Julius Evola e l’Oriente

Jean-Paul Lippi, Julius Evola, qui suis-je? Nella quarta di copertina l’autore di questo importante benché snello volume si definisce modestamente esperto di religioni classiche, orientali e medievali. In realtà Nuccio D’Anna è in Italia uno dei più eruditi e fini ermeneuti del complesso di codeste tradizioni nei loro sottili rapporti. Della dozzina di volumi usciti dalla sua agile penna menzioniamo solo Il gioco cosmico. Tempo ed eternità nell’antica Grecia (Rusconi, 1999), la cui ristampa aggiornata sta per uscire presso le Edizioni Mediterranee di Roma.

Julius Evola (1898-1974) non ha bisogno di presentazione: su di lui esiste ormai una bibliografia strabocchevole in varie lingue. Per orientarsi nella quale, ci piace rimandare alle voci redatte da uno dei massimi esperti non italiani, Hans Thomas Hakl, in due opere enciclopediche apparse all’inizio del 2005: il Dictionary of Gnosis & Western Esotericism (ed. W. J. Hanegraaff) e la Encyclopedia of Religion II ed. (ed. L. Jones, after M. Eliade, anche se quest’ultimo è espurgato dal frontespizio).

Nuccio d'Anna, Il divino nell'Ellade Lo studio di D’Anna colma peraltro una lacuna e si raccomanda (secondo il parere di esperti autorevoli come lo stesso Hakl e Gianfranco de Turris) come il più completo e profondo lavoro sull’argomento. Lo scrivente non è un conoscitore dell’opera di Evola alla quale qui si fa costante riferimento, Rivolta contro il mondo moderno (1934-1951-1998), che è anche il suo capolavoro, e anche scarsamente esperto della tradizione indiana (per motivi che ho spiegato altrove preferisco non utilizzare i termini Oriente e orientale). I rilievi che seguono quindi si limitano a inquadrare l’opera in rapporto al ruolo di Evola nella storiografia religiosa del Novecento. La prima cosa da rilevare è che Evola (piaccia o non piaccia, e a molti non piace), oltre a essere stato una mente filosoficamente innovatrice (vd. le voci di Franco Volpi nel Dizionario delle opere filosofiche, Milano 2000) ha svolto un ruolo rilevante come pioniere degli studi indologici, non solo in Italia (cfr. 65 e 155), naturalmente nel quadro della sua “particolare prospettiva spirituale”. Secondo, egli ha intessuto una rete di rapporti di reciproca stimolazione con alcuni tra i più importanti maestri degli studi religiosi in chiave tradizionale, e quindi la sua opera è di estrema importanza anche per valutare la ricezione di questi personaggi.

Evola è stato il primo in Italia, e per molto tempo l’unico, a valorizzare l’opera di Johann Jakob Bachofen (1815-1887), dopo la scomunica crociana. Cfr. 78-85, per un lucido quadro del confronto ermeneutico tra i due autori, 73 n. 94 per un tagliente giudizio critico sull’applicazione iranica delle categorie bachofeniane in salsa evoliana, 83 e 157 (per un acuto giudizio sulla incompatibilità – nonostante le apparenze – tra il pensatore gnostico di Basilea e lo storico delle religioni milanese Uberto Pestalozza). Con lo storico delle religioni e delle arti in chiave tradizionale A.K. Coomaraswamy (1877-1947), di cui l’A. è uno dei migliori conoscitori in Italia, Evola ebbe un rapporto estremamente fecondo, anche se sottaciuto (come era nello stile di Evola non meno che di Eliade): cfr. 76, 104, 168-69, con notazioni acute e originali.

Nuccio D'Anna, Il gioco cosmico. Tempo ed eternità nell'antica Grecia Che il barone sicialiano sia debitore a René Guénon (1886-1951) dei fondamenti stessi dell’idea di Tradizione e dell’approccio perennialista alle dottrine indù (come fu riconosciuto senza problemi dallo stesso Evola) non è certo una novità, ma va a merito dell’A. (al quale del resto già si doveva un’importante monografia su Guènon) l’aver messo in luce le concordanze e le discordanze tra i due dedicando a questo nodo essenziale un congruo numero di pagine (19-24). Importanti le connessioni stabilite con l’indologo e storico delle religioni tubinghese J.W. Hauer (1881-1962), le cui follie nella Deutsche Glaubensbewegung (da cui Evola prese sarcasticamente le distanze) e nella successiva non facile alleanza con il NSDAP di A. Hitler (imprescindibile al riguardo la equilibrata trattazione di H.Th. Hakl, Der verborgene Geist von ERANOS, Bretten 2001, 121-156, di cui è in allestimento la trad. italiana presso l’ed. Magi di Roma) non ne pregiudicano l’importanza come pioniere degli studi sullo Yoga e sugli asceti dell’India vedica in chiave storico-religiosa (R. Pettazzoni recensiva le sue opere su SMSR): cfr. 133 n.187 e 188 (con acute notazioni comparative).

Patricia Chiantera Stutte, Julius Evola. Dal dadaismo alla rivoluzione conservatrice (1919-1940) Non sorprenderà – ma è merito dell’A. l’averlo rilevato (p. 12) – che anche nei confronti dell’opera di Giuseppe Tucci (1894-1984), col quale egli intrattenne in una certa epoca stretti legami, egli mostri una notevole ritrosia. Non meno conflittuale nonostante la comunanza ideale il rapporto con un altro grande della Tradizione, lo svizzero Titus Burckhardt (1908-1984): cfr. 165-166. Singolare, ma a mio parere sostanzialmente appropriato, che l’A. non si soffermi sui rapporti con Mircea Eliade (1907-1986), un tema sul quale molto si è favoleggiato con cospicue dosi di ignoranza e malafede da parte di ben noti cacciatori di streghe (I. Strenski, C. Grottanelli, B. Lincoln, S. Wasserstrom). Il nodo dell’eredità perennialista e fascista (con grossolane, mistificanti confusioni tra il fascismo “realizzato” dei regimi mussoliniano e hitleriano e le ideologie mistico-utopistiche di un Evola e, mutatis mutandis di un Nae Ionescu e un Corneliu Codreanu) è invece estesamente trattato con qualche maggiore sottigliezza (l’autore, a differenza dei predetti, è indologo con varie esperienze sul campo) da un giovane esponente della scuola di Chicago, Hugh B. Urban, in Tantra. Sex, Secrecy, Politics and Power in the Study of Religion (Chicago 2003), 165-186. Nonostante le autorevoli malleverie esibite dall’Urban, egli dimostra di non aver capito nulla di Eliade (e, come si rileva dal resto della sua opera impregnata di pregiudizi e fanatismi, molto poco anche dell’India e del miraggio europeo dell’India): come si può sostenere, a Chicago con tali maestri (guru principale Wendy Doniger che nell’aprile 1986 stazionava davanti al letto di morte del Maestro) che Eliade, colui che per tre anni (dal 1928 al 1931) – e a vent’anni! – era vissuto in India impregnato di atmosfera, cultura e eros indiano (vd. Santier e La nuit bengali), producendo già nel 1936 (ma la prima redazione risale al 1930-32) un capolavoro come Yoga. Essai sur la mystique indienne, abbia ereditato “both Zimmer’s romantic vision of Tantric sensuality and Evola’ fascist notion of Tantric violence” (Urban, p. 136).

N. B. che L’uomo come potenza di Evola (1926: prima versione del saggio sul tantra del 1949: Lo yoga della potenza) non figura tra le opere italiane recensite o lette da Eliade prima del viaggio a Calcutta (i primi contatti con Evola risalgono al 1928, e nell’articolo di Cuvantul del 1927 non si menzionano l’opera sui tantra che l’autore inviò al collega nel 1930 quando era già in India: F. Turcanu, Mircea Eliade, Paris 2003, 91).

Per tornare al libro in oggetto, l’atteggiamento dell’A. è al tempo stesso simpatetico e critico: cfr. 9 (dove si giudica con severità la questione politico-razziale, emarginandola al tempo stesso con eleganza), 95, 155, 168 (dove non si risparmiano i giudizi critici in chiave storica). Netta è invece, e giustamente, la presa di distanza dagli approcci unilaterali e riduzionistici propri di certa saggistica politicamente impegnata, ma a senso unico (cfr. 159, con riferimento a F. Cassata).

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Nuccio D’Anna, Julius Evola e l’Oriente, Settimo Sigillo-Libreria Europa editrice Sas, Roma 2006.

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