leghi e del signor le sorti,

Sì che l’opra dell’uno apprezzi e lodi

L’altro, e d’ajuto e premio lo conforti!

Tu del villano ingentilisci i modi,

Dirozzando i custumi; al culto apporti

Dei campi alto incremento, ed al dovere

Sproni, allettando, le silvestri schiere.”

Parte prima, ottava 7

Del resto Mengozzi stigmatizzava gli incipienti movimenti politici che minavano l’integrità della comunità organica preindustriale:

“Né setta empia abolir vorria del pare

Troni, leggi, e persin famiglia e altare.”

Parte quarta, ottava 98

Opera interessante, quella del Mengozzi, anche dal punto di vista linguistico, poiché testimonia diversi vocaboli romagnoli in forma italianizzata: “incriccare”, “trabussare”, “pacchiugo”, “scalmana”, “smignolare”, “barco”, “balzo”, e naturalmente l’immancabile “piada”, ovvero la piadina, sempre presente sulle tavole romagnole.

La descrizione della vita in campagna si sofferma, naturalmente, anche sugli aspetti che esulano dal lavoro: le fiere paesane, il tiro al bersaglio, le danze, le cerimonie religiose…

Ma nel poema del Mengozzi, autore coltissimo, si avvertono anche richiami più o meno espliciti alla grande letteratura: la “mammoletta gentil” ricorda la leopardiana “donzelletta”, la descrizione del treno riproduce quasi alla lettera il Lucifero di Mario Rapisardi, così come la descrizione della grandinata è ispirata a un sonetto di Edmondo De Amicis, e Pianto antico del Carducci sembra echeggiare nel ricordo della figlioletta del Mengozzi morta in tenera età:

“Ancor, tendendo i teneri braccini,

Scoppiare in rauci gridi, oh Dio! Ti ascolto,”

Parte quarta, ottava 39

Non mancano, poi, squarci di vita sociale che illustrano i grandi cambiamenti che stavano per irrompere nelle secolari abitudini del mondo contadino: esemplificativo è l’episodio dei giovani che tornano dal servizio militare dove hanno imparato a leggere e a scrivere, nonché a rapportarsi in modo nuovo con le istituzioni.

La Cerere della Romagna Toscana, l’ultimo dei grandi poemi bucolici latini, è quindi un’opera notevole per dimensioni, struttura e sapienza costruttiva. E a riprova delle notevoli qualità dell’autore e dei suoi rapporti coi grandi letterati del tempo il volume riporta, dopo il poema, quindici sonetti di Andrea Maffei tradotti in latino da Giuseppe Mengozzi.

* * *

Giuseppe Mengozzi, La Cerere della Romagna Toscana, Cappelli, Rocca San Casciano 1888, pp.323, ristampa anastatica 1988.

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Michele Fabbri ha scritto il libro di poesie Apocalisse 23 (Società Editrice Il Ponte Vecchio, 2003). Quella singolare raccolta di versi è stata ristampata più volte ed è stata tradotta in inglese, francese, spagnolo e portoghese. Dell’autore, tuttavia, si sono perse le tracce… www.michelefabbri.wordpress.com
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2 Responses

  1. Silvia Franceschi
    | Rispondi

    Articolo interessante, non conoscevo questo autore, mi piacerebbe sapere se esiste una sua biografia. I miei antenati erano di Rocca San Casciano, il bisnonno Rodolfo Ciani ( nato 1870 ) era figlio di Clorinda Mengozzi. Chissà se Clorinda poteva essere parente di Giuseppe Mengozzi? So che a Rocca esiste un palazzo Mengozzi. Se ha qualche notizia al riguardo la prego di mandarmela. Mille grazie!

  2. Michele Fabbri
    | Rispondi

    Gent.ma Silvia, le poche notizie biografiche su Mengozzi che ho riportato vengono dall’introduzione al volume citato. Per quanto riguarda il palazzo, potrebbe essere appartenuto alla famiglia del nostro autore, che era un possidente terriero; a Rocca è stata intitolata una via a Giuseppe Mengozzi. Tuttavia il cognome Mengozzi è molto diffuso in tutta la Romagna e in modo particolare a Rocca San Casciano. Eventuali ricerche genealogiche potrebbero essere condotte nell’archivio parrocchiale. Un altro articolo su questo autore si può leggere al seguente link:

    http://www.itempidellaterra.org/4/1.php

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