Il fuoco segreto

Il Signore degli Anelli è uno delle più belle e raffinate opere della letteratura di tutti i tempi. In questo capolavoro, che trascende la semplicistica definizione di romanzo fantasy, l’autore J.R.R. Tolkien è riuscito mostrarci un’esperienza di vita mitologica che scende in profondità nell’animo umano e ci dà le chiavi di accesso per la via che porta alla Tradizione Primordiale. H.P. Lovecraft sosteneva che non era lo scrittore che inventava un mondo fantasy, ma era il mondo stesso che si manifestava attraverso le pagine degli scrittori più arditi, degli scrittori che più di altri riuscivano a portare sul piano pratico l’Immaginazione Creativa (descrittaci dal Maestro Massimo Scaligero nel libro La Luce). Allo stesso modo, il mondo di Arda non è frutto dell’immaginazione di un pazzoide scrittore inglese, ma è una vera e propria descrizione di un mondo reale dipintoci per mezzo dell’elegante penna di Tolkien.

In uno splendido passo de Il Signore degli Anelli, che già da adolescente mi aveva colpito per la sua spettacolarità e al tempo stesso profondità, Gandalf il Grigio affronta una creatura di Morgoth, un Balrog. La scena si svolge nelle profondità delle miniere di Moria, scavate dagli abili Nani, durante la disperata fuga della Compagnia inseguita ferocemente da una banda di Orchi e Troll. La scena è resa più adrenalinica ed inquietante da un sinistro e profondo suono di tamburi: dum, dum.

Alla fine i nostri amici riescono a raggiungere il ponte di Khazad-dûm, ma qui si rivela in tutta la sua mostruosità la fonte del suono cupo. E’ un Balrog, il Flagello di Durin, creatura corrotto da Morgoth che si era nascosta nelle più oscure profondità delle Montagne Nebbiose per più di cinque mila anni. Questa non è una creatura che possa essere sconfitta da spade, frecce o asce, in questo caso serve la vera forza di cui Gandalf è portatore, la forza della magia derivata dalla sua connessione con l’Uno-Illuvatar: il Fuoco Segreto.

Ecco come la penna di Tolkien ci descrive la terribile scena:

“Il Balrog giunse al ponte. Gandalf era in piedi al centro della sala e con la mano sinistra si appoggiava al bastone, mentre nella destra Glamdring scintillava, fredda e bianca. Il nemico si arrestò nuovamente, fronteggiandolo, ed intorno ad esso l’ombra allungò due grandi ali. Il Balrog schioccò la frusta, e le code scricchiarono e fischiarono. Del fuoco si sprigionava dalle sue narici: ma Gandalf rimase fermo e immobile.

«Non puoi passare», disse. Gli Orchetti tacquero, e si fece un silenzio di morte. «Sono un servitore del Fuoco Segreto, e reggo la fiamma di Anor. Non puoi passare. A nulla ti servirà il fuoco oscuro, fiamma di Udûn. Torna nell’Ombra! Non puoi passare».1

Come tutti sappiamo, il grigio stregone riesce a gettare l’immonda creatura nel baratro, ma questa con un impeto finale riesce a far scivolare Gandalf portandoselo nel pozzo senza fondo.

Analizziamo un attimo quali parole usa Gandalf per sconfiggere il possente demone. Lo stregone si dice servitore del Fuoco Segreto e portatore della fiamma di Anor. Nell’universo descrittoci da Tolkien i termini Fiamma di Anor, Fuoco Segreto o Fiamma Imperitura fanno riferimento a quell’essenza donatrice di vita autonoma che solo Eru-Illuvatar possiede. Si dice infatti ne Il Simarillion:

“In questa Musica il Mondo fu cominciato giacché Illuvatar rese visibile il canto degli Ainur ed essi lo videro come una luce nell’oscurità. E molti fra loro s’innamorarono della sua bellezza e della sua storia che videro cominciare e svolgersi come in una visione. Per questa ragione Illuvatar conferì Essere alla loro visione e la collocò in mezzo al Vuoto, e il Fuoco Segreto fu inviato ad ardere nel cuore del Mondo; e questo fu chiamato Eä.”2

Eä è propriamente il Mondo che è manifesto e il potere di manifestazione è detenuto da Illuvatar che agisce tramite la fiamma di Anor. Una volta che un pensiero, una Musica è stata alimentata dal Fuoco Segreto, questa prende vita e diventa cosa indipendente dall’Uno. L’unico legame che tiene unito la creatura al suo creatore è il reciproco scambio di Amore puro che scorre tra i due enti, Amore che evidenzia la intrinseca unione e unicità dei due.

Nell’Ainulindale si narra di come Melkor, l’Ainu cattivo paragonabile al Loki della mitologia norrena, vagò nel vuoto alla ricerca della Fiamma Imperitura per poter portare all’Essere i propri pensieri, ma non la trovò giacché questa si trova nel Cuore di Eru-Illuvatar.

Gli Ainur non sono altro che parti definite di Eru-Illuvatar, è come se fossero dei pezzettini stessi dell’Uno-Indefinito e in quanto tali sono sua diretta filiazione. A questo punto diventa evidentissimo il collegamento con la tradizione indoeuropea, o meglio Iperborea, che ci dice appunto che fu l’Uomo Cosmico, Purusha o Ymir, che diede vita agli dèi e dunque l’Essere Umano è legittimo creatore di divinità in quanto immagine manifesta di Purusha. Le Forze Divine, o Numina, non sono creatori di realtà quanto piuttosto formatori di essa e l’esperienza di Melkor ci insegna proprio questo. Gli Ainur cantarono una Musica che diede forma al mondo; ogni Ainu dotato di propria autonomia plasmò a suo piacimento parte di questa creazione, ma fu Illuvatar stesso, possessore del Fuoco Segreto, che diede vita al Mondo portandolo nel reame della manifestazione.

Qui l’analogia con l’antica Tradizione è ancora una volta sconvolgente. Infatti come analogo al concetto di Fiamma di Anor troviamo Agni, nella tradizione vedica, e Ignis, in quella latina. Nel mondo vedico si insegna infatti che è Agni, un dio-non-dio, che dà vita alla realtà e che crea quel canale di comunicazione tra mondo umano e mondo divino. Senza Agni, che funge da vettore, ogni sacrificio risulta inutile in quanto sconnesso dal mondo delle forze divine ordinatrici.

Dopo questa necessaria precisazione su cosa si intende per Fuoco Segreto e su quale sia il suo significato esoterico-mitologico, ritorniamo ora ad analizzare lo scontro epico tra Gandalf il Grigio e il Balrog.

Innanzi tutto va precisato che i Balrog erano originariamente dei Maiar, ovvero delle essenze divine gerarchicamente leggermente inferiori agli Ainur. Questi Maiar tuttavia vennero corrotti da Morgoth (ovvero Melkor) e presero dunque le sembianze di demoni di fuoco mutando nome in Balrog. Questo aspetto è importante perché ancora una volta si ha la dimostrazione di come Melkor non possa in realtà dare vita a nessuna creatura, ma come in realtà possa soltanto riplasmarle corrompendone la natura fenomenica.

In realtà, si scoprirà successivamente che anche Gandalf è un Maia e che nella terra di Valinor, la terra degli dèi, portava il nome di Olorin:

“Sapiente sopra tutti i Maiar era Olorin. Anch’egli dimorava in Lorien, ma le sue strade lo condussero spesso alla casa di Nienna, e da lei apprese pietà e pazienza.

Di Melian molto si narra nel Quenta Silmarillion. Ma di Olorin quel racconto non parla; benché amasse gli Elfi, infatti, egli si aggirava tra loro non visto oppure assumendo forma tale da sembrare uno di loro, ed essi non sapevano da dove provenissero le belle visioni o i consigli sapienti che egli metteva nei loro cuori. In epoche successive fu amico di tutti i Figli di Illuvatar e ed ebbe pietà delle loro sofferenze; e chi lo ascoltava si risvegliava dalla disperazione, abbandonando le illusioni dell’oscurità.”3

Dunque Gandalf originariamente era un vero e proprio Nume di potenza che, appresa la compassione dalla divinità a questo preposta (Nienna che muta il dolore in sapienza), si aggirava spargendo consigli a tutti i Figli di Illuvatar, ovvero a Elfi e a Uomini. Chi è interessato ad approfondire la figura di Gandalf, troverà sicuramente spunti interessanti sulla Rete.

Lo scontro tra lo stregone e il Balrog, sua nemesi, avviene nella profondità delle miniere di Moria il cui nome rimanda per analogia alle tre Moire, divinità del fato nella mitologia greca e ci suggerisce dunque di come sia fatale e cruciale le vicende che si svolgono in queste miniere terribili ed oscure. Il fatto stesso che il tutto si svolga nell’oscurità di una caverna profonda che giace nel cuore delle montagne ci suggerisce anche una loro valenza iniziatica, testimoniata da illustri tradizioni passate che videro numerosi iniziati avventurarsi nella profondità degli Inferi per trovare se stessi e diventare ciò che veramente si è. Sono troppi i personaggi mitologici che si avventurano negli antri bui alla ricerca di risposte per poterli citare tutti, due nomi illustri bastino al lettore colto: Ulisse ed Enea.

Gandalf per tutto il viaggio ha tentennato scegliendo sempre altre strade piuttosto che le profondità della terra perché in cuor suo sapeva che vi avrebbe trovato qualcosa di fatale e pauroso allo stesso tempo. Solo dopo che ogni altra alternativa era stata scartata la Compagnia scelse questa via che li porterà nel cuore bruciante delle Montagne Nebbiose.

Nel momento in cui lo stregone affronta il Balrog, in realtà non fa che affrontare una parte di se stesso. Egli si batte con la sua controparte oscura ed infernale giacché il Balrog non è che un Maia (come Gandalf) corrotto dal potere di Morgoth. Nell’unione di queste due fiamme così opposte e antitetiche Gandalf ritroverà se stesso e verrà instillato del Fato, verrà rimandato indietro per adempiere al suo scopo sacrale: la sconfitta di Sauron.

Così ci racconta Tolkien:

“«Caddi per molto tempo», riprese infine lentamente, come se riandare indietro con la mente gli fosse difficile. «Caddi per molto tempo, e lui con me. Il suo fuoco mi avvolgeva. Avvampai. Poi precipitammo nelle acque profonde e tutto fu buio. Erano fredde come il mare della morte, e mi ghiacciarono quasi il cuore».

«Profondo è l’abisso varcato dal Ponte di Durin, e nessuno mai lo ha misurato», disse Gimli.

«Tuttavia ha un fondo, al di là della luce e di ogni conoscenza», disse Gandalf. «Ivi giunsi infine, nelle estreme fondamenta della pietra. E lui era ancora con me. Il suo fuoco era spento, ma ora si era tramutato in un essere di fango e melma, più forte di un serpente strangolatore.

«Lottammo a lungo nelle profondità della viva terra, ove il tempo non esiste. Sempre mi afferrava e sempre io lo colpivo, e infine fuggì attraverso oscure gallerie. Non erano state scavate dal popolo di Durin, Gimli figlio di Gloin. Giù, molto più giù dei più profondi scavi dei Nani, esseri senza nome rodono la terra. Persino Sauron non li conosce. Essi sono più vecchi di lui. Adesso io ho camminato in quei luoghi, ma non narrerò nulla che possa oscurare la luce del sole. Disperato com’ero, il mio nemico era l’unica speranza che avessi, e lo inseguii afferrandogli le caviglie. Così mi condusse dopo molto tempo nei segreti passaggi di Khazad-dûm, che conosceva sin troppo bene. Poi continuammo a salire, sempre più in alto, e giungemmo all’Interminabile Scala» […] «S’inerpica dalla galleria più profonda sino alla vetta più alta, una spirale ininterrotta di molte migliaia di gradini che ascende sino alla Torre di Durin, scavata nella viva roccia di Zirakzil, la punta estrema di Dentargento.

«Ivi, in cima a Celebdil, vi era una solitaria finestra nella neve, e al di là di essa uno stretto spazio, che pareva un vertiginoso nido d’uccello rapace sovrastante le nebbie del mondo. Il sole vi scintillava con violenza, ma in basso ogni cosa era avvolta dalle nubi. Lui con un balzo fu all’aperto, e nel momento in cui lo raggiunsi avvampò in nuove fiamme».

[…]

Un grande fumo s’innalzò intorno a noi, vapori e foschie si sprigionarono. Il ghiaccio cadde come pioggia. Scaraventai giù il mio nemico, e lui precipitando dall’alto infranse il fianco della montagna nel punto in cui cadde. Allora fui avvolto dall’oscurità, errai fuori dal pensiero e dal tempo, e vagabondai lontano per sentieri che non menzionerò.

«Infine fui rimandato nudo là dove l’oscurità mi aveva colto. E giacqui nudo in cima alla montagna. La torre dietro di me non era altro che polvere, e la finestra scomparsa; la scala in rovina soffocata dai massi arsi ed infranti. Ero solo, dimenticato, senza speranza di salvezza, sul duro corno del mondo. Ivi, supino, guardavo sopra di me le stelle compiere il loro ciclo, e ogni giorno era lungo come una vita terrena. Vago alle mie orecchie giungeva il rumore confuso di tutte le terre: il sorgere e il morire, il canto e il pianto, e il lento eterno gemito della pietra sotto il troppo pesante fardello. Così infine mi trovò Gwaihir, il Re dei Venti; mi prese con sé e mi portò via».4

Come il lettore attento avrà già notato, l’esperienza di Gandalf è un’autentica esperienza misterica per nulla differente da quella che gli Iniziati dell’antichità dovevano vivere per poter accedere ai Grandi Misteri. Per facilitare la comprensione proverò a schematizzare l’esperienza del nostro eroe analizzandone i passi salienti:

  1. Caddi per molto tempo… Il suo fuoco mi avvolgeva: La discesa negli abissi dell’anima è una vera e propria caduta, una caduta che conduce l’Iniziato lontano dalla sorgente proiettandolo nelle più basse sfere della materia. La caduta in sé è necessaria perché permette all’anima di fare esperienza di sé e in ultima analisi permette all’Uno-Assoluto di divenire. Questa discesa, testimoniata da tutte le tradizioni antiche, per Gandalf non avviene da sola, ma a lui si accompagna il Balrog. In questo interminabile abisso Gandalf si avvolge con la sua nemesi, i loro due Fuochi ardono e diventano un tutt’uno. In questa fase non c’è differenza tra Gandalf il Grigio e il Balrog di fuoco, sono uniti come un sol essere.
  2. Precipitammo nelle acque profonde e tutto fu buio. Erano fredde come il mare della morte, e mi ghiacciarono quasi il cuore: Alla fine la discesa termina. La fine si trova in un mondo senza luce, senza calore dove ogni fiamma si spegne. E’ solo nel momento in cui ci si avvicina paurosamente alla distruzione della propria anima che si può riscoprire la  natura divina. E’ solo nel gelo più profondo e più terribile che si può ritrovare la vera fiamma che arde nel nostro cuore. Questa è la morte di Gandalf-Balrog.
  3. Il suo fuoco era spento, ma ora si era tramutato in un essere di fango e melma: La fiamma che arde in seno al petto del demone non c’è più in quanto il demone stesso cessa di esistere in quanto essere separato da Gandalf. Ci si trova in uno stato di non-dualismo. Nella caduta Gandalf ha compreso che in realtà il Balrog è un essere che vive dentro di sé e quindi ora si è “tramutato in un essere di fango e melma”, simboli di indifferenziata fertilità trasformatrice.
  4. Disperato com’ero, il mio nemico era l’unica speranza che avessi: Gandalf perde il proprio Io, supera l’attaccamento al sé e diventa Assoluto. Vive in uno stato di non-tempo e di non-spazio. L’unico modo che ha per tornare nel mondo è rigettarsi nel reame della dualità, nel samsara buddhista, e usa a proprio vantaggio il nemico stesso; la nemesi diventa unica salvezza.
  5. S’inerpica dalla galleria più profonda sino alla vetta più alta: La Scala Interminabile è simbolo di ascesi. Gandalf ascende nuovamente al mondo per mezzo del demone e ritorna dunque nella realtà manifesta.
  6. Il sole vi scintillava con violenza, ma in basso ogni cosa era avvolta dalle nubi: Giungono infine di nuovo nel mondo, ma non è il mondo di prima che giace ai loro piedi avvolto nelle nubi e nella confusione. Il mondo in cui risorgono è un mondo pieno di luce e di chiarore in cui il Sole, Fiamma di Amore, scintilla addirittura con violenza, ovvero con una forza talmente forte che per disabitudine gli sembra violenta. Ma il Sole scintillante indica anche che la Fiamma Imperitura, che arde nel petto dello stregone, ha riacquistato la sua vera essenza divina. E’ ciò che i vedici chiamano la seconda nascita di Agni.
  7. Lui con un balzo fu all’aperto, e nel momento in cui lo raggiunsi avvampò in nuove fiamme: Il ritorno al mondo della vita proietta di nuovo il Balrog in una dimensione esterna. Il dualismo del mondo manifesto si è di nuovo estrinsecato e la Fiamma di Udûn si riaccende. Il nemico interno diventa un essere esterno e pericoloso da affrontare. Ma dopo essere stato sconfitto nella dimensione interna, l’esito dello scontro titanico è già segnato. E infatti…
  8. Scaraventai giù il mio nemico… Allora fui avvolto dall’oscurità, errai fuori dal pensiero e dal tempo: Gandalf ora è ritornato ad essere una creatura divina, con la piena consapevolezza interna di ciò che veramente E’. Dunque con un turbinare di fuoco e lampi sconfigge in poco tempo il nemico; è vittorioso sulla Nemesi. Ha capito il suo demone, l’ha affrontato con determinazione, accettato per quello che è (una parte di sé), infine interiorizzato e quindi sconfitto. L’immane fatica della rinascita però lo lascia esausto ed è in questo momento che lui perde se stesso e rifiuta il proprio Io per ricongiungersi nuovamente con l’Assoluto.
  9. Infine fui rimandato nudo là dove l’oscurità mi aveva colto… Così infine mi trovò Gwaihir, il Re dei Venti; mi prese con sé e mi portò via: Tuttavia non aveva ancora completato il suo Fato e così, come i Bodhisattva della tradizione orientale, decise di tornare nudo e rinato. Infine lo salva Gwaihir, il Signore delle Aquile, simbolo di potenza e di imperio regale.

Gandalf è tornato come il Bianco, essere Iniziato che ha riscoperto la propria natura divina, essere che ha riacceso in sé il Fuoco Segreto che guida ogni passo e brucia ogni nemico.

Questo è quanto ci insegna la terribile, seppur divina, esperienza dello Stregone Compassionevole. Tuttavia ora sento l’esigenza di abbandonare per un attimo i panni dello studioso.

Il mondo che mi circonda mi richiama e non si possono ignorare né il Dolore né l’Amore emanati dalla Bellezza del nostro mondo. Vorrei fare una piccola proposta al lettore: TU che leggi queste parole fai propria l’esperienza mitologica di Gandalf, trai dentro di TE la forza che ha condotto il Saggio a buttarsi nell’abisso per affrontare il demone infernale, fatti guidare dalla Fiamma Imperitura che arde, anche se inconsapevolmente, nel tuo cuore. Apri il Cuore al mondo giacché esso necessita di TE; così come Gandalf fu rimandato nudo nel mondo, così TU non puoi abbandonarlo nel momento del massimo bisogno, ita est.

Noi siamo i Figli di Illuvatar e in quanto tali dobbiamo cavalcare l’attuale epoca di corruzione e ritrovare la via verso le Beate coste di Valinor, lì ci attende la nostra vera natura, lì ci attende la nostra essenza divina.

Come fare questo? Seguendo l’esempio di Gandalf; ovvero coltivando dentro di sé la disciplina e la forza del Fuoco Segreto, ciò che la tradizione vedica ci indica con il termine “tapas” di cui il compianto Pio Filippani Ronconi era Maestro d’Arte.

Per aiutarci in questa Opera grandiosa, il mondo ci ha regalato tre splendidi gioielli. Tre magnifici tesori che Tolkien chiamò Silmaril, ma il tempo è finito e verrà un altro momento per parlarne.

Note


1 Tutte le citazioni sono tratte da Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien, Bompiani edizioni, p.441.

2 Tratto dal Il Valaquenta. Pag. 47 dell’edizione di Bompiani de Il Silmarillion.

3 Vd. sopra. Pag. 53.

4 Vd. nota 1. Pag. 611-612.

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3 Responses

  1. marco
    | Rispondi

    Il Silmarillon mi ha tenuto incollato a sè fino alla 4a o 5a rilettura. Come dici tu, è probabilmente perché va in risonanza con verità arcaiche che portiamo – piu o meno inconsciamente – dentro di noi…. mi verrebbe un'analogia tra il concetto di Fuoco segreto e quello che l'Ermetismo definisce il "pneuma" ovvero il soffio vitale.

  2. michele
    | Rispondi

    Non immaginavo che l'opera di Tolkien si prestasse a tale lettura

  3. Simon Grosjean
    | Rispondi

    @Marco: in effetti una certa analogia c'è. Nell'ermetismo il pneuma è lo spirito divino posseduto da alcuni uomini. Da ignorante quale sono di ermetismo mi viene da dire che "pneuma" e "fuoco segreto" siano due concetti che esprimono in modo diverso lo stesso principio.

    @Michele: capisco il tuo stupore, per tanti anni ho creduto che Tolkien fosse soltanto un bravo romanziere e inventore di miti. Ma la sensazione, che descrive Marco, di avere a che fare con qualcosa di più grande ed antico mi ha portato a queste riflessioni.

    Saluti

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