Intellettualismo e Weltanschauung

Avendo parlato di intellettuali e di realismo, sarà bene precisare ancora un punto. Si è accennato al fatto che le simpatie di alcuni intellettuali pel comunismo hanno un certo carattere paradossale, in quanto il comunismo disprezza il tipo dell’intellettuale come tale, tipo che per esso appartiene, essenzialmente al mondo dell’odiata borghesia. Ora, un atteggiamento del genere può venire condiviso anche da chi appartenga al fronte opposto al comunismo, dato quel che nel mondo contemporaneo esse significano, ci si può opporre ad ogni sopravalutazione della cultura e dell’intellettualità. L’avere per esse quasi un culto, il definire con esse uno strato superiore, quasi una aristocrazia – l’ “aristocrazia del pensiero” che sarebbe quella vera, legittimamente soppiantante le forze precedenti di élite e di nobiltà – è un pregiudizio caratteristico dell’epoca borghese nei suoi settori umanistico-liberali. La verità è invece che siffatta cultura e intellettualità non sono che dei prodotti di dissociazione e di neutralizzazione rispetto ad una totalità. Pel fatto che ciò è stato avvertito, l’antintelletualismo ha avuto una parte di rilievo negli ultimi tempi, al titolo di una reazione quasi biologica la quale purtuttavia troppo spesso ha seguito direzioni sbagliate o, per lo meno, problematiche. Non ci soffermeremo però su quest’ultimo punto. Ne abbiamo già trattato in altra sede, parlando dell’equivoco dell’antirazionalismo (1). Qui vi è solo da mettere in rilievo che esiste un terzo possibile termine di riferimento di là sia da intellettualismo che da antintellettualismo, per un superamento della “cultura” d’intonazione borghese. Tale è la visione del mondo – in tedesco Weltanschauung. La visione del mondo non si basa sui libri, ma su una forma interiore e su una sensibilità aventi un carattere non acquisito ma innato.

Si tratta essenzialmente di una disposizione e di un atteggiamento, non già di teoria o di cultura, disposizione e atteggiamento che non concernano il solo dominio mentale ma investono anche quello del sentire e del volere, informano il carattere, si manifestano in reazioni aventi la stessa sicurezza dell’istinto, danno evidenza ad un dato significato dell’esistenza. Normalmente la visione del mondo, più che essere cosa individuale procede da una tradizione, è l’effetto organico delle forze a cui un dato tipo di civiltà dove la propria forma; in pari tempo, a parte subiect, essa si manifesta come una specie di “razza interna”, come una struttura esistenziale. In ogni civiltà diversa da quella moderna era appunto una “visione del mondo”, non una “cultura”, compenetrare gli strati più diversi della società. E ove cultura e pensiero concettuale furono presenti, essi non ebbero il primato; la funzione loro fu quella di semplici mezzi espressivi, di organi al servigio della visione del mondo. Non si riteneva che un “pensiero puro” dovesse rilevare la verità e fornire il senso alla esistenza; la parte del pensiero era invece, appunto, di chiarificare ciò che già si possedeva e che preesisteva come senso e evidenza diretta, prima di ogni speculazione i prodotti del pensiero avevano perciò solo un valore di simbolo, di segno indicatore – a tale riguardo l’espressione concettuale non avendo una carattere privilegiato rispetto ad altre possibili forme di espressione. Nelle precedenti civiltà queste erano costituite piuttosto da imagini evocatrici, da simboli in senso proprio, da miti. Oggi la cose possono andare altrimenti, data la crescente, ipertrofica cerebralizzazione dell’uomo occidentale. Importa tuttavia che non si scambi l’essenziale con l’accessorio, che i rapporti accennati siano riconosciuti e mantenuti, ossia che, ove “cultura”e “intellettualità” siano presenti, esse abbiano una parte soltanto strumentale ed espressiva rispetto a qualcosa di più profondo e organico che è appunto la visione del mondo. E la visione del mondo può esser più precisa in un uomo senza particolare istruzione che non in uno scrittore, nel soldato, nell’appartenente ad un ceppo aristocratico e nel contadino fedele alla terra che non nell’intellettuale borghese, nel “professore” o nel giornalista. Circa tutto questo, in Italia ci si trova, e non da oggi, in una posizione assai sfavorevole, perché chi fa il buono e il cattivo tempo, chi troneggia nella stampa, nella cultura accademica e nella critica,organizzando vere e proprie massonerie monopolizzatrici, è proprio il tipo deteriore dell’intellettuale, che nulla sa di ciò che è veramente spiritualità, interezza umana, pensiero conforme a saldi principi (2).

La “cultura” nel senso moderno cessa di essere un pericolo solo quando chi ne faccia uso possegga già una visione del mondo. Solo allora si sarà attivi rispetto ad essa: appunto perché allora si disporrà già di una forma interna come guida sicura quanto a ciò che può venire assimilato e ciò che invece deve essere respinto – più o meno come accade in tutti i processi differenziati di assimilazione organica. Tutto questo è abbastanza evidente non è stato sistematicamente disconosciuto dal pensiero liberale e individualistico; e fra i nefasti propri alla “libera cultura” messa alla portata di tutti e da tale pensiero propugnata, va scritto il fatto che per tal via molte menti prive della facoltà di discriminare secondo retto giudizio, molte menti non aventi già una loro forma, una loro “visione del mondo”, si trovano in uno stato di fondamentale inermità spirituale di fronte ad influssi di ogni genere. Questa situazione deleteria, vantata come una conquista e un progresso, procede da una premessa che è l’esatto opposto della verità: si presume cioè che, a differenza di quello delle epoche precedenti, dette “oscurantistiche”, l’uomo moderno sia l’uomo spiritualmente adulto, capace quindi di giudicare e di fare da sé (e la premessa stessa della “democrazia” moderna nella sua polemica contro ogni principio di autorità). Ciò è infatuazione pura: mai, come nell’epoca moderna, vi è stata una uguale quantità di uomini interiormente informi, uomini che per ciò stesso sono aperti ad ogni suggestione e ad ogni intossicazione ideologica, tanto da divenire succubi, spesso senza sospettarlo menomamente, delle correnti psichiche e delle manipolazioni proprie all’ambiente intellettuale, politico e sociale in cui vivono. Ma su ciò, lungo sarebbe il discorso. Questi cenni sulla “visione del mondo” vanno ad integrare i termini del problema trattato parlando del nuovo realismo, perché precisano il piano dove tale problema va posto e risolto, nel segno dell’antiborghesia, non potendovi essere nulla di peggio che una reazione intellettualistica contro l’intellettualismo. Se la nebbia si solleverà, apparirà chiaro che è la “visione del mondo” ciò che, di là da ogni “cultura”, deve unire o dividere tracciando invalicabili frontiere dell’anima, che anche in un movimento politico essa costituisce l’elemento primario, perché solo una visione del mondo ha un potere di cristallizzare un dato tipo umano e quindi di dare il tono specifico ad una data comunità.

Ora, sulla linea del comunismo vi sono stati casi nei quali qualcosa ha cominciato a penetrare fino ad una tale profondità. Non ha torto un uomo politico contemporaneo ha parlato di un mutamento interno e profondo che, manifestandosi quasi nei termini di una ossessione, si produce in coloro che aderiscono veramente al comunismo: essi ne sono mutati nel pensare, nell’agire. Secondo noi è bensì una alterazione o contaminazione fondamentale dell’essere umano: ma essa raggiunge, nei casi in quistione, il piano della realtà esistenziale, cosa che non succede affatto in coloro che reagiscono partendo da posizioni borghesi e intellettualistiche. La possibilità dell’azione rivoluzionario-conservatrice dipende essenzialmente dalla misura in cui negli stessi termini possa agire l’idea opposta, cioè l’idea tradizionale, aristocratica, antiproletaria – tanto da dar luogo a un nuovo realismo e da dar forma, agendo come una visione della vita, ad un tipo specifico di uomo antiborghese, quale sostanza cellulare di nuovo: élites; di là dalla crisi di ogni valore individualistico e irrealistico.

Note

1) Cfr. L’arco e la clava, cit., c.VII.

2) In relazione a ciò, sulla “stupidità intelligente” cfr. L’arco e la clava, c. XIV.

(Brani tratti dal cap. XI de Gli uomini e le rovine, intitolato Realismo – comunismo – antiborghesia).

Condividi:
Segui Julius Evola:
Ultimi messaggi

3 Responses

  1. Paganitas
    | Rispondi

    Ogni volta che leggo dei passi di Evola sono allibito dalla sua chiarezza di pensiero. La parte inziale del secondo paragrafo inoltre è a mio parere molto importante in quanto sottolinea l'esistenza di più Tradizioni a seconda della civiltà a cui si fa riferimento.

  2. frey
    | Rispondi

    El mas grande pensador italiano del siglo XX. Leanlo generaciones jovenes. Aristocracia y caracter. Milicia y Autoridad. Vida Romana

  3. enzo
    | Rispondi

    il recupero dell'immaginale, del simbolo, delle idee senza parole, mi sembra la miglior conferma della profondità dell'uomo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *