«L’uomo è però ancora privo del phallus, non della virilità fisica ma
di quella trascendente, del potere creativo o magico divino. Lo ritroverà
– e sarà completo – solo come l’iniziato e come «l’osiridificato»»
(J. Evola, Metafisica del sesso)
Nella città di Kawasaki, non distante da Tokyo, esiste tutt’oggi una festività shintoista della fertilità, chiamata Kanamara Matsuri, letteralmente “festa del pene di ferro”. Divenuta oramai una festa per lo più mondana e consumistica, nei secoli passati pare avesse ancora una qualche connotazione sacrale. Durante questa festa, dei peni di grandi dimensioni vengono portati in processione, su appositi palanchini, attorno ad una folla rumorosa e festante, in una situazione che assomiglia molto ai nostri moderni carnevali. La forma fallica la si trova ovunque: dalla vendita di lecca-lecca, a verdure appositamente intagliate, a finti nasi di plastica o perfino grandi falli di legno sopra i quali giovani festanti e sorridenti si fanno fotografare. Manco a dirlo, questa festività è divenuta oramai un’attrazione anche per molti stranieri.
Per quanto sia forse la festività del genere più conosciuta, non è l’unica: sempre in Giappone, nel villaggio di Komaki, durante la festa della fertilità chiamata Honen Matsuri, un enorme fallo viene portato in processione, attorno ad una folla festante, vendita di souvenir connessi, e preti shintoisti che pregano e cantano. Tra le varie festività della fertilità eccentriche che il Giappone ci offre, come anche quella che si tiene nel villaggio di Asuka, le due precedenti sono forse le più importanti (1).
Queste moderne festività dionisiache, che ricordano le falloforie dell’antica Grecia e le liberalia romane, sono forse i residui più evidenti di un antico culto sacrale fallico che, in una visione tradizionale, non avrebbe avuto alcunché di osceno o materialistico. In Grecia, il più evidente residuo di tale antico culto, modernizzato anch’esso in senso consumistico, come nei casi giapponesi sopra citati, è probabilmente la festa della fertilità che si tiene nella città greca di Tyrnavos, nei primi giorni della Quaresima, durante la quale vengono venduti souvenir falliformi di ogni genere (2).
Eppure, nella visione tradizionale, non è sempre stato così. Ben diverso, secondo alcuni, era il significato originario del culto fallico.
L’autore che più di ogni altro ha sostenuto questa visione sacrale del culto fallico è stato, probabilmente, Richard Payne Knight, insigne studioso, archeologo e numismatico, membro del parlamento inglese tra fine Settecento ed inizio Ottocento, e già trustee del British Museum. Il suo Il culto di Priapo (3), stampato nel 1786, è tutt’oggi di difficile reperibilità, ma già nella seconda metà del Settecento, quando venne alla stampa, subì enormi censure e critiche. Critiche che sono ancora dilaganti tra gli storici delle religioni (4), riscuotendo tuttavia ancora interesse in certi ambienti, in particolare tra gli studiosi della Tradizione.
Il culto della virga virilis era in realtà praticato un po’ ovunque nell’antichità, soprattutto nella forma di semplici pietre, di foggia più o meno falliforme, che avevano svariate funzioni, propiziatorie alla fertilità dei terreni o altro, e che non erano in alcun modo collegate direttamente ad alcunché di sessuale. Avevano una funzione prettamente sacrale. E perfino con l’avvento del cristianesimo tale culto non morì del tutto, ma si trasformò in festività cristiane, quale quella dei Santi Cosma e Damiano, ad Isernia, o di Saint Foutin in Francia (5).
Il Phallic Rock che si trova nell’isola di Molokai, nelle Hawaii, è un famoso esempio di tali pietre sacre, e tuttora tale luogo viene considerato sacro dai locali. In hawaiiano viene chiamato Kaule o Nanahoa, ossia il fallo di Nanahoa, dio della fertilità nella tradizione hawaiiana.
«Il senso che i Greci e gli Egiziani legavano ai simboli in questione», ci ricorda Knight, «sicuramente non era né burlesco né licenzioso. Ne è prova, soprattutto, che il simbolo fallico era solennemente portato nelle processioni, durante la celebrazione dei misteri, custodi dei principi primordiali della religione. In questi misteri, la conoscenza del dio della natura, il primo, il supremo, l’intelligente, era comunicata all’iniziato, sotto il sigillo del segreto e dei giuramenti più obbliganti. Il neofita doveva purificarsi prima dell’iniziazione, astenersi dal piacere sessuale e da ogni cibo immondo; ciò dimostra che nessuna intenzione impura era a monte di questo simbolo, e che esso invece, rappresentava un principio fondamentale della fede, principio su cui abbiamo scarse informazioni a motivo dell’oscurità che copriva questi aspetti della religione» (6).
Knight propone una visione metafisico-tradizionale del simbolo in questione, senza usare mezzi termini. «L’organo della generazione rappresentava l’attributo generatore o creatore […] Questa interpretazione disturberà probabilmente quelli che non sono abituati ad elevare lo spirito al di sopra dei pregiudizi ricevuti, ma sembrerà giusta e razionale a quelli che valutano i costumi e le abitudini in relazione con le cause che ne sono all’origine, e non secondo le idee particolari ed i pregiudizi di un’altra epoca e di un altro paese […] Poiché questi simboli esprimevano idee astratte attraverso oggetti tangibili, i loro inventori dovettero sceglierli fra le proprietà caratteristiche che avevano maggiore analogia con le attribuzioni divine che desideravano rappresentare» (7).
Priapo, come sappiamo, viene spesso associato a Pan, a Silvano (o Fauno) ed anche a Mutino. Una divinità simile è anche Eshu/Elegba della mitologia yoruba africana, ma diffusa anche nelle Americhe attraverso la santeria ed il candomblé. Così come il dio Freyr (Fricco) della mitologia norrena, simboleggiato spesso come un fallo.
Tale simbologia, pur con diversi nomi, rappresenterebbe sempre il dio della natura, il primo tra gli dèi della manifestazione creatrice. Knight ci ricorda che Pan viene talvolta rappresentato mentre si versa l’acqua sugli organi genitali, ad indicare la potenza creatrice, ed assimilandolo in tal modo, in modo chiaro, a Priapo.
Anche Evola ci ricordava il carattere sacrale, iniziatico e magico del simbolo itifallico, il lingam di Shiva, qualora affermava che «a questo culto è stato attribuito quasi sempre un significato soltanto naturalistico, se non pure «osceno», riducendolo a un culto della fecondità e della virilità procreatrice pandemica. Ma ciò, in fondo, non riguarda che gli aspetti più esteriori, degradati e popolari del complesso di cui si tratta. In realtà, il simbolo fallico è stato anche usato a esprimere proprio il principio della virilità trascendente, magica o sovrannaturale quindi cosa assai diversa dalle varietà puramente priapiche del potere maschio» (8).
Il grande Pan non è morto, come invece sosteneva Plutarco, ma si è senz’altro addormentato, a causa del nostro umano decadimento. Si perse la visione enoteista del divino, e a causa di ciò «Il dio multiplo, il polymorphos e myriomorphos dell’antica teologia, divenne una moltitudine di dèi e dee, spesso descritti dai poeti come diversi gli uni dagli altri, litiganti fra loro, sotto le stesse passioni che agitano gli uomini. […] Il Priapo venerabile […] decadde da dio della natura a quello di divinità rurale subalterna […] La sua degradazione non si ferma là: lo ritroviamo in un’epoca ancora più profana e corrotta, essere oggetto di derisione e d’insulto, buono tutt’al più a spaventare gli uccelli ed i ladri con la sua apparenza rubiconda» (9).
Tocca a noi risvegliare quel dio, tanto adorato nell’antica Macedonia, il dio della natura, della vita e della morte naturale. Ma in senso simbolico, è il dio della resurrezione dalla morte, la forza primigenia naturale, manifestazione di quella Assoluta, nello spazio-tempo. La forza della virya, capace di vincere la forza tellurica più profonda.
Note
1 Anche il santuario Awashima-jinja di Wakayama, sempre in Giappone, attrae molti turisti per la presenza di forme falliche di svariate forme, dimensioni e materiali, principalmente pietra e legno.
2 Vi sono anche luoghi in cui storie personali, più o meno reali, sono state usate per creare un ritorno economico usando il simbolo fallico come attrazione. L’esempio più famoso è forse l’Haesindang Park sudcoreano.
3 R. P. Knight, Il Culto di Priapo, Fratelli Melita, La Spezia 1988. (La prima edizione italiana venne pubblicata nel 1981 dalla Newton Compton).
4 Gli stessi curatori della traduzione italiana del libro di Knight, Maria Cristina Martini e Alfonso Di Nola, sono critici con la visione di Knight, proponendo un’interpretazione “marxista” del culto di Priapo.
5 Vi sono numerosi esempi di strutture o riferimenti falliformi nell’antichità, in numerose civiltà orientali ed occidentali. Pensiamo agli obelischi egizi, ai numerosi monoliti (o dolmen) europei, sudamericani (es. Cuzco) ma anche indiani.
6 Ibid., pp. 39-40.
7 Ibid., pp. 40-41.
8 J. Evola, Metafisica del sesso, Mediterranee, Roma 2009, p. 174.
9 R. P. Knight, cit., p. 100.
nikki
ciao! vorrei saperne di più! lascio la mia email! se c’è chi mi spiega la differenza fra il passato culto e l’attuale! logosluna@gmail.com