Nei giorni scorsi il segretario della Lega, Umberto Bossi, ha detto che se non dovesse passare il referendum sulle riforme costituzionali il nostro sistema non potrà più essere cambiato democraticamente e quindi bisognerà passare da altre vie, evocando, implicitamente, scenari di violenza e di eversione.
Quella di Bossi è stata un’affermazione sciagurata e inaccettabile perché in democrazia il voto, e solo il voto, è sovrano. Tuttavia non si può nascondere il senso di frustrazione e di rabbia impotente che prende il cittadino nel vedere che cosa è diventata la democrazia italiana e di che pasta sia fatta la sua classe politica e dirigente. Non mi riferisco ovviamente alle vicende referendarie, ma allo scandalo, l’ennesimo, scoppiato in questi giorni a seguito delle inchieste su prostituzione, gioco d’azzardo e dintorni. Non interessa qui il personaggio più noto, ma anche più rilevante, rimasto impigliato nell’inchiesta, il principe Vittorio Emanuele, già sufficientemente squalificato dal suo passato (anni fa nell’isola corsa di Cavallo, per un’assurda bravata sparò un colpo di fucile che ferì in modo irrimediabile un tedesco di 19 anni, Dirk Hammer, che morì dopo una lunga e atroce agonia. L’erede di Casa Savoia uscì indenne dalla vicenda, dopo undici anni di processi, perché evidentemente nemmeno in Francia la legge è uguale per tutti). Interessano i comportamenti dei politici, in questo caso degli uomini dell’entourage dell’ex ministro degli Esteri Gianfranco Fini, ma che riguardano in realtà l’intera classe dirigente democratica, di qualsiasi partito.
Sappiamo benissimo che esiste la presunzione di innocenza (anche se, a causa della esasperante durata del processo italiano, si trasforma, molto spesso, attraverso la prescrizione, in una pura e semplice impunità), ma quello che, anche di non penalmente rilevante, emerge con certezza dalle intercettazioni è già sufficiente.
Innanzitutto il linguaggio, che è lo stesso di Moggi e compari: quel romanesco sbracato, allusivo e mafioso che tratta della cosa pubblica come fosse “cosa nostra”, un affare che riguarda gli amici e gli amici degli amici.
Eppoi l’arroganza spudorata, figlia della certezza dell’impunità. Ha detto (al Corriere della Sera, non in un’intercettazione) Francesco Proietti Cosimi, il segretario di Fini, ora eletto senatore: «Sì, raccomando. Le “anime belle” si rassegnino. Mi capita di spedire a chi di dovere biglietti con qualche nome di persona bisognosa di aiuto. Nulla di illegale. La politica è anche questo. Le “anime belle” devono capirlo». Può anche darsi che le “anime belle” debbano capire, ma che diciamo a quei cittadini che non essendo infeudati a questo o a quel partito, si vedono scavalcati per un posto di lavoro, alle Poste, alla Forestale, all’Enel, alla Rai? Debbono capire anche loro?
In realtà noi non viviamo più, da tempo, in una democrazia, ma in un sistema feudale, di minoranze organizzate, di oligarchie politiche, di aristocrazie mascherate le cui prepotenze sul cittadino non si sostanziano più, come ai tempi di Don Rodrigo, nella violenza fisica o nella sua minaccia, ma agiscono, come scrivo in Sudditi, «sul vasto terreno grigio, non legale, ma nemmeno apertamente illegale, e quindi inafferrabile e non contrastabile, dell’abuso e del sopruso, mantenendolo in una condizione di perenne inferiorità, paria invece che pari». Di fronte a un sistema del genere il cittadino è totalmente indifeso, anche dal punto di vista giudiziario.
«Nulla di illegale» dice perciò spudoratamente l’ineffabile Francesco Proietti Cosimi. Sì, ma tutto di arbitrario e di sostanzialmente violento. La violenza apparentemente soft, sotterranea, quasi invisibile di questo neofeudalesimo democratico che emargina i cittadini liberi a pro degli adepti, dei favoriti, delle favorite, dei clientes. Che è poi il sistema con cui le oligarchie politiche, col voto di scambio, mantengono il consenso, chiudendo e completando così la truffa democratica.
Gianfranco Fini si è detto indignato per la pubblicazione delle intercettazioni e la violazione della privacy. C’è un filo di ragione in ciò. Ma i cittadini non devono invece indignarsi? Debbono rassegnarsi e inchinarsi a questa violenza neofeudale e ai mille Don Rodrigo di oggidì senza che ci sia nemmeno uno straccio di Fra Cristoforo a difenderli?
Nel gennaio del 1983 scrissi, sul Giorno, una “lettera aperta” al vicesegretario del Psi, Claudio Martelli, avvertendolo che se i socialisti avessero proseguito sulla strada degli abusi, dei soprusi, dei più sfacciati clientelismi, arrivando persino, come Don Rodrigo, a “torre le donne altrui”, prima o poi sarebbero stati sommersi dall’indignazione e anche dalla violenza popolare. E così anche dieci anni dopo. «Questa è la politica» dice Francesco Proietti Cosimi. Ma se questa è la politica, se questa è la “democrazia reale”, e, come pare evidente, non intende cambiare, verrà, prima o poi, fatalmente il giorno in cui si avvererà la sinistra profezia di Bossi, anche se per ragioni completamente diverse da quelle cui pensa il leader della Lega. E credo di non sbagliarmi. Come non mi sbagliavo allora.
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Tratto da Il Gazzettino del 20 giugno 2006.
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