Il pensiero unico

gsIo penso che ci siano pochi dubbi sul fatto che settant’anni di democrazia diffusa a livello planetario e sostenuta da un sistema di persuasione mediatica potente e capillare quale non si era mai visto nella storia umana, abbiano reso la gente meno intelligente e più credula. Comportamenti e atteggiamenti che in altri tempi sarebbero sembrati irrazionali o francamente stupidi, oggi sono accettati come la normalità.

Prendiamo un campo che in apparenza dovrebbe essere quello quanto più razionale e oggettivo possibile, che riguarda più strettamente le condizioni reali di vita della gente: l’economia. Ho già evidenziato in altri miei scritti che questo terreno, che dovrebbe essere quello della massima razionalità, per come viene trattato dal pensiero dominante è a tutti gli effetti una pseudo-scienza che si basa su due presupposti impliciti, non dichiarati e assolutamente falsi, che esista qualcosa di definibile come l’interesse globale della società e che le vicissitudini economiche, l’andamento dei mercati, siano qualcosa di imprevedibile e indipendente dai comportamenti umani, come se parlassimo di meteorologia.

E’ invece vero che all’interno di qualsiasi società esistono interessi in conflitto, che una ristretta minoranza di persone appartenenti allo strato più alto del capitalismo bancario e finanziario può agire e di fatto agisce per il proprio personale tornaconto a danno dell’interesse, del benessere, del futuro di tutti gli altri, e che le crisi sono provocate e manipolate allo scopo di impadronirsi delle risorse prodotte dalla società, di trasformare il lavoro di molti nella ricchezza di pochi.

Ad avviare la società italiana e quelle del resto dell’Europa sulla strada di quella che ormai dal 2008 non è più una crisi ma, a meno di radicali cambiamenti, un declino irreversibile, a creare le premesse di questo declino, i “compagni”, i marxisti, quella sinistra verso la quale per atavica abitudine una parte dei ceti lavoratori da ancora il proprio appoggio ignara del fatto che essa ha smesso di tutelare da gran tempo i loro interessi, ha dato e continua a dare un contributo non disprezzabile. Per decenni hanno fatto una guerra senza quartiere agli imprenditori, ignorando o facendo finta di ignorare che il tessuto produttivo italiano è composto principalmente di piccola industria, e che ogni ditta che fallisce significa decine o centinaia di lavoratori sul lastrico, permettendo così ai grossi gruppi industriali, alle grandi catene di distribuzione, alle banche, alla finanza di acquisire più facilmente le aziende, e oggi che il grande capitalismo bancario e finanziario mascherato dietro le istituzioni “europee” con cui sono sempre stati complici, sferra il suo attacco decisivo alla proprietà, al benessere al futuro di tutti, fanno finta di non vedere e proclamano per bocca del loro guru Walter Veltroni che “la lotta di classe non esiste”.

Il dominio dell’economia che dovrebbe essere quello della massima razionalità, è invece dominato da componenti irrazionali, scaramantiche, superstiziose, stregonesche. Prendiamo quello che ha tutta l’apparenza di un dato oggettivo, il famoso (o famigerato) PIL. Oggi che siamo in recessione, il nostro PIL è regredito, è tornato – ci dicono – al livello di vent’anni fa. La nostra situazione economica è uguale a quella di allora? Ne siamo sicuri? La mia è – credo – una famiglia tipica: quattro persone e due redditi da lavoro. Venti-venticinque anni fa avevamo figli piccoli, pagavamo la baby sitter e il mutuo e si riusciva a mettere qualcosa da parte. Oggi si stenta ad arrivare a fine mese. Io credo che chiunque abbia più di trent’anni non fatichi a ricordare situazioni dello stesso genere.

Il PIL di alcuni Paesi del Terzo Mondo come il Brasile o l’India registra – ci dicono – incrementi tra il 5 e il 10% l’anno. Se il dato fosse reale, costoro dovrebbero aver ormai raggiunto il livello di benessere dei Paesi industrializzati. Mah! Se andate a vedere alla periferia di Rio De Janeiro o a quella di Calcutta, trovate le stesse favelas, le stesse bidonville miserabili che c’erano venti, cinquanta, settanta anni fa, dove vive un’umanità in condizioni di degrado ai limiti della sopravvivenza, e sia chiaro che – come nel passato – ci entrate a vostro rischio e pericolo.

Io ho l’impressione che questo famigerato PIL sia un indice fittizio o per meglio dire manipolato, la cui esistenza serve a veicolare l’essenza dell’ideologia progressista: sono possibili occasionali e temporanei ritorni all’indietro, come sta avvenendo in Europa dal 2008, ma la tendenza globale sul lungo periodo è ascendente: se le cose oggi non vanno meglio di ieri, vanno pur sempre meglio dell’altro ieri e domani saranno ancora migliori.

Io mi domando come sia possibile pensare che in un mondo che non aumenta certo di dimensioni, ma ogni giorno è come se si riducesse, sempre più sfruttato, inquinato, devastato, impoverito, e dove la specie umana continua la sua espansione demografica, sia possibile una crescita della disponibilità di risorse pro capite. La logica e il semplice buon senso ci dicono che se si deve dividere una torta fra più persone, aumentando il numero dei commensali, si ridurrà la fetta di ciascuno. Ma la logica e il buon senso non sembrano avere corso tra i “maghi” dell’economia.

Se qualcuno sostenesse di possedere una formula magica, un abracadabra pronunciando il quale si possono risolvere tutti i problemi, non credete che in altre epoche meno “evolute” e più sagge, costui sarebbe stato guardato con comprensibile scetticismo?

Nella nostra epoca “progredita” la gente sembra diventata più credula, TERRIBILMENTE più credula, ed ecco che qualcuno è venuto fuori con la formula magica, l’abracadabra per risolvere tutti i problemi economici e – quel che è più tragico – è stato preso sul serio: la formula dell’abracadabra è semplice, di una semplicità sconcertante: privatizzare, privatizzare, privatizzare.

Di mezzo c’è senza dubbio il fallimento dello statalismo dirigistico, dell’economia di piano che caratterizzava il sistema sovietico e gli altri Paesi del “socialismo reale” dell’Europa dell’est. Poiché un eccesso non funziona, allora mettiamoci a giurare e spergiurare sull’eccesso opposto. Mi chiedo se davvero occorra essere laureati e avere un master in economia alla Bocconi per ragionare in maniera così rozza.

Su di un piano di pensiero appena leggermente superiore (come passare dallo scimpanzé al bonobo, ma siamo ancora molto lontani dall’homo sapiens), l’attuale tendenza neo-liberista viene giustificata così: l’offerta di beni e servizi da parte di una pluralità di imprenditori privati li pone in concorrenza fra loro, quindi ognuno di loro tenderà a offrire il servizio o il prodotto migliore possibile al prezzo più contenuto possibile. Questa concezione neo-liberista è oggi considerata talmente forte, talmente persuasiva, talmente vincente da essere stata proclamata dagli economisti il PENSIERO UNICO a cui tutti dovrebbero giocoforza adeguarsi, eppure tutte le volte che è stata applicata all’economia reale, non ha prodotto altro che disastri.

In realtà, le obiezioni che si possono sollevare contro di essa sono parecchie. Per prima cosa, siamo sicuri che in condizioni di sedicente libero mercato l’utente abbia davvero libertà di scelta? Un qualsiasi accordo fra i produttori di un settore che decidono di offrire lo stesso prodotto agli stessi prezzi può vanificare questa libertà, così come si è scoperto qualche anno fa essere accaduto fra le compagnie di assicurazione riguardo alle polizze automobilistiche, gioco in questo caso tanto più facile perché il cliente è legalmente obbligato all’acquisto, ma il discorso va ben oltre questo caso, e lo riprenderemo fra poco.

Un’altra rilevante obiezione, è che ci sono dei servizi per i quali l’esborso dell’utente può coprire soltanto una parte dei costi e che, se lasciati in mani private, avrebbero un costo che li renderebbe accessibili solo a una parte della comunità, quella più economicamente avvantaggiata. Gli esempi più rilevanti sono l’istruzione e la sanità: quando in questi comparti si lascia spazio all’iniziativa privata, si manifestano evidenti effetti distorsivi, così ad esempio abbiamo scuole private riservate ai figli di un’élite di privilegiati che nel tentativo – si suppone – di allargare la fascia di coloro che vi hanno accesso, godono di ingenti agevolazioni e finanziamenti pubblici, mentre la scuola pubblica presenta segni di degrado piuttosto evidenti. Per la sanità vale un discorso analogo, con la differenza – forse – che qui un maggior numero di persone è costretta almeno occasionalmente ad accedere obtorto collo alla fascia alta perché quando si tratta della salute non si bada a spese. Abbiamo il paradosso di medici che esercitano intra moenia, cioè che lavorano nelle strutture pubbliche e all’interno delle stesse possono esercitare attività professionale privata. Come tutti sappiamo, si può accedere alla stessa visita o allo stesso esame compiuto dallo stesso medico “in privato” o attraverso la struttura pubblica; nel primo caso, si paga considerevolmente di più, nel secondo i tempi di attesa diventano biblici, quasi infiniti.
In questi casi, scuola e sanità, l’iniziativa privata non migliora il servizio ma sottrae risorse, contribuisce a degradare il servizio pubblico, che è poi quello che resta accessibile alla maggior parte dei cittadini. Il meccanismo della sanità, poi, è particolarmente perverso, perché l’iniziativa privata si concentra sui settori più “interessanti” economicamente e lascia alle strutture pubbliche la gestione di quelli che lo sono di meno, e la sanità italiana, soprattutto nelle regioni meridionali, è diventata una voragine senza fondo che inghiotte denaro pubblico offrendo un servizio sempre più degradato.

Esistono poi settori nei quali l’intervento pubblico coincide con l’esercizio della sovranità e l’infiltrarsi dell’iniziativa privata significa la perdita dei residui diritti che rimangono ai cittadini: difesa nazionale, ordine pubblico, giustizia. Il giorno che una polizia mercenaria arresterà un cittadino per farlo comparire davanti a un tribunale privato a rispondere a un codice di giustizia privato, il sogno liberista si sarà trasformato nel più atroce incubo kafkiano. Noi ci siamo ancora lontani, sembra, ma negli Stati Uniti mica tanto.

Non occorre girarci attorno all’infinito, fino agli anni ’40 del XX secolo si sono confrontati in Europa e nel mondo oltre alle società a economia di mercato capitalista, due modelli di socialismo, uno disfunzionale, che ha finito per essere il più gigantesco aborto della storia, l’altro invece che funzionava eccome, ed è proprio questo il motivo per il quale capitalismo e “socialismo deforme” con la falce e martello si sono coalizzati per distruggerlo scatenando la guerra più gigantesca della storia umana. Non è davvero possibile credere che queste forze non abbiano preparato e intenzionalmente provocato la seconda guerra mondiale attirando la Germania in una trappola, inducendo i Polacchi a rifiutare qualsiasi trattativa sulla questione di Danzica, esattamente come nel 1914 GLI STESSI REGISTI OCCULTI avevano approfittato della comprensibile reazione dell’Austria all’assassinio del proprio principe ereditario per provocare il primo conflitto mondiale.

Un discorso di questo genere ci porterebbe lontano. In questa sede, limitiamoci a notare che i cambiamenti economici e sociali non avvengono con la stessa rapidità dei mutamenti politici. Sia pure in maniera meno radicale ed efficiente del nazionalsocialismo tedesco, anche il fascismo italiano aveva creato un sistema di protezioni sociali a vantaggio delle fasce più deboli della popolazione e un sistema economico basato sull’integrazione fra pubblico e privato, e purtroppo non è arrivato a vedere i frutti di questo lavoro, perché il boom economico degli anni ’60, l’ingresso a pieno titolo dell’Italia fra le nazioni a economia industriale, è stato una conseguenza del lavoro fatto precedentemente dal fascismo, i buoni semi piantati che sono infine germogliati nonostante la gelata della guerra.

Un dato fra tutti mi sembra di particolare rilievo: tutti gli indici economici mostrano che le differenze fra nord e sud della nostra Penisola fra 1920 e 1970 hanno cominciato a ridursi, ma dopo tale data “la forbice” ha ripreso ad allargarsi, visibile conseguenza del ritorno a politiche liberiste che arricchiscono i ricchi e impoveriscono ulteriormente i poveri.

L’efficiente sistema delle partecipazioni statali creato dal fascismo che aveva consentito la ripresa dopo i disastri della guerra e il boom economico degli anni ’60, è stato progressivamente smantellato a partire dagli anni ’80 e ’90, e nella demolizione di questa “bieca” eredità del “bieco ventennio” si sono distinti i governi guidati da Giuliano Amato e da Carlo Azelio Ciampi e soprattutto Romano Prodi che è stato il grande demolitore dell’IRI, quell’Istituto per la Ricostruzione Industriale creato dal fascismo e che era stato il volano della nostra ripresa economica dopo il primo e dopo il secondo conflitto mondiale. Tutti e tre questi gentiluomini sono uomini di sinistra, il segno forse più evidente del fatto che alla sinistra delle condizioni di vita delle nostre classi lavoratrici, in ultima analisi non gliene importa un tubo.

Ai “maestri” dell’economia di solito manca qualcosa che dovrebbe essere invece a disposizione anche di chi non ha fatto la Bocconi, un po’ di cultura storica. Per comprendere quali siano le conseguenze a lungo termine dell’attuale trend, basterebbe esaminare con un po’ di attenzione la storia italiana dove troviamo un esempio di situazione economica che presenta fortissime analogie con la situazione europea attuale: anche in questo caso, vi fu un’estesa privatizzazione e il controllo delle dinamiche economiche passò nelle mani delle banche, cui lo stato affidò ogni cosa, compresa l’emissione di moneta.

Nel 1266 Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia fu invitato dal papa a invadere il regno di Sicilia che allora comprendeva tutta l’Italia meridionale, per toglierne la corona a Manfredi figlio dell’imperatore Federico II, poiché la Chiesa era decisa a distruggere la dinastia sveva. Poiché Carlo era praticamente un privato, ricorse a massicci prestiti dei banchieri genovesi e pisani, lasciando loro in cambio la gestione dell’economia del regno una volta ottenuta la corona siciliana.

Bisogna notare che fin allora, cosa che sicuramente è ignota a Bossi e Maroni, il meridione era la parte più avanzata della nostra Penisola, favorito dalla sua posizione di ponte naturale con Bisanzio e il Medio Oriente: i Normanni e poi gli Svevi vi avevano costruito uno stato efficiente e moderno, non permettendo all’anarchismo feudale o comunale di prendere piede. Con le tabulae melfitanae Federico II l’aveva dotato della prima costituzione moderna. Rimangono testimonianza di quel periodo le splendide cattedrali di Palermo e Monreale, la corte palermitana dove iniziò la letteratura italiana in lingua volgare, la scuola di medicina di Salerno e l’università di Napoli che ancora oggi porta il nome del grande imperatore svevo, le prime istituzioni europee di livello universitario, prima di Oxford e della Sorbona.

La conquista angioina segnò il passaggio delle attività economiche nelle mani di banchieri forestieri che non avevano alcun interesse a sviluppare l’economia del regno, ma solo a sfruttarla quanto più possibile. Questo, oltre al trapianto di un baronato parassitario di origine francese, provocò il crollo del nostro meridione che precipitò in un abisso di arretratezza dal quale si può dire non sia del tutto uscito nemmeno oggi a otto secoli di distanza, e ci dà l’esatta misura del destino che la BCE sta preparando per noi.

Quale considerazione abbiano i banchieri per la loro clientela, lo dimostrò il potentissimo banchiere e lobbista Enrico Cuccia definendo i piccoli risparmiatori “il parco buoi”. Questo siamo noi per loro: bestiame da sfruttare.

Ma c’è di più: torniamo al nostro argomento iniziale: tutto il pensiero liberista si basa sul presupposto che l’utente abbia una libertà di scelta fra operatori tra i quali esiste una concorrenza reale che tenderebbe a migliorare l’offerta di beni e servizi. E se questa libertà di scelta fosse totalmente falsa e apparente? In questo caso, tutto il PENSIERO UNICO crollerebbe come un arco cui sia stata tolta la chiave di volta. EBBENE, A QUANTO PARE, E’ PROPRIO COSÌ.

Qualche anno fa alcuni ricercatori economici hanno condotto una ricerca il cui esito importantissimo per tutti noi, è caduto sotto una pesante censura, e che sarebbe andato del tutto perduto se non fosse per l’incontrollabilità del web che sfugge alle intenzioni censorie che percorrono la democrazia.

Come sappiamo, la proprietà di qualunque cosa tranne i nostri effetti personali (ma anche delle nostre case gravate da mutui ipotecari) è legata a un gioco praticamente infinito di scatole cinesi; non esiste un’azienda che non sia partecipata da altre aziende le cui azioni sono controllate da banche e altre aziende, talvolta dalle banche statali che però a loro volta sono partecipate da privati, e via dicendo.

Questi ricercatori hanno cercato di ricostruire una mappa del potere economico mondiale risalendo le ingarbugliate catene delle partecipazioni e dell’azionariato, chi controlla che cosa, un’impresa simile a quella di costruire una mappa virtuale dell’intero pianeta, come è stato fatto con Google Earth. Alla fine si sono accorti con vera sorpresa che tutto converge verso un unico nucleo: una ventina di famiglie strettamente imparentate deterrebbe qualcosa come l’80% della ricchezza mondiale, e i loro nomi, Rotschild, Goldmann Sachs e via dicendo, fanno pensare molto più alla circoncisione che non al battesimo. Anche in questo nucleo ristretto alcuni sarebbero più importanti di altri, e la famiglia Rotschild possiederebbe da sola all’incirca metà della ricchezza dell’intero pianeta.

E’ chiaro che cosa abbiamo di fronte: un potere con il quale gli stati nazionali stentano a competere, e se, in ossequio al dogma liberista, rinunciano a esercitare un controllo sull’economia, non possono che diventarne docili e ricattabili strumenti.

Alla fine tutto si tiene: anche il fenomeno dell’immigrazione non è, insieme alla crisi economica, altro che l’altra branca della tenaglia destinata a stritolarci, perché il progetto di dominazione mondiale di cui l’accaparramento della ricchezza planetaria è una parte, vuole un mondo ibridato e imbastardito, dove non vi siano popoli, nazioni e culture che possano opporre resistenza, un ibrido “mercato globale” planetario.

Un problema col quale ci dobbiamo confrontare è anche il fatto che una mentalità liberista o neo-liberista è purtroppo variamente diffusa anche nei nostri ambienti. Questo è uno strascico persistente dell’era della Guerra Fredda. Ai tempi della divisione del mondo in due blocchi contrapposti, non sembrava esserci altra prospettiva che quella di appiattirsi sul presunto male minore americano.

In tempi recenti, il nostro Maurizio Barozzi giovandosi della sua posizione di “memoria storica” derivante dall’essere curatore del sito della FNCRSI, ha portato alla luce un’ampia casistica che suggerisce che il MSI sia stato ampiamente infiltrato, manipolato o addirittura creato come esca per attrarre camerati, da ambienti atlantisti e/o addirittura dai servizi segreti americani.

Io – onestamente – non vorrei entrare in una polemica a questo riguardo, anche se riconosco nel nostro Maurizio una persona di grande competenza e serietà.

Senza dover per questo riaprire vecchi contenziosi, il punto davvero importante mi sembra un altro: UNA COSA era essere atlantisti e filo-occidentali allora, quando si viveva sotto la minaccia incombente del comunismo sovietico trattenuta solo dalla paura dell’olocausto nucleare, TUTT’ALTRA è continuare a esserlo oggi, quando l’Unione Sovietica, la Cortina di Ferro, la Guerra Fredda non esistono più da oltre vent’anni, e dimostra solo la vischiosità mentale di chi non si rende conto o non vuole rendersi conto che i tempi cambiano.

Nella prima parte del XX secolo, come abbiamo visto, si contrapponevano il capitalismo liberale e due modelli di socialismo antagonisti, quello con la falce e martello e il socialismo nazionale di matrice fascista. Il “socialismo deforme” con la falce e martello si è coalizzato con il capitalismo per distruggere l’altro. C’è voluto quasi mezzo secolo dalla seconda guerra mondiale, ma alla fine il disfunzionale socialismo sovietico ci ha offerto l’inedito spettacolo di un sistema elefantiaco che comprendeva svariati regimi estesi su un’ampia fascia del nostro pianeta e che penetrava in maniera capillare nella vita dei suoi sudditi a ogni livello, che crolla sotto il suo stesso peso.

Il fatto di aver vissuto per quasi mezzo secolo come “la normalità” una condizione anomala come era quella della Guerra Fredda, non aiuta di certo ad avere le idee chiare al riguardo, ma occorre evidenziare che fra comunismo sovietico e capitalismo “made in USA” si era ben lontani dall’esserci una contrapposizione assoluta, e che entrambi erano fra loro reciprocamente molto più affini di quanto ciascuno dei due lo fosse col “nemico fascista” che hanno concordemente distrutto.

Il fine di entrambi, infatti, era (nel caso dell’USA-capitalismo E’ tuttora) la creazione di un “uomo nuovo” mondializzato, sradicato dal suo nesso naturale in una comunità di appartenenza, in un sistema di valori, di tradizioni, di identità, che invece il fascismo tendeva e tende a rafforzare. Il fine era ed è lo stesso, solo i mezzi impiegati sono/erano diversi. “America come religione”, non a caso era uno slogan caro al leninismo, e certamente questa realtà incontestabile spiega come mai dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica la sinistra italiana e internazionale si è così prontamente piegata a fare da sostegno agli interessi del capitalismo mondialista, interessi che coincidono con i suoi “ideali” molto più di quanto non si pensi.

Noi non possiamo in ogni caso avere nulla a che fare con la “destra” vuoi liberale vuoi conservatrice, allo stesso modo in cui non possiamo essere di sinistra.

“Sinistra” significa egualitarismo, uguaglianza forzata degli uomini che uguali non sono, “destra” significa conservazione, immobilità sociale, accettazione degli status ascritti derivanti dal caso di nascita indipendentemente da competenze, capacità e meriti. A entrambe possiamo contrapporre la visione basata sulla selezione che già Platone aveva delineato nella Repubblica: l’uomo giusto al posto giusto nell’interesse e per il bene di tutti.

Il socialismo nazionale si basa su di un presupposto che è l’esatto contrario sia del capitalismo sia del “socialismo” marxista-leninista: ciò che occorre preservare, proteggere, far sviluppare sia economicamente-materialmente sia culturalmente-spiritualmente, è la comunità nazionale, la comunità di popolo, Volksgemeinschaft, che non è definita solo dal radicamento in un certo territorio, ma dalla comunità e continuità di sangue, Blut und Boden, soltanto qui l’uomo può trovare un’appartenenza, un’identità.

Questo implica parecchie cose, prima di tutto il potere dello stato di intervenire nell’economia, sia per fronteggiare le ingerenze del grande capitale apolide, sia per imporre politiche di equità sociale, perché se vogliamo creare una comunità solidale, non ci possono essere troppe disparità, figli e figliastri.

Questo non significa che la lotta di classe non esista: essa è insita nel fatto che gli interessi umani sono divergenti: se un uomo mangia un pezzo di pane, esso non è più disponibile per tutti gli altri, ma il discrimine, la vera linea di faglia soprattutto in un Paese come l’Italia che ha un tessuto industriale costituito prevalentemente da piccola e piccolissima impresa, non è fra lavoratori dipendenti e imprenditori il cui tenore e il cui stile di vita poco si distingue da quello dei primi, ma fra i ceti produttivi e il grande capitalismo bancario – finanziario parassitario e tendenzialmente apolide, apolidi di lusso che hanno molto più in comune con i loro congeneri di altra nazionalità che con i loro concittadini. Oggi e sempre più, costoro si mascherano dietro le istituzioni “europee”.

Specialmente oggi che la sinistra italiana ed europea (si fa per dire) è incantata dal “sogno” mondialista e multietnico che è poi la traduzione nella realtà dell’incubo disegnato dal piano Kalergy, è del tutto prona a queste istituzioni finto-europee, è dalla parte del nemico, E’ il nemico.

Per decenni la sinistra ha messo in difficoltà gli imprenditori, facilitando l’acquisto delle aziende da parte delle multinazionali e delle holding a loro volta possedute dal grande capitale finanziario e bancario. Oggi che il grande capitale apolide internazionale sta per lanciare l’attacco definitivo alla ricchezza prodotta dal lavoro degli Italiani come degli altri popoli europei, costoro proclamano che “la lotta di classe non esiste”.

Perché dovremmo stupircene? Alla fine tutto si tiene, ed è evidente l’estrazione borghese ed alto-borghese della maggior parte dei leader di sinistra e centrosinistra a partire dalla “mutazione genetica” del 1968. E’ un punto, questo, che ho evidenziato più volte, e non sarà necessario rispiegarlo. Questa sinistra ha ormai gettato anche l’ultima maschera, e di lavoratori, imprenditori, forze produttive della società, dimostra di non potersene infischiare maggiormente o fregare di meno: ormai si occupa solo di rom, nozze gay e immigrati.

Occorre leggerli i classici del pensiero liberista per rendersi conto di tutta l’inconsistenza che sta dietro quello che oggi si vuole gabellare per pensiero unico senza alternative possibili. La “mano invisibile” di cui parlava Adam Smith esiste e oggi non è poi più così tanto invisibile, solo che si dimostra assai più adatta a strangolare una società piuttosto che a indirizzarla verso il benessere comune.

Rileggendo John Locke e la sua giustificazione del diritto di proprietà “che nasce dal lavoro”, non è possibile trattenere un amaro sogghigno: se le cose stessero davvero così, allora l’erede del principale gruppo industriale italiano, Lapo Elkann, avrebbe molto meno non dico dei travestiti con cui è solito accompagnarsi, ma dell’ultimo dei suoi operai.

Va da sé che lo stato in grado di assumersi la direzione della vita economica non può essere lo stato democratico quale lo conosciamo da settant’anni. Nel dopoguerra fu costituita una commissione d’indagine sui profitti del regime fascista che dopo anni di inchieste non riuscì ad approdare a nulla: il fascismo non aveva mai messo illecitamente le mani nelle tasche degli Italiani.

Ai tempi che furono, Giorgio Almirante (per quanto possa essere stata deficitaria la sua linea politica sotto altri punti di vista) ebbe a dichiarare nel corso di una famosa tribuna politica, che quando Mussolini fu appeso per i piedi a piazzale Loreto, non gli uscì di tasca neppure il biglietto del tram, ma quel che più conta, nessuno dei rappresentanti dei partiti antifascisti presenti osò replicare.

La democrazia è globalmente un sistema di corruzione: ovunque si scavi si trova marcio, e più si scava, più marcio si trova.

Al di là degli episodi di corruzione, ciascuno dei quali però è come un albero in una giungla inestricabile, quella che è radicalmente differente nei due regimi, è la concezione dello stato: per i democratici esso è solo una vacca da mungere il più possibile, e non si ha in vista alcun principio più alto dell’interesse personale o di clan.

Prendete un telegiornale come “Striscia la notizia” che essendo un TG satirico è forse l’unico telegiornale serio che abbiamo in Italia, e vedetevi la lista quasi infinita delle incompiute, delle opere pubbliche mai portate a termine, denaro buttato per la collettività: scuole, ospedali, case popolari, carceri, tratti autostradali, impianti sportivi e chi più ne ha più ne metta. Queste non sono storture del sistema, questo è IL sistema con cui enormi quantità di denaro si trasferiscono dalle tasche dei cittadini a quelle della classe politica: si commissionano a delle ditte dei lavori pubblici di cui si conosce a priori l’inutilità, l’impresa incassa i soldi magari gonfiando da subito il preventivo, i politici ci fanno sopra “la cresta” di una lucrosa tangente e chi s’è visto s’è visto.

Occorre dire che oggi le economie dei Paesi europei sono sotto un vero e proprio attacco da parte di quelli che ormai sono indicati come gli euro-vampiri, ma la loro pressione compromette prima di tutto chi è più debole, e per quanto riguarda noi Italiani, essa va a sommarsi o agire su una serie di debolezze puramente endogene. Di debolezze, in settant’anni, sotto una “guida” politica democratica mai minimamente preoccupata del futuro dei propri concittadini, l’Italia ne ha accumulate tante: un debito pubblico spropositato, conseguenza diretta del saccheggio delle risorse nazionali compiuto dalla corruzione partitocratica, la mancata innovazione tecnologica diretta conseguenza della mancanza di investimenti nella ricerca di base che da noi è a livelli di Terzo Mondo: abbiamo puntato tutto sulle produzioni a bassa tecnologia con il risultato che oggi non siamo in grado di competere con il Terzo Mondo la cui produzione è favorita dai bassissimi costi della manodopera.

Quando in ossequio ai dogmi liberisti uno stato si priva dei mezzi per imporre la gestione dell’economia (e ricordiamo quel vero delitto che è stato la demolizione dell’IRI, “eredità fascista” distrutta da Romano Prodi), l’unico strumento che gli rimane per procurarsi risorse è la leva fiscale, ma è uno strumento che si trasforma facilmente in un boomerang. Quando sorpassa un certo limite che noi abbiamo da tempo oltrepassato, l’aumento della pressione fiscale non incrementa ma fa diminuire gli introiti nelle casse dello stato, perché diventa causa diretta di recessione: i contribuenti falliscono, finiscono sul lastrico e ovviamente smettono di produrre gettito. Solitamente ciò porta a ulteriori aumenti della pressione fiscale che, ben lungi dal produrre i risultati attesi, prosciugano ancora di più l’economia reale e peggiorano i conti pubblici in un circolo vizioso davvero diabolico. E’ un vero peccato che in genere gli economisti manchino di cultura storica: anche la disintegrazione dell’impero romano nel III secolo d. C. è cominciata così, con un’OPPRESSIONE fiscale smodata.

Credo, ma non ne sono sicuro, che sia stato John Maynard Keynes a dirlo: uno Stato che cerchi di risollevare l’economia attraverso l’aumento della pressione fiscale fa esattamente come un uomo che cerchi di sollevarsi da terra tirandosi per le stringhe delle scarpe.

Semmai, incrementi anche forti del gettito fiscale senza deprimere i consumi e causare recessione, si potrebbero realizzare aumentando la tassazione sui ceti più elevati: è un discorso di equità e giustizia sociale, ma è anche il fatto che i redditi delle classi alte sono perlopiù capitalizzati, mentre quelli delle classi subalterne si traducono prevalentemente in consumi. Ma è chiaro che non è certo questa la direzione nella quale ci si sta muovendo, semmai in omaggio ai dogmi liberisti, si accresce la pressione fiscale sulle classi subalterne e la si alleggerisce su quelle elevate. Le moderne politiche fiscali ispirate al PENSIERO UNICO fanno degli stati dei Robin Hood al contrario, che rubano ai poveri per dare ai ricchi.

Quando si rileggono oggi i classici del pensiero liberale, John Locke in testa, “la proprietà che nasce dal lavoro”, si ha una singolare impressione di arcaismo: costoro avevano in testa un mondo sostanzialmente rurale di piccoli proprietari terrieri dove il problema più sentito era quello di sostituire gli “open fields” delle antiche comunità di villaggio con le proprietà individuali dei terreni mediante gli “enclosure acts”, un mondo che è scomparso con la rivoluzione industriale, se mai è davvero esistito.

A quei tempi, il problema era – forse – quello di difendere l’autonomia dei singoli contro uno stato che poteva facilmente diventare tirannico, ma oggi il problema è esattamente il contrario, quello di difendere le comunità nazionali da un potere economico, quello del grande capitale multinazionale, fortissimo e ubiquitario, e la libertà d’impresa, una libertà di cui può disporre solo un esiguo strato privilegiato, è un’arma in mano al nemico.

Il socialismo nazionale è più che mai l’unica strada praticabile.

Condividi:

3 Responses

  1. G.
    | Rispondi

    Un’unico pensiero, Roma;scomparso quello, resta il pensiero unico.
    Avete.

  2. Antonio
    | Rispondi

    Veramente Molto Interessante. Un’analisi obiettiva coadiuvata da una proposta ottimale e, a mio modesto avviso, decisamente risolutiva. Tra l’altro ho scoperto questo sito cercando HUGO VON HOFFMANSHAL mentre leggevo GERTRUD di HERMAN HESSE. Quando si dice il destino…Con il T:.F:.A:. Una Buona Giornata a voi di Runa.
    Antonio.

  3. Din
    | Rispondi

    Ma, caro G., Roma, Grecia, Egitto, Cina, India…quanti “unici pensieri”.Restare solo nella Roma classica è limitante. Poi, sono passati 2000 anni…adesso, da qualche secolo, Roma è sinonimo di magna.magna, furbizia, coatteria, dialetto sbracato e pigrizia…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *