In prossimità del solstizio d’inverno è uscita la seconda edizione, riveduta e aumentata, del Quaderno evoliano Civiltà americana. Pubblicato dalle Edizioni Controcorrente, costa 10 euro, reca una premessa di Gianfranco de Turris e una mia Introduzione intitolata La tenaglia si è chiusa. Si tratta del quarantacinquesimo volume della collana; è il secondo di cui la Fondazione mi ha affidato la cura, dopo Il “mistero iperboreo”.
Ecco gli articoli che compongono la raccolta:
Noi antimodemi (1930)
America: l’equivoco del “popolo giovane” (1942)
La doppia maschera (1950)
Civiltà americana (1952)
“Libertà dal bisogno” e umanità bovina (1952)
Moralità americane (1953)
L’americanizzazione e le responsabilità della Rai (1954)
In questo ultimo paio di mesi ho lasciato completamente da parte la saggistica e mi sono dedicato alla lettura di racconti, romanzi e diari di viaggio, per lo più di autori di cui avevo già affrontato qualcos’altro in precedenza. Ho l’assurda fissazione (che non ha alcuna finalità) di tentare di leggere gli autori per intero: e questo persino quando non mi interessano particolarmente, forse per evitare di lasciare il lavoro incompiuto.
Ad ogni modo questo metodo bizzarro ha pure i suoi lati positivi, perché permette, facendo una caccia sistematica, di andare a scovare il libro migliore di ogni autore. Per adesso, per quanto riguarda Bioy Casares, il libro in questione è L’invenzione di Morel, la cui storia è basata su un’idea eccentrica e anticipatrice (la realtà “ologrammatica”) e narrata in modo impeccabile.
Naturalmente il mio metodo presenta l’altro lato della medaglia: ci si ritrova costretti a leggere anche le cose peggiori. Per Bioy Casares e Borges questo è senza dubbio il caso dei gialli di Isidro Parodi (Sei problemi per don Isidro Parodi), decisamente molto modesti. Il giallo richiede misura e un po’ di credibilità nella trama, nel lessico, nell’ambientazione; il lettore deve cioè abbandonare, almeno per qualche istante, la sensazione di trovarsi davanti a un’arguta costruzione mentale e nulla più. In questi racconti ciò non accade neppure per un istante. Il miscuglio di comico, drammatico, smisurato e grottesco non è una ricetta d’alta cucina ma un pasticcio stomachevole. E due autori non sono meglio di uno, piuttosto è vero il contrario.
Ne ho avuto conferma leggendo Elogio dell’ombra di Borges, raccolta eterogenea di saggi, poesie, racconti brevi, aforismi e diari (nella maggior parte dei capitoli questi e altri generi si mescolano).
Da tanto tempo avevo poi il libretto di Massimo Bontempelli Noi, gli Aria (ed. Sellerio). Il titolo è invitante ma un po’ fuorviante; sono riflessioni di viaggio in Sudamerica, compiute negli anni ‘30 insieme a Pirandello e altri esponenti della cultura italiana dell’epoca. Lessico e stile costituiscono la parte interessante, ma anche il limite di questo libretto: quello scrivere retorico e iperbolico tipico dell’epoca si combina con intenti poetici, secondo me con esito raramente felice.
Incuriosito dal lancio in grande stile ho letto Nessun doloredi Domenico di Tullio, “il romanzo di Casapound”, stranamente pubblicato da Rizzoli. E’ un buon romanzo di propaganda adatto a un pubblico di giovanissimi, ottenuto assemblando tra loro le principali canzoni degli Zetazeroalfa. Il passo più riuscito, a mio avviso, è quello in cui l’autore riversa la sua reale esperienza di avvocato e descrive la tipica fauna da Tribunale (magistrati, cancellieri ecc.).
Come al solito sono poi tornato a dedicarmi alle avventure polari leggendo un libro su un viaggio artico e un altro su un viaggio antartico. Il primo è Passaggio a Nord Ovest di Willy de Roos, l’olandese che per primo riuscì a ripetere con successo il viaggio di Amundsen su una barca a vela; con le due differenze, sostanziali, che disponeva di un motore ausiliario e che riuscì a compiere il passaggio in un solo anno, senza mai svernare nell’Artico. Il secondo è L’inferno di ghiaccio di Katherine Lambert (Il Saggiatore) ed è dedicato all’avventura di sei uomini della spedizione Scott che dovettero affrontare in condizioni disperate l’inverno antartico, riuscendo infine a salvarsi in maniera incredibile. Alla categoria delle letture ricorrenti appartiene anche il recente Maigret e il produttore di vino.
La lettura più interessante di questo periodo è stata L’altra parte di Alfred Kubin, famoso romanzo gotico-onirico-orrorifico, tipicamente novecentesco. Di Kubin avevo appreso per la prima volta in Ernst Jünger, che se ne era occupato, mi pare, ne Il contemplatore solitario. Il romanzo è un sogno su un piano inclinato, si apre cioè come un placido viaggio in regioni fantastiche e si trasforma in incubo a velocità accelerata.
Mi è sempre difficile porre un titolo agli articoli in cui annoto le mie ultime letture, perché vi raccolgo libri che, il più delle volte, non hanno una caratteristica comune; e così anche questo articolo sui Libri di guerra ha un titolo che non è del tutto veritiero, perché solo la maggior parte delle ultime letture ha riguardato la storia militare.
Nell’ultimo post avevo dimenticato di menzionare La bella gioventùdi Franco Panizon. Le premesse erano buone, già dal sottotitolo: Memorie di un alpino della Monterosa (ed. Mursia), la divisione alpina che sul finire del ’43 aveva sostituito le stellette coi fasci repubblicani. Questo libro è stato però una delusione, sia perché grammatica, sintassi e logica vanno e vengono in libertà, sia perché l’autore, nonostante durante la guerra civile avesse fatto la scelta giusta, cioè la scelta sbagliata – in parole semplici, la via dell’onore -, dopo la tragedia della “liberazione” si lasciò docilmente lavare il cervello e inebetire dall’oppio dell’antifascismo, facendosi persino intruppare nel PCI-PDS. L’unico aspetto interessante del libro è forse il conflitto interiore che si intravvede sullo sfondo, tra il rimpianto, negato, per quel biennio di gioventù, bellezza e cameratismo (durante il quale l’autore un paio di volte sparò anche addosso ai partigiani) e la mediocrità che venne dopo.
Al diario della grande guerra del conte Felix von Luckner, cui ho accennato nello scorso articolo, ho poi affiancato quello del barone Manfred von Richthofen (Io sono il Barone Rosso), che forse è a tutt’oggi il militare più ricordato ed emblematico di quella guerra. Sono notevoli i parallelismi tra i due personaggi: entrambi di ascendenza aristocratica, entrambi ferventi patrioti, entrambi coraggiosi fino ai confini della temerarietà ed entrambi protagonisti di successi strepitosi. Ma mentre il Barone Rosso ebbe quel destino di chi è veramente caro agli dèi, morendo nel fiore degli anni e all’apice di una carriera di incredibili successi, a von Luckner accadde di dover assistere al disastro della patria.
Poi: Sulle orme del capitano di Ion Màrii, che chissà da quanto tempo avevo in casa. Un ritratto veritiero della bontà e semplicità di Codreanu fatto attraverso i testimoni di un suo viaggio. E due libri di Conrad, Al limite estremo e i Racconti di mare e di costa. Quest’ultimo raccoglie tre racconti – o romanzi brevi. Sono tutti ben compiuti e destinati a conficcarsi nella memoria; assai più dei Simenon che mi ostino a leggere (l’ultimo è Maigret a Vichy; il titolo è dovuto al fatto che il commissario protagonista è alle prese con le cure termali, non col governo Pétain!).
Poiché I leoni morti è uno dei più bei romanzi di guerra che io abbia mai letto, quando ho visto che le edizioni Ritter hanno pubblicato il suo “seguito”, I Maledetti, comprarlo e leggerlo è stato tutt’uno. Purtroppo qui si passa alla finzione (la vicenda è ambientata in uno stato immaginario del Sudamerica che si chiama Gualivia) e tutto è più piccolo e deformato; certo, vi è ancora la stoffa di Saint Paulien, vi sono ancora, dominanti, i temi dell’eroismo e del coraggio, ma è come passare dal mito – la difesa di Berlino – alla leggenda, o poco più.
Ho letto poi I diavoli verdi di Cassino di R. Werner, un volumetto di chissà che epoca (forse gli anni ’60) in edizione popolare; a giudicare dalla carta dubito che sia mai passato da una libreria, probabilmente circolò tramite edicole. Se è veritiero (cosa che facendo ricerche su internet non sono riuscito ad appurare) è una straordinaria testimonianza di un ufficiale Fallschirmjaeger sulla battaglia di Montecassino, resa tra l’altro in modo molto avvincente.
E infine L’affondamento dello Scharnhorst di A.J. Watts, un resoconto molto asettico su un’importante battaglia navale che ebbe per teatro il braccio di mare tra Capo Nord e gli arcipelaghi artici (Svalbard, Isola degli Orsi, Novaja Zemlja), il passaggio cioè attraverso il quale i Britannici rifornirono massicciamente di mezzi l’Unione Sovietica.
E’ passato parecchio dall’ultimo post sui libri che ho letto; corro ai ripari prima che sia troppo tardi, prima cioè che la mole eccessiva della carta accumulatasi mi induca a rinunciare al compito improbo. I libri andrebbero segnalati, e soprattutto recensiti, a una distanza “media”: non troppo nelle immediatezze, quando il giudizio rischia di essere precipitoso, e non troppo tardi, quando nella memoria iniziano a crearsi lacune e inesattezze. Sono più vicino al secondo termine, quindi non posso più tergiversare; quelle che seguono sono, grosso modo, le mie letture estive di quest’anno, sparse tra casa mia, mare, monti e città straniere.
In Siberia di Colin Thubron è stata una bella scoperta. Un bizzarro inglese di mezza o tarda età, all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, si è impegnato in un viaggio sino a poco prima proibito agli occidentali. Offre una panoramica su un mondo in rovina, e posa lo sguardo sull’abisso di terrore, e spesso anche di imbecillità, del regime stalinista. Al tempo stesso rende però anche comprensibile lo strano sentimento russo di nostalgia per quel passato naufragato repentinamente.
Ho letto un libro piuttosto curioso di Chuck Palahniuk (La scimmia pensa, la scimmia fa) che è una raccolta eterogenea di racconti e di fatti vissuti. C’è in tutti un che di geniale. L’autore di Fight club è profondamente americano, ma vede piuttosto bene l’insensatezza del modello di vita e di sviluppo statunitense; la sua è una critica indiretta, perché passa continuamente in rassegna gli eccessi di quel mondo e le reazioni spontanee che ne derivano, spesso ancor più insensate.
Come al solito ho letto qualche giallo “interlocutorio” di Simenon (Maigret e il caso Nahour, Maigret e il fantasma e, negli ultimi giorni, Maigret è prudente). Qualche scrittore famoso del passato – non ricordo se Gide o Hemingway o chi altro – aveva detto, in modo un tantino ironico, che i libri di Simenon sono la migliore lettura da fare in aereo su una tratta breve. In effetti Simenon si legge d’un fiato; ma questo non è un difetto. C’è una maestria nello scrivere che oggi è diventata estremamente rara.
Ho rifocillato i temi marinari, che negli ultimi tempi mi avevano appassionato, con la bella raccolta curata da G. Dossena e M. Spagnol Avventure e viaggi di mare. È un compendio piuttosto nutrito di resoconti veritieri di peripezie marinare – viaggi estremi, scoperte geografiche, naufragi, atti di pirateria, incontri con selvaggi ecc. – che sono stati per secoli la fonte di ispirazione di un vero e proprio genere letterario (oggi non in gran voga). Sono ordinati più o meno cronologicamente: si va da Pitea di Marsiglia a Comisso e Conrad. Molto bello il racconto di quest’ultimo incluso nella raccolta: La Tremolino.
Più o meno in tema marinaro – per la precisione di storia di guerra navale – anche il vecchio libro di C. Van Woodward La battaglia del golfo di Leyte, che nemmeno ricordo come mai avessi in casa. Forse perché è stato scritto nelle immediatezze dei fatti – cioè sul finire degli anni ’40 – i giudizi espressi dall’autore, un ufficiale di marina statunitense, mi sembrano poco equilibrati nel giudizio; non solo nella scontata divisione buoni/cattivi, ma anche nel valutare i meriti e gli errori (militari) di entrambe le parti. Ad ogni modo trovo che la storia della guerra sul mare sia sempre interessante.
Ho letto anche, come ho già scritto sul sito, La chiave del caos di Enrico Rulli e Gianluca Casseri, e non posso qui che confermare l’ottimo giudizio. Il caso, o il caos, o forse altre meccaniche imperscrutabili, hanno fatto sì che mi trovassi a Praga proprio negli stessi giorni, a ripercorrere coi passi molti dei luoghi in cui si snoda del romanzo.
Ho letto rapidamente due bei romanzi di Adolfo Bioy Casares, che è ingiustamente conosciuto, in via principale, per essere stato un grande amico di Borges: L’altro labirinto e Piano di evasione, entrambi pubblicati da Lucarini. Il secondo è un romanzo fantastico, o almeno tale si rivela sono nelle ultime pagine; tutto ciò che le precede richiama intensamente alla memoria il film Papillon. La storia è infatti ambientata su e intorno all’Isola del Diavolo. L’altro labirinto raccoglie invece vari racconti fantastici di stile borgesiano; o forse i racconti fantastici di Borges sono di stile bioyano…
L’ultimo libro che ho letto è Il corsaro della guerra mondiale del conte Felix von Luckner, lettura parzialmente ispiratami dai bei resoconti di Francesco Lamendola, pubblicati negli ultimi mesi sul sito, sulle imprese delle navi corsare durante la Grande Guerra (in particolare La crociera del corsaro Seeadler). Quella di von Luckner è certamente una delle vicende più note e affascinanti, e il libro me ne ha dato la conferma. Aggiungo che anche il resto della sua biografia (precedente la carriera militare) è degno di un grande romanzo.
Continuo (mi pare per la settima volta) ad appuntare in brevi note le ultime letture. Nei quasi due mesi passati dal mio ultimo post, Libri in ordine sparso, ho letto ancora una volta un libro di Simon Leys – credo il più noto: La morte di Napoleone. So che ne è stato tratto il film I vestiti nuovi dell’imperatore, diretto da Alan Taylor: la cosa non mi stupisce, perché il breve romanzo sembra proprio scritto per la macchina da presa. Ha una forma impeccabile, e soprattutto presenta il ritratto un po’ impietoso di una fedeltà che diviene astratta e grottesca.
Ho poi letto con interesse il breve saggio di Stefano Fabei Operazione Barbarossa, recentemente pubblicato da Mursia, che mette bene in luce un fatto storico tanto ineccepibile quanto, come è regola, generalmente negato: l’attacco sferrato da Hitler alla Russia sovietica fu una scelta obbligata e inevitabile. Stalin preparava contestualmente l’assalto all’Europa; nel ’41, la scelta del Führer non avrebbe potuto essere diversa.
Ho poi letto, finalmente, Tsushima di Frank Thiess, che attendeva da parecchio. La copia a mie mani (una vecchissima edizione Einaudi) era stata letta da mio nonno, cui venne regalata, poi da mio padre, e ora da me. E’ un bel racconto di quella straordinaria battaglia tra la Russia zarista e il Giappone imperiale di cui avevo sempre avuto notizie frammentarie, senza mai informarmi più dettagliatamente. Esiste anche un film sulla battaglia di Tsushima.
Poi sono tornato alla mia gran passione per i temi artici con Esplorazioni polari di Nino Bussoli. Ora devo quindi correggere, almeno in parte, quanto scrivevo in Libri sui libri a proposito di Deserto di ghiaccio di Fleming; anche il saggio di Bussoli è molto valido, e copre un arco di tempo maggiore di quello (prende le mosse da Pitea di Marsiglia). Per esempio, Bussoli dedica diverse pagine all’eroico svernamento artico di Vitus Bering, su cui avevo trovato sinora solo pochissime informazioni.
Dall’estremo nord sono passato all’estremo sud, e più precisamente all’Antartide, leggendo con piacere il libro di Luigi Romersa Il pianeta del silenzio. E’ il reportage di un viaggio compiuto una cinquantina d’anni fa dall’autore, un noto giornalista-inviato, nel continente australe. Romersa, che fu ospite in due basi militari americane, fu uno dei primissimi italiani a raggiungere il Polo Sud geografico.
Ho letto anche La tigre del Wolchow di Rudolf Nowotny, dedicato dall’autore al suo eroico fratello, asso della Luftwaffe insignito della croce di cavaliere con fronde di quercia, diamanti e spade. Il libro, pubblicato dalle Edizioni del Borghese, è la biografia di un grandissimo ed esemplare pilota.
Mi hanno incuriosito I verbali di Hitler pubblicati recentemente dalla Libreria Editrice Goriziana; ma avendo da diverso tempo gli Ultimi discorsi, pubblicati dalle Edizioni di Ar, mi son letto questi ultimi. Contengono osservazioni molto interessanti e in alcuni casi profetiche.
Mi sono avvicinato anche a Gottfried Benn, di cui ho letto le Lettere a Oelze. Il libro è curato in modo meticoloso, ma l’improvvida scelta di Adelphi di pubblicare le note in calce, anziché a pié pagina, rende la lettura faticosa. A questo si aggiunge il fatto che è un epistolario “tronco”, poiché contiene le sole missive di Benn e non quelle del suo corrispondente, il che lascia molti ragionamenti (già di per sé non sempre chiari) in forma troppo implicita. Nonostante queste riserve, si trovano parecchie perle di grande bellezza, e anche frequenti riferimenti a tanti autori importanti, da Evola a Jünger, da Hamsun a Nietzsche eccetera.
Continuo il mio viaggio di Pollicino nelle letture: lascio cadere una nuova pietruzza, per potere ripercorrere in futuro il mio tortuoso itinerario.
Dall’ultimo articolo ho terminato i tre volumi di Fra ghiacci e tenebre. Sia per la durata della lettura, che ha richiesto più di un mese, sia per le faccende private che l’hanno accompagnata – piccoli guai di salute – credo che ricorderò a lungo i dettagli del viaggio avventuroso del Fram tra i ghiacci e quello sulla banchisa artica di Nansen e Johansen.
Ho proseguito con altri tre libri piuttosto omogenei: Il meraviglioso universo del Grande Norddi Marco Nazarri, Svalbard dell’Associazione Grande Nord di Torino e Sepolti nei ghiacci di Owen Beattie e John Geiger. Il primo è un volumone fotografico sull’Artico ricco di interessanti informazioni su ambiente, antropologia, fauna e flora; il secondo è a metà strada tra il saggio e il Baedeker; l’ultimo riporta i dati di uno studio sulle possibili cause del fallimento della spedizione dell’Erebus e della Terror di Franklin.
Anche questa volta ho letto un libro di Borges, la raccolta di racconti fantastici L’Aleph. Credo costituisca il libro più noto e apprezzato di questo autore, ed è effettivamente fuori dell’ordinario; ma ritengo che Finzionisia ancora superiore.
Simon Leys è riuscito a incuriosirmi a sufficienza, e ho così letto l’enigmatico romanzo di Victor Segalen René Leys e il mistero del palazzo imperiale. Decisamente insolito nella costruzione e nella trama, rende assai bene l’atmosfera di luogo ed epoca (Pechino di inizio Novecento).
Ho poi letto la tragedia in tre atti Il mio amico Hitler di Yukio Mishima, recentemente pubblicata da Guanda (purtroppo con la solita copertina repellente che è il marchio caratteristico di questa casa editrice). È la rappresentazione del preludio all’inevitabile violenza chirurgica che Hitler dovette esercitare, dopo la nomina a Cancelliere, contro i vertici dell’SA e l’ala sinistra del partito.
Ho cambiato decisamente argomento con La lunga notte di Shackleton di Mirella Tenderini, una biografia molto ben scritta di un esploratore antartico dalla vita estremamente interessante (avevo letto precedentemente Endurance di Alfred Lansing, che riguarda però esclusivamente la spedizione antartica di Shackleton più nota, quella che portò al naufragio della nave omonima).
Una quindicina di anni fa andai ad assistere a Camogli alla presentazione de Il popolo, la decadenza e gli déi di Jean Cau; ne parlava Maurizio Cabona. Ascoltandolo mi era sorta una gran curiosità, ma purtroppo non avevo in tasca soldi sufficienti per comperare il libro, e così vi dovetti rinunciare. Per anni mi è tornato in mente, ma solo un paio di mesi fa finalmente l’ho trovato casualmente e sono diventato proprietario di una sua copia. Lo si legge quasi d’un fiato, è molto ben scritto ed altrettanto politicamente scorretto. Ottima anche l’introduzione di Alain de Benoist.
Complice una forzata immobilità, in questi ultimi giorni ho letto alcuni libri; per lo più sono state metaletture, libri cioè talmente ricchi di riferimenti ad altri libri che anziché spegnere la voglia di leggere l’hanno ulteriormente alimentata. È un circolo – virtuoso o vizioso che sia – che alle volte porta sorprendentemente, per vie del tutto diverse, a ripercorrere tratti già familiari: mi è capitato più di una volta di ritrovare, in autori distanti per nazionalità, epoca e visione del mondo riflessioni analoghe su altri autori o libri. In particolar numero, chissà poi perché, su Poe e Simenon.
Dal mio ultimo post ho terminato Deserto di ghiaccio di Fergus Fleming. E’ il più bel libro, tra quelli che abbia letto sinora, sulla storia dell’esplorazione artica. Tutte le altre raccolte erano parziali e poco organiche: per lo più il metodo seguito dagli altri autori che hanno affrontato l’argomento è stato quello di soffermarsi su alcuni dei viaggi principali, in alcuni casi inframmezzando al resoconto citazioni dei diari dei protagonisti. Noto, tra l’altro, che tale è il metodo seguito anche da Franco Brevini nel suo recente La sfinge dei ghiacci, pubblicato sul finire dell’anno scorso da Hoepli; quel saggio comunque riguarda solo l’esplorazione italiana dell’Artico. Nel libro di Fleming la storia invece non è a comparti stagni; si seguono lo sviluppo delle teorie scientifiche e quello delle tecniche di sopravvivenza e di trasporto, sono messe in luce le personalità, spesso bizzarre e quasi sempre eroiche dei protagonisti; e nonostante l’autore sia un anglosassone ha una discreta conoscenza anche delle esplorazioni europee, compresa quella del Duca degli Abruzzi.
Ho continuato ad alimentare l’interesse per il Nord con Alla ricerca dei naufraghi dell’«Italia» di G. Albertini: l’«Italia» è il dirigibile di Nobile che si schiantò sulla banchisa polare nel ’28. Albertini era un ufficiale degli Alpini incaricato delle ricerche nelle Spitzbergen orientali. Percorse un lungo itinerario su sci e slitte trainate da cani con un piccolo gruppo di uomini, e scattò diverse belle fotografie che vennero poi inserite nel volume. La vicenda in se stessa non ha molto di straordinario, ma è narrata in modo piacevole.
Dopo la mia consueta pausa con un Maigret (Il ladro di Maigret) le vere e proprie metaletture sono iniziate con L’angelo e il capodoglio di Simon Leys. Un libro curioso, che come recita il sottotitolo verte “sulla calligrafia, la letteratura e l’arte della traduzione”. La maggior parte degli scritti eterogenei che costituiscono il volume verte su cose cinesi (l’autore è un celebre sinologo, traduttore di Confucio), ma anche su Balzac, Simenon, Dana, Stevenson, Chesterton e Lawrence. Leys è un uomo intelligente, e nelle sue frasi non manca mai un’osservazione meritevole di interesse.
Lo stesso si può dire per Borges. Ho letto in questi ultimi giorni i suoi Prologhi(Adelphi), scritti nell’arco di un cinquantennio, pubblicati in apertura di libri assai diversi; il numero maggiore riguarda la letteratura argentina classica, che ignoro completamente. Poiché anche in Borges non mancano mai osservazioni intelligenti e una nutrita documentazione, mi hanno stupito non poco la superficialità e persino l’ottusità con cui Borges liquida il fascismo e il nazismo, che a suo dire sarebbero null’altro che il truce e deprecabile risultato delle idee di Carlyle. Neanche i migliori autori si possono accogliere senza riserve.
Un lettura importante è stata La capanna nella vigna di Ernst Jünger, pubblicato recentemente da Guanda. Anche se questa casa editrice pubblica i libri con le copertine più orribili dell’intero panorama editoriale europeo alcuni testi sono di grande interesse. Il diario jüngeriano degli anni dell’occupazione conferma entrambe le cose. La prima e più banale considerazione che si può trarre è che quell’occupazione non è ancora cessata; il sigillo con cui Jünger aveva chiuso il precedente diario Irradiazioni, “Terra vinta ci dona le stelle”, non si è lontanamente realizzato. Ma nelle pagine di questo libro si precisano le posizioni di Jünger nei confronti del Reich e di tanti suoi protagonisti, e persino il giudizio su alcuni protagonisti – Hitler e Goebbels in particolare – si fa più articolato e assai meno banale di quanto non apparisse dai diari del tempo di guerra.
Ho letto anche Il Duca dell’avventura di Reinhold Messner (in realtà la maggior parte dei testi è di Roberto Mantovani). Avevo già accennato a quel libro poco prima che uscisse, in Alla fine è arrivato Messner. E’ davvero una bella biografia per immagini del Duca degli Abruzzi, che restituisce un ritratto completo di quell’uomo coraggioso e dalle grandi capacità. Sono particolarmente suggestive, oltre alle immagini relative alla spedizione polare, quelle scattate nel 1909 da Vittorio Sella nel Karakorum.
Da una decina di giorni ho iniziato la lettura di un libro straordinario di cui mi ero messo alla caccia da circa un anno, e che finalmente sono riuscito a procurarmi a un prezzo ragionevole. E’ un libro in tre volumi pubblicato nel 1897, Fra ghiacci e tenebre di Fridtjof Nansen, Otto Sverdrup, Hjalmar Johansen e B. Nordhal, e costituisce il resoconto della celebre spedizione polare norvegese del 1893-1896. Mi rendo conto di come possa suonare strano che un testo su un argomento così insolito desti un interesse tanto vivo; io stesso sino a qualche anno fa probabilmente avrei ignorato questo libro se lo avessi scovato su una bancarella o in una libreria antiquaria. Però le passioni sono difficilmente giustificabili; in definitiva, credo che quella per i viaggi polari risponda a una nostalgia delle origini e al desiderio di leggere avventure reali.
Negli ultimi tempi ho preso l’abitudine di scrivere su questo blog un breve promemoria degli ultimi libri letti. Il senso di questi articoli periodici è di lasciarmi alle spalle riferimenti utili alla memoria e forse indicazioni utili a qualcun altro. A parte certi argomenti ricorrenti, il percorso ricorda la camminata di un ubriaco, con oscillazioni paurose tra temi diversi. Rinnovo oggi l’usanza dopo due mesi e mezzo da Avventure per mare – fatta salva l’eccezione del post su Felice Bellotti.
In ottobre ho terminato il Gobineau letterario con le Novelle asiatiche, pubblicate da Guida. Come è noto, l’autore del monumentale Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane è stato anche uno scrittore di prim’ordine, considerato tra i massimi rappresentanti della letteratura francese dell’Ottocento. La raccolta pubblicata da Guida contiene alcune novelle altrimenti irreperibili in italiano. Purtroppo mi pare di capire che il romanzo di Gobineau più noto agli studiosi (Les Pléiades) non sia mai stato tradotto.
Successivamente ho letto due libri di John Fante, appartenenti alla “tetralogia di Arturo Bandini” (La strada per Los Angeles e Sogni di Bunker Hill), avendo già letto in estate Chiedi alla polvere. Sono effettivamente tutti molto e palesemente hamsuniani, come aveva notato Roberto Alfatti Appetiti in un articolo che avevo ripreso sul sito; è stato questo stile a farmi incuriosire di Fante.
Poi sono tornato ai viaggi avventurosi con un libro di D. Robertson, Più forti del mare, che ha la copertina dipinta da Ferenc Pinter (l’autore delle celebri immagini di Maigret modellato su Gino Cervi nella collana Mondadori degli anni ’60-’70). E’ la storia veritiera, narrata da uno dei protagonisti, di un incredibile naufragio: uno yacht affondato dalle orche al largo dalle Galapagos; e di un ancor più incredibile viaggio, durato oltre due mesi, dei cinque membri dell’equipaggio, sino al salvataggio.
Successivamente ho letto una piccola curiosità per bibliofili, Il segreto del Polo Nord di E. Lemarchand, pubblicato intorno al 1880. Una sorta di racconto fantastico alla Jules Verne che risente fortemente dell’idea in voga sino a metà ottocento, portata in auge dal geografo August Petermann e declinata ufficialmente solo all’inizio del ventesimo secolo: in sostanza, sarebbe esistito un Mare Artico navigabile e libero dai ghiacci, nel quale, forse, si sarebbe potuta anche trovare una terra ospitale. La vicenda narra di una nave che, superata la cintura dei ghiacci artici, raggiunge un’isola abitata da coloni islandesi lì giunti alcuni secoli prima; si tratta di una terra abitabile perché temperata dalla corrente del Golfo. Un racconto curioso e in un certo senso evocativo (la memoria o la nostalgia di un’Ultima Thule perduta, un po’ come nel Thule di Mabire) che qualche editore potrebbe anche pensare di riproporre.
Poi, dopo un giallo (La pazienza di Maigret) ho letto Otto Sverdrup di G. Catone. Non è l’intera biografia del grande esploratore norvegese, ma il racconto della sola esplorazione della Groenlandia a bordo del Fram immediatamente successiva al ritorno dalla celebre spedizione con Nansen. Incidentalmente mi sono accorto che a Oslo esiste un intero museo dedicato al Fram, e alle principali spedizioni compiute a bordo di esso da di Otto Sverdrup, Fridtjof Nansen e Roald Amundsen.
Ancora una volta mi sono reso conto che l’aspetto esteriore di un libro può trarre in inganno. Copertina e caratteri possono far pensare a un romanzo popolare, sentimentale o fanciullesco e il testo rivelarsi invece ben scritto e interessante. E’ il caso di Nel regno dei ghiacci di K. Lutgen, che narra di un avventuroso salvataggio in Alaska.
Dopo quello, passato Oltre l’estrema Tule di Felice Bellotti, su cui ho già scritto, ho letto il breve Dialogo sul potere di Carl Schmitt, che rivela anche in questo caso la sorprendente lucidità del politologo tedesco, confermando il peso enorme del metodo dialettico, da Fichte ed Hegel in avanti, sui pensatori germanici. In certi casi è un influenza più rarefatta, in altri – come in questa intervista – più evidente.
La deviazione dai temi artici che mi appassionano in questi tempi è proseguita con una vecchia edizione della Storia dell’eternità di Jorge Luis Borges, in cui sono riuniti vari articoli, alcuni dei quali avevo già letto in altri libri (per esempio uno molto bello sulle kenningar, che mi pare sia compreso anche in Sette notti) e con L’umore, l’onore, l’orrore del sinologo belga Simon Leys, pubblicato da Irradiazioni come diversi altri suoi libri, la cui interessante lettura mi ha indotto ad acquistare René Leys o il mistero del palazzo imperiale di Victor Segalen, che mi riservo di leggere l’anno prossimo.
Ma alla fine è riemerso il richiamo del nord, e sono tornato sull’argomento con Silenzio bianco di Maner Lualdi, che è la cronaca di un viaggio un po’ bizzarro compiuto da italiani, negli anni ’50, con un piccolo aereoplano da turismo sui ghiacci ove si consumarono le tragedie del dirigibile Italia e di Amundsen. Poi, il bel volume illustrato Zemlya Frantsa Josifa a cura dell’Associazione Grande Nord di Torino: imprese avventurose anche in questo caso. Il volume narra la bella spedizione di sei italiani e due russi che nel 1994 si recarono alla Terra di Francesco Giuseppe sulle orme dei grandi esploratori del passato, e in particolare su quelle del Duca degli Abruzzi, del cui accampamento nell’isola del principe Rodolfo trovarono diversi resti e testimonianze, che ora sono stati trasferiti al museo della montagna di Torino.
Ormai ho preso l’abitudine di segnalare ogni tanto alcuni libri che mi capita di leggere. Forse mi servirà, in futuro, per tenere traccia degli itinerari percorsi. La serie di letture degli ultimi mesi sui viaggi polari e sui viaggi oceanici è proseguita con qualche altro testo interessante.
Anzitutto, ho voluto riprendermi dalla delusione del libro di Coloane Naufragi (sulla quale avevo scritto Elogi smisurati). Ho letto così La follia del mare di Alfredo Chiappori (Edizioni Mursia). L’autore è più conosciuto per la sua attività di disegnatore e di illustratore che per quella di scrittore; ha seguito nella compilazione del suo libro l’identico metodo di Coloane. Ha cioè trovato un catalogo ottocentesco di naufragi celebri (una bella edizione in tre volumi ripubblicata sul finire degli Anni ’60 dalle Edizioni Martello) e ne ha elaborato in una forma nuova il racconto dei più interessanti. Il risultato è decisamente migliore rispetto a quello ottenuto dal tanto incensato Coloane; lo stile di Chiappori è decisamente meno autocelebrativo e più attento al racconto e al linguaggio.
Un’altra terrificante vicenda di naufragio – una delle più celebri della storia, quanto quella del Titanic o dell’Andrea Doria – è quella della fregata Méduse; ha ispirato anche il celebre quadro di Gericault. Ho letto anche in questo caso il testo che probabilmente è il principale sull’argomento, di G. Bordonove (Il naufragio della Méduse; è anch’esso stato ripubblicato da Mursia). E’ scritto bene e ricostruisce con molti particolari le biografie di tutti i principali protagonisti prima e dopo il disastro.
Un naufragio sotto forma di romanzo, o meglio di racconto, è La zattera di ghiaccio di Rudolfs Blaumanis (Edizioni Sellerio). Ambientato sulle coste del Baltico, racconta in modo semplice e “naturalistico” la disgrazia occorsa a un piccolo gruppo di pescatori, che si accorgono troppo tardi che il ghiaccio sul quale stanno pescando si è staccato da terra e sta andando alla deriva. Qualcuno morirà, qualcuno si salverà, di altri non sarà dato conoscere la fine.
Con una discreta sorpresa mi è piaciuto anche un libro pubblicato dalle Edizioni de Il Manifesto: Vita e avventure di un marinaio scozzese di John Nicol. L’autore visse a cavallo tra settecento e ottocento, traversò più volte tutti i mari del mondo e riporta molte osservazioni interessanti su luoghi, costumi, episodi. Prese parte onorevolmente a varie campagne militari (guerra di secessione americana, battaglia di Abukir ecc.) e non mi spiego cosa possa aver spinto a pubblicarlo i redattori della Manifestolibri. John Nicol ha un forte amor di patria e un profondo rispetto della disciplina e dei suoi superiori; inoltre è profondamente religioso.
Un altro bel racconto della vita di mare attraverso gli occhi e la penna di un semplice marinaio mi ha fatto conoscere un po’ meglio l’avventura di Otto Nordenskjöld, protagonista di un celebre passaggio a Nord Est. L’autore è anonimo – o meglio i suoi dati non vengono riportati nell’edizione italiana, che è anche priva di data di pubblicazione; figura invece come traduttrice e curatrice una certa Mara Fabietti e il libro ha per titolo semplicemente Nordenskjöld.
Piuttosto arzigogolato nel linguaggio è il Viaggio di Franklin al Nord Ovest. E’ un testo ottocentesco ristampato (un po’ frettolosamente) dalle Edizioni Ecig di Genova. Il viaggio in questione non è quello tragico e famoso in cui il comandante Franklin perse la vita tra i ghiacci, ma un’altra avventura precedente di qualche anno, nella quale trovarono la morte diversi membri della spedizione. Sorpassate le difficoltà iniziali si lascia leggere, ed è ricco di curiose informazioni sulla vita e i costumi delle popolazioni indigene dei Territori del Nord Ovest.
In un post su questo blog di qualche tempo fa, Viaggi oceanici, citavo una frase di Simon Leys in cui mi sono ritrovato appieno:
“Da diciotto anni accarezzavo l’idea di scrivere la storia del naufragio del Batavia. Mi sono procurato quasi tutto ciò che si pubblicava sul soggetto; poi, ho effettuato un soggiorno alle isole Houtman Abrolhos, sito del naufragio […]. Alla fine, è arrivato Mike Dash. Con il suo Batavia’s Graveyard, quest’ultimo autore ha veramente colpito nel segno – e non mi resta più nulla da dire”.
Quella sensazione mi è piuttosto familiare. Più di una volta ho raccolto per passione tutto il materiale possibile su certi argomenti; poi, un’alchimia di pigrizia, l’idea di incompletezza delle fonti, la mole del lavoro necessario mi hanno fatto accantonare i progetti di uno studio sistematico, rinviando il tutto a un momento migliore. Sino a che, talvolta, è arrivato qualcun altro che ha colpito nel segno, e non mi è restato più nulla da dire.
Oggi mi è capitato di rivivere la medesima sensazione. Ho appreso che il 6 ottobre prossimo uscirà un nuovo libro di Reinhold Messner su un tema già ampiamente trattato in passato, su cui progettavo da tempo di scrivere qualcosa anch’io. Certo, la mole di monografie già uscite è notevole; ma avrei davvero voluto mettere insieme il lavoro definitivo.
Invece, l’uscita di Duca dell’avventura (per Electa Mondadori) farà certamente terra bruciata. L’importanza dell’autore, che renderà omaggio a uno dei grandi protagonisti dell’alpinismo eroico del passato, lo renderà indubitabilmente un testo di riferimento.
La vita del Duca degli Abruzzi è l’ideale per un biografo. Come recita la scheda del libro di Messner di prossima uscita, fu “un uomo che, tra l’Ottocento e il Novecento, fu capace di viaggiare nei 5 continenti compiendo mirabili imprese e straordinarie scalate — Con documentazioni d’archivio e fotografie, Messner fa rivivere il fervore del’avventura che animò uno dei più grandi esploratori di tutti i tempi“.
Tra le grandi imprese non vi è soltanto il celebre viaggio della Stella polare nel mare artico. Vi sono le leggendarie ascensioni sul Monte Bianco, sul Sant’Elia in Alaska, del Ruwenzori, nel Karakorum; il comando della Marina italiana nella prima guerra mondiale; la fondazione del villaggio che portava il suo nome in Etiopia. Una vita avventurosa sin dal principio – suo padre fu deposto dal trono di Spagna quando il Duca aveva pochi giorni di vita; all’età di sei anni era già mozzo nella marina militare.
Un personaggio straordinario di cui è persino normale che si sia persa la memoria in tempi come gli attuali, nei quali si preferisce ricordare Michael Jackson o Mike Bongiorno.