“Ineffabile nostalgia” di Cioran fra Codreanu e anelito metafisico

ineffabile nostalgiaIneffabile nostalgia, così si intitola il fitto epistolario dell’autore romeno, di recente uscita presso i tipi di Archinto, (E. Cioran, Ineffabile nostalgia, Lettere al fratello 1931 – 1985, euro 18,00). L’opera raccoglie un denso numero di lettere (237 per la precisione) scritte da Cioran al fratello nel lungo arco di tempo tra il 1913 e il 1985, lascito di Auriel – questo il nome del fratello – alla Biblioteca Astra di Sibiu e alla Biblioteca Academiei di Bucarest.

Gli argomenti del fitto carteggio sono tra i più disparati e vanno dalla militanza politica di Cioran e di Auriel nella Guardia di Ferro di Corneliu Zelea Codreanu, a divagazioni di carattere letterario (suggerimenti librari tra i due fratelli), sino a prosaici e scrupolosi consigli farmaceutici impartiti da Emil ai suoi, che rivelano l’animo profondamente umano, di un autore conosciuto dal grande pubblico più che altro per il suo orrore “gnostico” nei confronti della vita.

Il filo conduttore dell’opera è la nostalgia, l’ineffabile nostalgia appunto, nostalgia di Cioran per la terra natia precocemente abbandonata per trasferirsi a Parigi, e nostalgia di quella innocenza irrimediabilmente perduta a causa della conoscenza, che ha fatto di lui uno sradicato, un “apolide metafisico”. Eloquente a tal proposito quanto afferma in una lettera: «Gli studi non servono a nulla. Il liceo è tempo perso. È più importante imparare un mestiere che avere un diploma». Stessa cosa dirà dell’impegno politico, quando avrà a rinnegare l’opera giovanile “La trasfigurazione della Romania” scritta in onore del Capitano Codreanu, del resto: «Qualunque partecipazione ai tumulti temporali è tempo perso e vana dissipazione».

L’animo disilluso di Cioran solo alla poesia, alla metafisica e alla mistica riconosce valore. Un po’ come quel professore di lingue morte, citato in un aforisma da Longanesi, che si uccise per poterle parlare, Cioran, lontano dal suo tempo e da ogni realtà “storica”, sarà perciò condannato ad essere un «persuasore di suicidio», proprio lui che dovette testimoniare nella sua vita il suicidio della sorella e del nipote, e che in questa circostanza disse di sé di essere a differenza dei suoi congiunti uno «scroccone del suicidio», in quanto capace solo di teorizzarlo, giammai di metterlo in pratica.

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