Lo abbiamo sostenuto più volte: l’iter speculativo di Massimo Donà, uno dei più originali (in ascolto dell’origine) filosofi contemporanei, è complesso ed articolato. Nonostante ciò, in tutte le sue opere è facilmente individuabile un nucleo teoretico definito, attorno al quale, con collaudata maestria, egli costruisce un percorso ermeneutico concretamente propositivo. Ciò è rilevabile anche dalla lettura della sua ultima fatica, In Principio. Philosophia sive Theologia: meditazioni teologiche e trinitarie, da poco nelle librerie per Mimesis (per ordini: 02/24861657, mimesis@mimesisedizioni.it, euro 26,00). Si tratta di una silloge di scritti di carattere teologico, alcuni editi (ampliati e rivisti) altri inediti, in cui l’autore entra nel corpo vivo delle questioni inerenti Dio e la dottrina trinitaria. Il volume risulta così diviso nelle due sezione dei Saggi teologici e dei Saggi trinitari. Per esplicita ammissione, colloquiante d’eccezione delle pagine in questione è il teologo Piero Coda.
Non tema il lettore di essersi imbattuto in un libro “difficile” o illeggibile. Anche i non addetti ai lavori, infatti, possano avere accesso alle argomentazioni di Donà, che riesce a farsi seguire grazie alla perizia didattica e al ritmo coinvolgente della prosa. Per ragioni di spazio, siamo costretti a discutere solo alcune, quelle che riteniamo più significative, tra le tesi del pensatore veneziano. Innanzitutto, egli muove dal rilevare una differenza sostanziale che divide la concezione greco-classica del divino, da quella scaturita dal monoteismo ebraico-cristiano. Il Dio di Abramo “sceglie il proprio popolo e si fa uomo-rivelandosi nella storia; un Dio che agli umani destina la terra” (p. 58). La religione olimpica, a partire da Senofane, avrebbe pensato il divino come unica realtà. Il che ci permette di cogliere la contiguità, fin dagli esordi del pensiero occidentale, di filosofia e teologia. Aristotele condurrà alle estreme conseguenze quanto asserito da Senofane, proponendoci un Dio, motore immobile da nulla mosso, sempre identico a sé, che governa un cosmo-macchina. In termini hegeliani, chiosa Donà, tale Dio è solo apparentemente libero, in quanto sua legge è l’altro, il mosso, con cui è in relazione e da cui è “condizionato”. Solo il Dio dei monoteismi è libero, conosce, infatti, la libertà di non far essere l’esistente. Un Dio “solo” che ama, odia, partecipa commovendosi dell’esistente.
In Dio: “l’esistente trova[…]la propria condizione di possibilità, in quanto esistenza incessantemente sospesa alla sua (di Dio) assoluta libertà “ (p. 62). La realtà non è più ridotta alla dimensione di macchina. La fede nel cosmo-macchina, rileva Donà, “non poteva che condurre all’assolutizzazione del divenire[…] è proprio l’ontologia nietzschiana a rappresentare l’estrema rigorizzazione del cosmo galileiano” (p. 64). Per cui, il nostro autore, legge il Cristianesimo quale discrimine ed alternativa nei confronti del Moderno. E’ nella modernità che il nichilismo dispiegato mostra le “sue ragioni”. Il tema è affrontato dal filosofo nel saggio chiave del libro, Nulla, Fede e filosofia. Nelle sue pagine, Donà sostiene che in Occidente la domanda fondamentale: “Perché l’essere e non il nulla?”, ha avuto risposte diverse, ma centrate sul medesimo presupposto: il principio di non contraddizione. Da Parmenide ad Aristotele, fino ad Emanuele Severino, essere e nulla sono stati pensati in modo relazionale, “in un rapporto di alternativa secca” (p. 199). Non solo i sistemi filosofici, ma anche il senso comune contemporaneo, vivono nella certezza che “l’essere venga dal nulla e torni nel nulla” (p. 199).
Tale posizione è all’origine del nichilismo. E’ quindi necessario ipotizzare per Donà che le cose non “sono mai appartenute ad un orizzonte monolitico fatto solo di essere” (p. 201). A tale affermazione il filosofo è indotto dalla testimonianza di Andrea Emo e dal suo Cristianesimo paradossale, del Dio negativo. Il nulla sottomesso al principio d’identità finisce per indicare un altro essere, è un nulla ontologizzato. Come liberarsi? Per farlo è necessario comprendere che la struttura confutatoria messa in Atto da Aristotele nel IV libro della Metafisica, nei confronti dei negatori dell’identità, cela un inganno. Lo Stagirita così argomenta: chi nega l’identità si distingue e per ciò stesso, finisce paradossalmente per affermare ciò che nega. Qui il grande greco non prende in considerazione, rileva il pensatore veneziano, coloro che ambiscono realmente sostenere “qualcosa di diverso da quanto affermato dal sostenitore del principio medesimo” (p. 209). Infatti, chiunque fosse animato da tale intenzione non parlerebbe, si sottrarrebbe al logos, alle sue leggi e si “degraderebbe” al livello del regno vegetale, delle piante. Aristotele sa che vero negatore dell’identità è solo chi si mostri atto ad assumere il volto della physis. Essa dice l’identità di tutto, anche dell’essere e del nulla. Per Donà è esattamente la concezione cristiana della creazione da (l) nulla che porta alla luce il non-essente in quanto tale “quello che in ogni cosa è forse originariamente custodito” (p. 216). Il filosofo sposa qui la definizione paolina di Dio “colui che dà la vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che non sono” (p. 215).
Quando Adamo mangia i frutti dell’albero della conoscenza, utilizza le strutture del logos, pecca: dimentica, infatti, che quell’albero era, in illo tempore, legato a quello della vita. Da ciò la gratuità del principio, il suo differenziarsi sia dal logos che dall’azione. Del resto “il farsi da sempre essente da parte del nulla comporta che neppure l’essere sia mai realmente distinto dal nulla” (p. 93). La risposta di Donà fa proprie le intuizioni di straordinari esegeti del nulla. Certamente è in sintonia con il neoplatonismo dell’aristotelico Maimonide, che si chiese come dalla semplicità di Dio potesse discendere la complessità molteplice del mondo, rispondendosi che “il molteplice di cui è fatta la complessità del mondo non può che venire da nulla” (p. 79). Il filosofo veneto individua anche una linea italiana assai rilevante nella esegesi trinitaria, il cui momento apicale va colto in Antonio Rosmini. Questi comprese, tra i pochi, nella sua critica del pensiero “unitarista” che va da Plotino ad Hegel, che in termini filosofico-teologici la negazione della Trinità comporterebbe aporie insuperabili nell’ambito ontologico.
Un libro essenziale, In principio. Riteniamo che il “Dio negativo” abbia avuto una primogenitura in Dioniso, nella cui potestas era presente l’intuizione dell’identità di essere e di nulla, oltre che quell’idea di eternità cosmica che si riaffaccia, paradossalmente, nell’idea di creazione “da nulla” di Maimonide. Dioniso, dio della vegetazione, della natura. Crediamo, pertanto, che il senso del volume di Donà sia magistralmente chiarito da questo bellissimo aforisma di Andrea Emo “L’albero come sacra immobilità di una vita fremente; vitale passaggio dalle profondità della terra alle profondità della luce…una vita solenne…che non ha bisogno di alcuna sopraffazione di altre vite per vivere…immagine di interna felicità e libertà pur essendo radicata al suolo”. (Quaderni di metafisica, p. 315).
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