«Il Fatvm inerisce agli Dei, Fata Devm, in special modo il Principio del Fatvm è in Ivppiter, è dunque Fata Iovis, ciò che è stato “detto” in divinis sovratemporalmente, per sempre. Il Fatvm ha un carattere eterno, perciò nella sua essenza è immutabile e fisso. Nel Fatvm il Dio esprime l’ordine razionale immutabile del disegno divino, nulla può modificarlo, nemmeno gli Dei che ad esso si subordinano. Perciò ogni evento che si svolge nella successione della temporalità è già preordinato e lo sviluppo futuro degli eventi già prefissato, regolato ad un certo fine».
(L.M.A. Viola, Fatvm, in Satvrnia Regna n.54)
In divinis, scrive Viola, vi è sovratemporalità e quindi eternità. Epperò, sottolinea, il disegno divino viene espresso nel Fatvm secondo un ordine razionale. È in tal senso, a nostro avviso, che debba essere interpretata, nella sua essenza, la famosa affermazione hegeliana «Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale». Razionale finanche in potenza, nell’Essere stesso, ove il razionale è ancora atemporale, puro Essere, che diviene ente razionalmente definito nella temporalità.
La Tradizione, se con essa intendiamo l’eterna verità sempre presente e vivente, nell’Essere, è atemporale o sovratemporale. È nel momento in cui viene espressa umanamente, nello spazio-tempo, che essa si in-forma di tempo, divenendo Idea noetica che può essere affermata razionalmente e divenire, infine, atto.
L’idea di un tempo eterno venne espressa, in modo esplicito, già da Platone: «Il tempo dunque fu fatto insieme col cielo, affinché, generati insieme, anche insieme si dissolvano, se mai a loro avvenga alcuna dissoluzione; e fu fatto secondo il modello dell’eterna natura, affinché le sia simile quanto più possa. Perché il modello esiste per tutta l’eternità, e il cielo per tutto il tempo sino alla fine è esistito, esiste ed esisterà» (1).
Hegel, come ci ricorda Giorgio Locchi, fu il primo nella filosofia tedesca dell’Ottocento a fare cenno di un tempo non lineare, di tipo tridimensionale (2). Scrive Locchi: «Nella filosofia tedesca, il primo riferimento esplicito ad una «tridimensionalità» del tempo si trova nella Filosofia della Natura di Hegel, il quale per l’appunto vi parla delle «tre dimensioni del tempo, che sono il passato, il presente ed il futuro». Per Hegel – va sottolineato – la tridimensionalità del tempo non è data che nella coscienza umana e per la coscienza: «Nella natura – egli spiega – dove il tempo è sempre Adesso (Jetzt), non si perviene mai a costantemente distinguere queste [tre] dimensioni. Esse non sono necessarie che nella rappresentazione soggettiva, nella memoria e nella paura oppure nella speranza»» (3).
L’Adesso (Jetzt) in cui si trova sempre la natura è, in senso lato, il medesimo tempo del Reale nel suo complesso, di tutto l’Essere, ossia un tempo eterno ma relativo allo spazio-tempo naturale; è l’umano, nell’atto di separarsi dal Reale, nel processo di somatizzazione del proprio pensiero, che inizia a vivere la temporalità lineare anche dentro di sé, e non solo nell’osservazione degli eventi esteriori (4). Questa concezione del tempo lineare, con il cristianesimo, assume una specifica forma «segmentaria» (Locchi, cit.), terminante con il Giudizio Finale e l’instaurazione di un Regno dei Cieli. Ma l’Io deve superare anche il pensiero del tempo ciclico, nella sua psyché, il pensiero cioè di un tempo perpetuo o perenne, che è pur sempre un tempo cosmologico, tradizionalmente riferito alle precessione degli equinozi. Ben diverso il concetto di tempo sferico o tridimensionale che, in questo contesto, riteniamo presentare come il Tempo della Tradizione vivente (5).
Scrive Locchi: «L’immagine della sfera (6), la cui virtù consiste nell’offrire una rappresentazione della tridimensionalità del tempo, è evidentemente analogica; essa ci fa vedere come, nella «sfera» temporale che è il Presente, passato, attualità e futuro press’a poco corrispondono a quel che, in un volume spaziale, sono profondità, larghezza e altezza. Essa anche permette di comprendere che al presente puntiforme (7) del tempo lineare, corrisponde – nel tempo tridimensionale – la linea curva della attualità, così chiamata a scanso d’ogni equivoco. Il presente del tempo tridimensionale è invece per l’appunto sferico (8) ed ogni presente è totalità del divenire data secondo la prospettiva che offre uno ed uno soltanto degli infiniti centri del divenire storico. Evidentemente questa «sfera» altro non rappresenta che un tempo «geometrizzato», arbitrariamente astratto dal contesto spazio-temporale della realtà. […] La difficoltà maggiore, nel discorso sull’Eterno Ritorno (9), scaturisce non tanto dalla tridimensionalità del tempo della storia (della quale è sempre possibile parlare prendendo a prestito la terminologia «spaziale») quanto dall’inevitabile, seppure implicito, riferimento alla quadridimensionalità della realtà storica, nella quale la relazione spazio-tempo è per così dire rovesciata rispetto alla realtà macrofisica. Il fatto storico – ciò che finora non è stato mai ben compreso – s’iscrive in uno spaziotempo diverso da quello in cui si iscrive l’evento macrofisico. In quest’ultimo caso abbiamo un cronotopo (10) a spazio tridimensionale e tempo unidimensionale; nel primo caso, un topocrono a tempo tridimensionale e spazio unidimensionale» (11).
Il concetto del tempo tridimensionale, eterno, viene espresso da Viola in modo non dissimile: «L’eternità deve contenere in modo indiviso e principiale ciò che nel tempo sarà diviso e sviluppato, ossia tre potenze: l’una che conduce il moto temporale alla sua perfezione, il passato, dýnamis telesiourgós; la seconda che dona agli enti l’unità,
la coesione, la conservazione, il presente, synektikē kaì phrourētikē; l’ultima manifesta ciò che è occulto nella divinità, regola sotto forma di periodi i numeri che contiene, è il futuro, ekphantorikē. L’eternità contiene le tre potenze in un modo del tutto unificato» (12). E ancora: «L’eternità include essenzialmente la triplicità temporale in un’unità trascendente, essa è oltre l’era, l’è e il sarà, nel sempre, è il fondamento sempre dell’è, la pienezza che non è venuta né va, l’è che non è venuto né andato, l’è detemporalizzato, è il fondamento di ciò che è, l’è per il tempo, la totalità dell’È senza era e sarà» (13).
È chiaro che una tale definizione “sovratemporale” del tempo è possibile solo all’interno di una visione monistica del Reale, laddove quindi non vi sia separazione alcuna, nell’essenza, tra Essere, ente ed atto.
Tempo lineare e tempo ciclico sono entrambi tempi cosmologici, non metafisici. Tuttavia, il tempo cosmologico, secondo una visione metafisica, è un tempo kairologico e simbolico, tempo che solo la ciclicità, all’interno di uno spazio-tempo, può esprimere: la linearità temporale, puntiforme, mancando di riferimenti precisi attuali, atti a divenire simbolo continuo, identificabile nel tempo, di una data Idea metafisica. Il tempo ciclico, nel suo ripetersi, è cioè simbolico del tempo eterno in quanto ricollegabile, riattuandolo in cicli successivi, ad un tempo passato o futuro, ad un tempo cioè che superi la linearità temporale, in cui passato, presente e futuro sono separati in momenti puntiformi, unici e non riattuabili.
Il tempo tradizionale è circolare in senso storico e fenomenico, e può simbolicamente essere interpretato secondo una visione del tempo kairologico; ma il tempo tradizionale in senso stretto, come tempo metafisico, è un tempo astorico, che può essere assimilato alla concezione del tempo sferico nietzschano, secondo l’interpretazione di Locchi. E, tuttavia, può essere vissuto dall’Io umano come tempo della storia, nel suo divenire fenomenico, qualora egli sappia percepirlo intellettualmente e, ove necessario, dedurne razionalmente le Idee implicite.
Questa concezione del Tempo dell’Essere, o tempo sferico, per quanto eterna, è una realizzazione piuttosto recente, razionalmente parlando, del pensiero umano (14): «…fino a Wagner e Nietzsche, tutti i Weltbilder (15) dell’umanità sono stati sempre lineari, strutturati da una concezione unidimensionale del tempo. La concezione cristianoegalitaristica del tempo della storia – già vi è stato fatto cenno – è segmentaria; quella del paganesimo antico è ciclica; ma ciclo e segmento sono ambedue unidimensionali, lineari (16). La concezione tridimensionale del tempo è assolutamente nuova, invece, sicché il linguaggio di cui disponiamo ne può parlare soltanto facendo ricorso all’analogia con lo spazio macrofisico tridimensionale, ricorso che, se si vuole, può essere considerato «poetico»» (17).
Questo approccio «poetico», a cui Locchi fa riferimento, è un punto cruciale. Le molteplici interpretazioni di pensatori quali Hegel, Nietzsche ed Heidegger, infatti, sono essenzialmente dovute proprio al linguaggio simbolico, mitico o poetico da essi talvolta utilizzato, che in sintesi corrisponde, a nostro avviso, ad una ars pulchrae cogitandi baumgartiana. E che, per essere interpretato, richiede un certo senso “estetico” dell’interprete, che sappia andare oltre alla logica e letteralità del testo. Un’intuizione puntuale, contingente ma pur sempre intellettuale e metafisica, un
aisthêtikos Noûs che è altresì atto fondante di un reale sovrumanismo: «Senza dubbio, oltreché d’una sensibilità esterna, l’uomo anche dispone d’una sensibilità interna, la quale non ha mai cessato di «suggerire» all’intuizione l’esistenza di un’altra realtà (o più esattamente di un altro livello di realtà) diversa dalla realtà macrofisica e biologica. L’uomo ha sempre contrapposto corpo e anima, umano e divino, materia e spirito, temporalità ed eternità e così via; ma la «scienza» ha fin qui quasi sempre obbedito ad un pregiudizio materialistico (o più esattamente macrofisico) e dunque non ha voluto ammettere che un unico spazio-tempo, anche quando per avventura si sia indotta a postulare l’esistenza di livelli di realtà non riducibili l’uno all’altro (come nel caso del sistema elaborato da Stéphane Lupasco)» (18).
Comprendere razionalmente tale temporalità tridimensionale è un atto intellettuale che, di per sé, non comporta automaticamente alcuna realizzazione interiore della stessa, epperò non ha altro senso il comprenderla se non per realizzarla. Questo tempo esiste ovunque, anche nello spazio-tempo che viviamo, ma realizzarlo significa cambiare la nostra concezione del tempo, allinearci nella psyché con il tempo dell’Essere. L’Essere, ed il suo tempo, sono già presenti in noi e fuori di noi, qui ed ora, nello spazio-tempo; ma per allinearsi all’Essere, ed al suo Tempo, si richiede un cambiamento di pensiero che, liberato da irrazionalità, permetta la comprensione razionale del Reale. Quanto maggiore è tale comprensione, tanto maggiore è l’avvicinamento e l’eventuale identificazione non con l’Essere, ma con il Tempo dell’Essere: è tale identificazione che ci permette una connessione diretta, nel nostro Io radicale, con l’Assoluto.
L’Io o Individuo Assoluto, tuttavia, non deve essere interpretato come un soggetto che, egoicamente, impone la propria volontà sul Reale, il che sarebbe alquanto illusorio e superbo; piuttosto, è da intendersi come la possibilità insita nel soggetto di ricongiungersi all’Oggetto del Reale, all’Essere come manifestazione dell’Assoluto, identificandosi a Lui e, in quanto essente manifesto, divenire egli stesso manifestazione dell’Assoluto. Un Io, quindi, sintonico al Tempo dell’Essere (19), ove sia la linearità sia la ciclicità sono superate; tale Tempo sferico, dell’Essere, è il reale Tempo dello Spirito. Spirito che è da intendersi come il Tempo sferico in quanto percepito, intuitivamente, dall’Io fenomenico all’interno dello spazio-tempo, in cui storicamente diviene.
È in tale allineamento al Tempo dell’Essere, il vero Tempo della Tradizione vivente, che si può realizzare una impersonalità attiva evoliana: «L’animo (20) trova la sua autonomia quando recita la sua parte in modo impersonale, perciò più esercita l’abnegazione, più la sua impersonalità può essere perfetta, nel grado di abnegazione che attua» (21). E tuttavia tale impersonalità, per essere attuata, richiede non un annullamento bensì una sintonizzazione della propria volontà con la Volvntas Iovis, un’attuazione della modestia-gravitas affinché si stabilisca nel proprio essere la presenza attuale del Divino: «L’attore umano che svolge la sua parte ha una responsabilità precisa nell’insieme del dramma divino, egli deve volere con perfetta ed equanime libertà ciò che vuole il Fato, perché così vuole Dio in lui, in tal modo egli vuole come Dio ed è libero come Dio. Compiendo ogni atto nella completa adiaphoria, senza inclinazione alcuna nel senso della attrazione e della repulsione, compiendo ogni atto come il Dio Universale lo compie, l’animo si “appropria di Dio” e Dio dell’animo. Così il volere determinato diventa indeterminato e universale e si libera di tutta la relatività connessa alla catena condizionata degli eventi fatali» (22).
L’atto volitivo dell’Io è atto divino in sé, al contempo imponente all’Essere e cedente all’Assoluto la propria sovranità. L’Io manifestato, e non l’ego, si impone come partecipante dell’Essere, come ente che diviene Essere compartecipando con esso come atto dell’Assoluto, permettendo non solo una intuizione puntuale bensì, in ultima analisi e laddove realizzato, una comprensione razionale del Reale (23). È l’Io incarnato, nell’umano, ed in tal senso fenomenico, che può divenire Assoluto mediante l’uso della ragione, affermazione logica dell’intelletto spirituale. Al di fuori del Dasein, in tal senso, non vi può essere assolutezza umana alcuna.
L’Io ha facoltà di divenire atto dell’Assoluto, qualora si allinei nel pensiero al Tempo eterno dell’Essere, che è il Tempo della Tradizione vivente. Differendo sempre dall’Essere, ma divenendo, al pari di esso, manifestazione della divinità primigenia assoluta.
Note
1 Platone, Timeo, 37 b-c, Laterza, Bari 1984, p. 378.
2 Il tempo tridimensionale, come inteso in questo scritto, è da distinguersi dal tempo sferico: laddove il tempo sferico è il tempo dell’Essere in ogni sua manifestazione, il tempo tridimensionale è il tempo dell’Essere specifico della coscienza umana, la quale nel divenire storico assume in sé un tempo lineare che separa passato, presente e futuro, ma che deve ritornare, anch’essa, al tempo eterno dell’Essere ove le tre sfere temporali sono contenute in potenza.
3 G. Locchi, Wagner, Nietzsche e il mito sovrumanista, Akropolis, Roma 1982, p. 124.
4 A scanso di equivoci, annotiamo che la natura (o macrocosmo) in sé è nel tempo sferico (Jetzt), ma la coscienza umana, nella sua indagine, la percepisce secondo un tempo lineare.
5 A tal riguardo, la concezione di un tempo sferico e di un Eterno Ritorno ci pare incompatibile con la concezione di una Urreligion (Bachofen), una religione primordiale alla quale bisognerebbe ritornare. In un tempo eterno, non vi è alcuna necessità, né razionalità, che possa condurre ad un ritorno “mitico” al passato.
6 L’immagine della sfera temporale è ripresa dal passo nietzschano dell’Also sprach Zarathustra: «…eternamente resta fedele a se stesso l’Anello dell’Essere. Ad ogni momento l’Essere ha inizio; intorno ad ogni Qui s’avvolge la Sfera del Là. Il centro è ovunque. Curvo è il sentiero dell’Eternità». Anche Heidegger riprende il concetto di tempo tridimensionale, riferendosi a “tre estasi temporali”. L’immagine della sfera, per indicare l’Essere, ma non il tempo dell’Essere, già venne usata da Parmenide e, successivamente, tra gli altri, anche da Plotino; furono invece Senofane di Colofone e, più recentemente, Giordano Bruno, tra gli altri, ad utilizzare l’immagine della sfera per indicare il Dio Infinito.
7 In modo analogo a quanto detto per il rapporto tra tempo tridimensionale e tempo sferico, annotiamo che il tempo lineare o unidimensionale è un caso specifico di tempo puntiforme, ossia quel tempo puntiforme che la coscienza umana vive in sé e che connette, in un unico divenire, passato, presente e futuro; laddove, invece, il tempo puntiforme, in generale, non ricollega in sé passato, presente e futuro, ma intende ogni momento puntuale come separato dal precedente e dal successivo.
8 La linea curva della attualità, nel linguaggio di Locchi, si rappresenta proprio, nelle tre dimensioni spaziali, come una sfera; a differenza dell’insieme dei singoli momenti, puntiformi, che nel tempo lineare si rappresentano come una linea retta.
9 L’Eterno Ritorno non è da intendersi, nell’interpretazione di Locchi, da noi condivisa, come tempo ciclico bensì come tempo eterno che, in quanto sempre presente, “torna” continuamente.
10 Il cronotopo è da intendersi come lo spazio-tempo in senso classico, come macrocosmo, in cui il tempo è lineare, nella percezione della coscienza umana, tuttavia lo spazio-tempo in sé vive il tempo sferico dell’Adesso (si veda nota 4). Il topocrono, invece, è da intendersi come la percezione del divenire storico, del fatto storico dello spaziotempo da parte dell’Io, laddove quest’ultimo sia pienamente presente nella coscienza, come ente realizzato. Solo allora potrà realmente vivere in sé il tempo sferico, o tempo dell’Essere, attraverso la percezione spirituale del divenire storico.
11 G. Locchi, cit., pp. 129-130.
12 L.M.A. Viola, Religio Aeterna, Vol. II, Victrix, Forlì 2004, p. 6.
13 Ibid., p. 8.
14 Le classiche “forze della tradizione”, le religioni e le famiglie reali, non hanno pienamente supportato la comprensione del Reale, nel corso della loro storia, lasciando sovente il compito a singoli studiosi ed asceti. Esse si sono solitamente adagiate su una via che potremmo definire exoterica, nella pratica, al di là della specifica dottrina teorizzata (cfr. nostro Metafisica essenziale del Giano bifronte). Ricordiamo, comunque, che Martin Lings, uno dei massimi esponenti del tradizionalismo guénoniano, ebbe contatti diretti con membri delle famiglie reali inglese e giordana (M. van Bruinessen e S. Allievi, Producing Islamic Knowledge: Transmission and dissemination in Western Europe, Routledge, Oxon 2010, p. 177). Il principe Carlo d’Inghilterra, in particolare, è patrono della londinese Temenos Academy, che si occupa proprio di studi tradizionali. Anche Hossein Nasr, tra gli altri, vi è membro. Non è casuale, d’altra parte, che i giochi fondati secondo il mito da Zeus, Re degli dèi greci dell’Olimpo, i Giochi olimpici, e svolti già ad Olimpia in suo onore, siano stati rifondati dal barone de Coubertin, e che vari membri di famiglie reali siano sempre stati, e siano tuttora, membri del Comitato Olimpico Internazionale.
15 Weltbilder (concezioni del mondo, ted.).
16 Locchi indica come lineari sia il tempo specificamente lineare, in senso classico, anche nella sua forma «segmentaria», sia il tempo ciclico. Tempo lineare, per Locchi, è sostanzialmente sinonimo di tempo unidimensionale, ossia di tempo spazio-temporale o macrofisico/macrocosmico, così come percepito dalla coscienza umana.
17 G. Locchi, cit., p. 129.
18 G. Locchi, cit., p. 132.
19 Il tempo sferico, o tempo eterno, è il tempo dell’Essere/Padre, della “seconda faccia di Giano”. L’Assoluto o Infinito, per definizione, non ha alcun tempo, nemmeno eterno: il tempo infinito è un non tempo. Si può, al limite, parlare di meta-eternità (L.M.A. Viola, Religio Aeterna, cit.).
20 Intelletto o noûs.
21 L.M.A. Viola, Fatvm, in Satvrnia Regna n.54, Victrix, Forlì 2014, p. 155.
22 Ibid., pp. 154-155.
23 «Hegel dice: l’assoluto non è statico, non è sostanza, bensì è in fieri, è in divenire, è soggetto. Che cosa vuol dire il fatto che sia in divenire? Che non potrà essere colto nella sua essenza mediante un’intuizione puntuale, bensì mediante un discorso, cioè mediante la ragione» (A. Gargano, Storia del pensiero filosofico nell’Ottocento e nel Novecento, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli 2011, p. 54).
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