Il simbolismo del Graal

manesse-cervo-biancoFacevamo allusione or ora ai «Cavalieri della Tavola Rotonda»; non sarà fuor di proposito indicare qui cosa significa la «cerca del Graal», che, nelle leggende di origine celtica, è presentata come la loro principale funzione. In tutte le tradizioni è fatta in tal modo allusione a qualche cosa che, a partire da una certa epoca sarebbe andata perduta o sarebbe stata nascosta: è, per esempio, il Soma degli Hindu od il Haoma dei Persiani, la «bevanda d’immortalità», la quale ha, precisamente, un rapporto molto diretto con il Graal, poiché questo è, dicesi, il vaso sacro che contenne il sangue del Cristo, che è pure una «bevanda di immortalità». Altrove, il simbolismo è differente: così, presso gli Ebrei, è la pronuncia del gran Nome divino (1) che si è perduta; ma l’idea fondamentale è sempre la medesima, e vedremo più innanzi a che cosa essa corrisponda esattamente.

Il San Graal è, dicesi, la coppa che servì alla Cena, e dove dipoi Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue e l’acqua che sfuggivano dalla ferita aperta nel fianco del Cristo dalla lancia del centurione Longino (2). Secondo la leggenda, questa coppa sarebbe stata trasportata in Gran Bretagna dallo stesso Giuseppe di Arimatea e da Nicodemo (3); e bisogna scorgere qui l’indicazione di un legame stabilito tra la tradizione celtica ed il Cristianesimo. La coppa, di fatti, rappresenta una parte assai importante nella maggior parte delle tradizioni antiche, e senza dubbio questo era in particolare il caso dei Celti; si deve anche notare che essa è frequentemente associata alla lancia, due simboli che sono allora in qualche modo il complemento l’uno dell’altro; ma questo ci allontanerebbe dal nostro argomento (4).

il-re-del-mondoQuel che forse mostra più nettamente il significato essenziale del Graal, è quanto è detto della sua origine: questa coppa sarebbe stata intagliata dagli Angeli in uno smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero al momento della sua caduta (5). Questo smeraldo ricorda in modo netto e significativo, l’urnâ, la perla frontale che, nel simbolismo hindu (da cui è passata nel Buddhismo), tiene spesso il posto del terzo occhio di Shiva, rappresentando quello che può esser chiamato il «senso dell’eternità», come lo abbiamo già spiegato altrove (6). Del resto, è detto dipoi che il Graal fu confidato ad Adamo nel Paradiso terrestre, ma Adamo lo perdette a sua volta al momento della sua caduta, perché non poté portarlo con sè quando fu scacciato dall’Eden; e, nel significato che abbiamo indicato, la cosa diventa chiarissima. Di fatti, l’uomo, rimosso dal suo centro originale, si trovava da quel momento racchiuso nella sfera temporale; non poteva più raggiungere il punto unico da cui tutte le cose sono contemplate sotto l’aspetto dell’eternità. In altri termini, il possesso del «senso dell’eternità» è legato a ciò che tutte le tradizioni chiamano, come abbiamo ricordato più sopra, lo «stato primordiale», la cui restaurazione costituisce il primo stadio dell’iniziazione effettiva, essendo la condizione preliminare della conquista effettiva degli stati «sovra-umani» (7). Il Paradiso terrestre, d’altronde, rappresenta propriamente il «Centro del Mondo»; e quel che diremo in seguito, sul senso originale della parola Paradiso, potrà farlo comprendere meglio ancora.

Quanto segue può sembrare più enigmatico: Seth ottenne di rientrare nel Paradiso terrestre e poté così ricuperare il prezioso vaso; ora, il nome di Seth esprime le idee di fondamento e di stabilità, e, quindi, indica in certo modo la restaurazione dell’ordine primordiale distrutto dalla caduta dell’uomo (8). Si deve dunque comprendere che Seth e coloro che dopo di lui possedettero il Graal poterono in virtù di questo stesso possesso stabilire un centro spirituale destinato a sostituire il Paradiso perduto, centro che ne era come una immagine; ed allora questo possesso del Graal rappresenta la conservazione integrale della tradizione primordiale in tal centro spirituale. La leggenda, d’altronde, non dice dove né da chi il Graal fu conservato sino all’epoca del Cristo; ma l’origine celtica riconosciutale deve senza dubbio lasciare intendere che i Druidi vi ebbero una parte e che essi vanno contati tra i conservatori regolari della tradizione primordiale.

La perdita del Graal, o di qualcheduno dei suoi equivalenti simbolici, è in somma la perdita della tradizione con tutto quel che essa comporta; a dire il vero, d’altronde, questa tradizione è piuttosto nascosta che perduta, o per lo meno essa non può essere perduta che per certi centri secondarii, quando essi cessano di essere in relazione diretta col centro supremo. Quanto a quest’ultimo, esso conserva sempre intatto il deposito della tradizione, e non risente i cambiamenti che sopravvengono nel mondo esteriore; è così che, secondo vari Padri della Chiesa, ed in particolare Sant’Agostino, il diluvio non ha potuto raggiungere il Paradiso terrestre, che è «l’abitazione di Henoch e la Terra dei Santi» (9), ed il cui vertice «tocca la sfera lunare», vale a dire si trova al di là del dominio del cambiamento (identificato col «mondo sublunare»), nel punto di comunicazione della Terra e dei Cieli (10). Ma, come il Paradiso terrestre è divenuto inaccessibile, il centro supremo, che è in fondo la stessa cosa, può, nel corso di un certo periodo, essere esteriormente immanifestato, ed allora si può dire che la tradizione è perduta per l’assieme dell’umanità, perché essa non è conservata che in certi centri rigorosamente chiusi, e la massa degli uomini non vi partecipa più in un modo cosciente ed effettivo, contrariamente a quel che accadeva nello stato originale (11); questa è precisamente la condizione dell’epoca attuale, il cui inizio risale d’altronde ben oltre i limiti accessibili alla storia ordinaria e «profana». Secondo i casi, la perdita della tradizione può dunque essere intesa in senso generale, oppure essere riferita all’oscuramento del centro spirituale che reggeva più o meno invisibilmente i destini d’un popolo particolare o di una civilizzazione determinata; occorre dunque, ogni volta che si trova il simbolismo che vi si riferisce, esaminare se deve essere interpretato nell’uno o nell’altro senso.

Secondo quanto abbiamo ora detto, il Graal rappresenta nel medesimo tempo due cose che sono strettamente solidali l’un l’altra; chi possiede integralmente la «tradizione primordiale», chi è pervenuto al grado di conoscenza effettiva essenzialmente implicito in questo possesso, è di fatti, per ciò stesso, reintegrato nella pienezza dello «stato primordiale». A queste due cose, «stato primordiale» e «tradizione primordiale», si riferisce il duplice senso inerente alla stessa parola Graal, perché, con una di quelle assimilazioni verbali che hanno spesso nel simbolismo una funzione non trascurabile, e che hanno d’altronde delle ragioni assai più profonde di quanto non si immaginerebbe a prima vista, il Graal è simultaneamente un vaso (grasale) ed un libro (gradale o graduale); quest’ultimo aspetto designa manifestamente la tradizione, mentre l’altro concerne più direttamente lo stato stesso (12).

Non abbiamo l’intenzione di entrare qui nei particolari della leggenda del San Graal, benchè essi abbian tutti anche un valore simbolico, nè di seguire la storia dei «Cavalieri della Tavola Rotonda» e delle loro gesta; ricorderemo solamente che la «Tavola Rotonda» costruita dal re Arturo (13) sui piani di Merlino, era destinata a ricevere il Graal quando uno dei Cavalieri fosse pervenuto a con-quistarlo e l’avesse apportato dalla Gran Bretagna in Armorica. Anche questa tavola è un simbolo verosimilmente assai antico, uno di quelli che furono sempre associati all’idea dei centri spirituali, conservatori della tradizione; la forma circolare della tavola d’altronde è formalmente legata al ciclo zodiacale dalla presenza attorno ad essa di dodici personaggi principali (14), particolarità la quale si ritrova, come dicevamo precedentemente, nella costituzione di tutti i centri di cui ci stiamo occupando.

Vi è ancora un simbolo che si collega ad un altro aspetto della leggenda del Graal, e che merita una speciale attenzione: è quello di Montsalvat (letteralmente «Monte della Salute») (15), il picco situato «sulle lontane rive cui nessun mortale può avvicinarsi», rappresentato come ergentesi in mezzo al mare, in una regione inaccessibile, e dietro il quale si leva il Sole. E’ simultaneamente l’«isola sacra» e la «montagna polare», due simboli equivalenti di cui dovremo riparlare ancora nel seguito di questo studio; è la «terra d’immortalità» che si identifica naturalmente col Paradiso terrestre (16).

Per ritornare al Graal, è facile rendersi conto che il suo primo significato è in fondo il medesimo di quello che ha il vaso sacro dovunque lo si ritrova, e che ha, in particolare, in Oriente, la coppa sacrificale contenente originariamente, come indicavamo più sopra, il Soma vedico od il Haoma mazdeico, vale a dire la «bevanda d’immortalità» che conferisce o restituisce il «senso dell’eternità» a coloro che la ricevono con le disposizioni richieste. Non potremmo, senza uscire dal nostro soggetto, dilungarci maggiormente sul simbolismo della coppa e di ciò che essa contiene; bisognerebbe, per svilupparlo convenientemente, consacrarvi tutto uno studio apposito; ma l’osservazione che abbiamo fatta ci conduce ad altre considerazioni che hanno la massima importanza per quanto ora ci proponiamo.

Note

(1) Ricorderemo anche, a questo proposito, la «Parola perduta» della Massoneria, che simboleggia similmente i segreti dell’iniziazione effettiva; la «ricerca della Parola perduta» non è dunque che un’altra forma della «cerca del Graal». Questo giustifica la relazione segnalata dallo storico Henri Martin tra la «Massenia del San Graal» e la Massoneria (vedi L’Esoterismo di Dante); e le spiegazioni che stiamo dando permetteranno di comprendere quello che dicevamo, a questo proposito, sulla strettissima connessione esistente tra il simbolismo stesso del Graal ed il «centro comune» di tutte le organizzazioni iniziatiche.
(2) Questo nome Longino è imparentato al nome stesso della lancia, in greco logkê (che si pronuncia lonkê); il latino lancea ha d’altronde la stessa radice.
(3) Questi due personaggi rappresentano qui rispettivamente il potere regale ed il potere sacerdotale; la stessa cosa accade per Arturo e per Merlino nell’istituzione della «Tavola Rotonda».
(4) Diremo solamente che il simbolismo della lancia è spesso in rapporto con l’«Asse del Mondo»; a questo proposito, il sangue che goccia dalla lancia ha il medesimo significato della rugiada che emana dall’«Albero di Vita»; è nota d’altronde l’unanimità con la quale tutte le tradizioni affermano che il principio vitale è intimamente legato al sangue.
(5) Alcuni dicono uno smeraldo caduto dalla corona di Lucifero, ma si tratta di una confusione proveniente dal fatto che Lucifero, prima della sua caduta, era l’«Angelo della Corona» (vale a dire Kether, la prima Sephirah), in ebraico Hakathriel, nome d’altronde che ha per numero 666.
(6) L’Homme et son devenir selon le Vêdânta, 3a ediz. p. 150.
(7) Sopra questo «stato primordiale» o «stato edenico», vedi L’Esoterismo di Dante, 3a ediz., pagg. 44-46 e 65-66; L’Homme et son devenir selon le Vêdânta, 3a ediz. p. 182.
(8) E’ detto che Seth rimase quaranta anni nel Paradiso terrestre; questo numero 40 ha anche un senso di «riconciliazione» o di «ritorno al principio». I periodi misurati da questo numero si trovano molto frequentemente nella tradizione giudaico-cristiana: ricordiamo i quaranta giorni del diluvio, i quaranta anni durante i quali gli israeliti errarono nel deserto, i quaranta giorni che Mosè passò nel Sinai, i quaranta giorni del digiuno del Cristo (la Quaresima ha naturalmente il medesimo significato); e senza dubbio si potrebbe trovarne degli altri ancora.
(9) «Ed Henoch camminò con Dio, e non comparve più (nel mondo visibile ed esteriore), perché Dio lo prese» (Genesi, V, 24). Egli sarebbe stato allora trasportato nel Paradiso terrestre; è quel che pensano anche certi teologi come Tostat e Cajetan. – Sulla «Terra dei Santi» o «Terra dei Viventi», vedi quanto sarà detto più innanzi.
(10) Questo è conforme al simbolismo impiegato da Dante, che situa il paradiso terrestre in cima al monte del Purgatorio, che si identifica nella Commedia con la «montagna polare» di tutte le tradizioni.
(11) La tradizione hindu insegna che originariamente esisteva un’unica casta, chiamata Hamsa; ciò significa che allora tutti gli uomini possedevano normalmente e spontaneamente il grado spirituale designato da questo nome, e che è al di là della distinzione delle quattro caste odierne.
(12) In certe versioni della leggenda del San Graal, i due sensi si trovano strettamente uniti, perché il libro diventa allora un’iscrizione tracciata dal Cristo o da un angelo sulla coppa stessa. Si potrebbe a questo proposito stabilire con facilità dei raccostamenti con il «Libro di Vita» e con certi elementi del simbolismo apocalittico.
(13) Il nome di Arturo ha un senso assai degno di nota, che si collega al simbolismo «polare» e che spiegheremo forse in altra occasione.
(14) I «Cavalieri della Tavola Rotonda» sono talvolta in numero di cinquanta (che era, presso gli Ebrei il numero del Giubileo, e che si riferisce anche al «regno dello Spirito Santo») ma, anche allora, ve ne son sempre dodici cui spetta una parte preponderante. Ricordiamo anche, a questo proposito, i dodici pari di Carlomagno in altri racconti leggendari del medio evo.
(15) Abbiamo tradotto con salute la parola francese saluto. Il lettore, però, dia alla parola salute il senso attribuitole da Dante e dalla letteratura d’amore del tempo, senso che include i due sensi di salute e salvezza, corporale e spirituale. (A.R.).
(16) La similitudine tra il Montsalvat ed il Mêru ci è stata segnalata da degli Hindu, ed è quello che ci ha condotto ad esaminare più da vicino il significato della leggenda occidentale del Graal.

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Il presente testo costituisce il cap. 5 del libro Il re del mondo (traduzione dal francese di Arturo Reghini).

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René Guénon (Blois, 15 novembre 1886 – Il Cairo, 7 gennaio 1951) è stato un matematico e metafisico francese. I suoi studi sono volti ad illustrare il patrimonio simbolico, rituale e metodologico delle tradizioni spirituali d'Oriente e d'Occidente. Ridefinendo la nozione di metafisica come «conoscenza dei princìpi di ordine universale, da cui tutto procede», l'opera di René Guénon non si presenta né come un sistema filosofico basato sul sincretismo né come formalizzazione di un pensiero neospiritualistico. Piuttosto, essa è diretta, nelle intenzioni del suo Autore, all'esposizione di alcuni aspetti delle cosiddette «dottrine tradizionali» (Taoismo, Induismo, Islam, Ebraismo, Cristianesimo, Ermetismo, Libera Muratorìa, Compagnonaggio, ecc.), intese come espressioni del sacro funzionali allo sviluppo delle possibilità di realizzazione spirituale dell'essere umano.
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