Il rischio di superare il limite

Da sempre l’uomo interviene sulla natura e la modifica. Le più grandi “modificazioni genetiche” sugli animali risalgono alla preistoria, quando i nostri antenati – a torto dipinti come bruti da certa divulgazione pseudo-scientifica – trasformarono una sottospecie di lupi nel cane, fedele compagno e custode di greggi; smorzarono la potenza selvaggia del toro, producendo il bue; ricondussero ad una dimensione domestica oche, ovini, bovini. Ma la capacità di introdurre variazioni trova sempre il proprio limite: la saggezza consiste nel comprendere il “non plus ultra”, il limite da non oltrepassare.

Oggi il concetto di limite è generalmente ignorato, perché rimanda ad un concetto più elevato: quello di “forma”, non considerato dalla mente di molti nostri contemporanei. L’errore che compiono certi apprendisti stregoni della scienza è lo stesso compiuto dagli ingenui che allevano cuccioli di tigre e di leone pensando di dissolvere in nome dell’affetto un istinto aggressivo di milioni di anni. Ovviamente il
cucciolo di predatore cresce, sviluppa l’artiglio e la zanna, finisce per divorare il braccio di chi gli offriva cibo.

Ai nostri giorni, una certa percentuale di scienziati vuol mettere in pratica una sorta di “fanta-darwinismo” che ignora ogni limite: con le chimere metà uomo metà animale il limite che separa la nostra specie dalle altre è già stato superato. Ma quali saranno gli effetti? Quale giovamento porteranno questi ibridi? E quali danni produrranno, non solo a livello medico, ma anche nelle relazioni sociali e nella percezione che l’uomo ha di sé stesso?

Su questi interrogativi le comunità nazionali devono esprimersi, e nessuna magistratura ha il diritto di “boicottare” la volontà espressa attraverso i parlamenti e le consultazioni referendarie. I nostri giudici hanno boicottato la legge sulla fecondazione permettendo ciò che non sarebbe consentito, come nei mesi passati hanno pesantemente boicottato la legge Bossi-Fini sull’immigrazione.

“La scienza deve progredire”: questo motto è buono per tutte le stagioni e non saremo noi a metterlo in discussione. Ma la scienza moderna, ottima nel fornire nuovi strumenti di intervento, stenta a individuare i fini. La finalità della ricerca non può rimanere un arbitrio di apprendisti stregoni, deve essere un valore condiviso e coincidere con la dignità dell’uomo. In nome di tale dignità difficilmente si può accettare che l’embrione di uomo venga concepito come un tessuto “trattabile” e che il suo dna venga shakerato in un cocktail di macabro gusto.

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Tratto da L’Indipendente del 30 settembre 2007.

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