Killeraggio accademico

evolaIl convegno “L’eredità di Julius Evola”, svoltosi a Roma il 29 novembre e che vedeva come relatori tutti docenti universitari, ha dato lo spunto ad una lobby accademica per un regolamento di conti con i propri nemici interni. Cose che capitano anche nelle migliori famiglie culturali…

Per chi conosca la questione e sappia leggere tra le righe anche abbastanza esplicite dell’allarmato e allarmistico appello firmato da Francesco Cassata il 2 dicembre nel sito glistatigenerali.com è evidente a cosa si mira. Negli anni Settanta del XX secolo eravamo abituati ai collettivi studenteschi, ora nel anni Dieci del XXI secolo dobbiamo abituarci ai collettivi di docenti, ricercatori, associati, assegnisti e financo professori dei licei. Gli otto nomi che si trovano in calce al testo sono quasi tutti gravitanti intorno alla università di Torino e studiosi di storia delle religioni e del cristianesimo. Sono questi ultimi, appare evidente, che avendo ricevuto la notizia del convegno del 29 con i nomi dei relatori trasmessa ad un indirizzario della SISR e della ASER, ne hanno approfittato per cercare di far fuori coloro i quali nel loro ambiente non sono conformi e conformisti a certe regole del politicamente corretto in chiave di studi religiosi con una sorta di killeraggio accademico. E’ palese che abbiano così riunito la documentazione e affidato ad uno storico contemporaneista come Francesco Cassata, anch’esso formatosi all’ateneo torinese e in certi ambienti politico-culturali come l’Istituto Gobetti, di redigere l’appello e firmare il tutto in quanto conoscitore dell’opera e della figura di Julius Evola al quale ha dedicato dieci anni fa un corposo, documentato saggio, ma fazioso e zeppo di pregiudizi e illazioni.

E Cassata, da buon contemporaneista, ha scritto in sostanza una fantastoria gabellando che nel cosiddetto “ventennio berlusconiano” siano stati messi nelle cattedre italiane di storia delle religioni studiosi che non si ispirano allo “storicismo” e alla “epistemologia”, bensì alle “prospettive ermeneutico-fenomenologiche destrorse, irradiantisi dalla figura controversa di uno studioso pur importante e significativo come il romeno Mircea Eliade”, nei confronti delle quali prospettive in precedenza esistevano degli “anticorpi” mentre adesso, ahimé, assai meno. La fantastoria sta proprio nel pensare che sia stato grazie al berlusconismo che sia avvenuta la presa del potere o quasi da parte degli ermeneuto-fenomenologisti. Un “revanscismo” che sarebbe stato “promosso o tollerato dai governi di centro-destra”. Magari lo fosse stato! Purtroppo non è avvenuto nulla di tutto questo. Anzi è esattamente il contrario come dimostrano tante storie individuali di aspiranti docenti bocciati ai concorsi per motivazioni ideologiche sotto forma di riserve “scientifiche”, come è avvenuto quest’anno con gli scandalosi risultati che sono rimbalzati sulla stampa quotiana: il semplice fatto di occuparsi seriamente di autori considerati “di destra” venendo considerato un fatto negativo, quasi fosse una loro “apologia” o “riabilitazione”. In ciò negando alla radice il senso e la missione della “Università” che si dovrebbe occupare del sapere a 360 gradi, e non a 180 o 90 cone amerebbero le lobby accademiche di sinistra, diciamo meglio cattocomuniste come le ha definite Augusto Del Noce (torinese che le conosceva benissimo) che si nascondono ipocritamente dietro la Cosstituzione dove invece si parla di libertà di espressione senza condizioni. Negli anni scorsi il professor Gian Franco Lami della Università di Roma, morto improvvisamente poco tepo fa, venne bocciato al concorso per la docenza, come poi si venne a sapere, con la seguente motivazione messa a verbale: “Il Candidato, che in diverse pubblicazioni si è occupato di Evola, è ritenuto, per questo, dalla Commissione incaricata, inidoneo alla ricerca scientifico-accademica”. Altri, che scrissero prefazioni per i libri di Evola solo dopo la docenza, vennero accusati di averlo fatto, essendo evidentemente questa una “colpa”. Sono proprio le Commissioni nei concorsi di docenza che operano come filtro e barriera verso chi non si adegua e conforma per cercare di mantenere il potere culturale cattocomunista negli astenei italiani. Ecco la storia vera, altro che la fantastoria del Cassata. Il ricorso ad un titolo semi-goliardico che fa riferimento al “virus Evola” è la misura del testo in questione, e poiché non siano come lui ci guarderemo bene dallo scendere al suo livello parlando delle cazzate di Cassata.

Se questa è la democrazia che costui e gli altri illustri cattedratici, ricercatori, professori liceali rappresentano, ebbene se ne può fare a meno. L’oscurantismo della ricerca sta dalla loro parte. E’ inevitabile che l’Accademia italiana sia tra le peggiori del mondo e in crisi se si pone come compito urgente quello di porre steccati e creare tabù. E quanto accade, se ne facciano una ragione Cassata & Soci, non è causato dal berlusconismo ventennale, che poi è solo un decennio (a quelli che lo rappresentano di certi argomenti non poteva fregar di meno), ma semplicemente al trascorrere del tempo che inesorabilmente macina tutto quel che non è perenne. Gli anni passano, le idee e le persone anche. I tabù non sono eterni e gli argini franano. La verità emerge alla fine prepotente a onta delle prevaricazioni. L’inemerata dello storico contemporaneista a nome dei docenti di storia delle religioni e del cristianesimo autodefinitisi “storicisti” è solo un linciaggio contro gli odiati nemici che si vogliono mettere all’angolo con l’accusa di irrazionalisno antiscientifico, anti-epistemologia e di essere “responsabili di un tentativo di indottrinamento all’apprezzamento del paranormale, del sovrannaturale e persino delle ideologie di destra estremista”. Mentre il loro, che sbarrano la strada professionale a chi non la pensa come loro chissà come si deve definire.

Questa la chiave di lettura del papiello cassatiano al servizio di una lotta interna di potere fra accademici, ammantata da uno spolverio culturale: emerginare quei colleghi che non si conformano ai desiderata e alla prevaricazione intelettuale degli “storicisti” che si vedono togliere fette di potere. Non usando toni così tromboneschi potevano dirlo assai più chiaramente senza tanti falsi ideali. Il “caso Evola” è soltanto una scusa per fare le scarpe agli avversari accademici.

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Giornalista, vicedirettore della cultura per il giornale radio RAI, saggista ed esperto di letteratura fantastica, curatore di libri, collane editoriali, riviste, case editrici. E' stato per molti anni presidente, e successivamente segretario, della Fondazione Julius Evola.

2 Responses

  1. seroca
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    Una domana, ma se “Gian Franco Lami” era professore “della Università di Roma”, quindi docente (fonte: wikipedia), perchè avrebbe dovuto fare un concorso per la docenza?

  2. giuseppe casale
    | Rispondi

    Semplicemente, Lami concorreva per una progressione: i gradi accademici articolano i docenti in ordinari, associati e ricercatori. Di recente, nel mio piccolo, mi è stato riservato analogo trattamento (vedasi sito ASN del Miur per abilitazioni ad associato in Storia delle dottrine politiche, con tanto di giudizi pubblicati): come prevedevo, un commissario di nota fama gramsciana e “resistenziale” mi ha negato l’abilitazione inventandosi che sono stato attivo in un solo convegno, dedicato a Tommaso d’Aquino (di cui non mi sono mai occupato). In più, sul mio curriculum pubblicato, sono scomparsi gli altri convegni certificati cui ho partecipato. Infine, mi dà esplicitamente del cattolico tradizionalista come stigma sufficiente a bocciarmi. Divertente confrontare il giudizio degli altri commissari, che non tenendo conto del mio evidente passato di allievo di Lami, hanno espresso parere positivo all’abilitazione, apprezzando il numero di convegni cui ho partecipato e l’innovatività delle ricerche pubblicate. Evidentemente, l’egemonia culturale (intesa nella sua forma più banale e divulgativa) gramsciana ancora insegna tatticamente di contrastare con qualsiasi mezzo le velleità concorrenziali altrui: picchiare in testa, senza decoro né verecondia, laddove si abbia la facoltà di farlo, profittando della posizione di potere per servire l’idea (e la consorteria correlata). Cosa fare? Al momento, senz’altro, compatire la povertà intellettuale (oltre che morale) di tali espedienti ad excludendum.

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