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Libri di guerra

Mi è sempre difficile porre un titolo agli articoli in cui annoto le mie ultime letture, perché vi raccolgo libri che, il più delle volte, non hanno una caratteristica comune; e così anche questo articolo sui Libri di guerra ha un titolo che non è del tutto veritiero, perché solo la maggior parte delle ultime letture ha riguardato la storia militare.

Nell’ultimo post avevo dimenticato di menzionare La bella gioventù di Franco Panizon. Le premesse erano buone, già dal sottotitolo: Memorie di un alpino della Monterosa (ed. Mursia), la divisione alpina che sul finire del ’43 aveva sostituito le stellette coi fasci repubblicani. Questo libro è stato però una delusione, sia perché grammatica, sintassi e logica vanno e vengono in libertà, sia perché l’autore, nonostante durante la guerra civile avesse fatto la scelta giusta, cioè la scelta sbagliata – in parole semplici, la via dell’onore -, dopo la tragedia della “liberazione” si lasciò docilmente lavare il cervello e inebetire dall’oppio dell’antifascismo, facendosi persino intruppare nel PCI-PDS. L’unico aspetto interessante del libro è forse il conflitto interiore che si intravvede sullo sfondo, tra il rimpianto, negato, per quel biennio di gioventù, bellezza e cameratismo (durante il quale l’autore un paio di volte sparò anche addosso ai partigiani) e la mediocrità che venne dopo.

Al diario della grande guerra del conte Felix von Luckner, cui ho accennato nello scorso articolo, ho poi affiancato quello del barone Manfred von Richthofen (Io sono il Barone Rosso), che forse è a tutt’oggi il militare più ricordato ed emblematico di quella guerra. Sono notevoli i parallelismi tra i due personaggi: entrambi di ascendenza aristocratica, entrambi ferventi patrioti, entrambi coraggiosi fino ai confini della temerarietà ed entrambi protagonisti di successi strepitosi. Ma mentre il Barone Rosso ebbe quel destino di chi è veramente caro agli dèi, morendo nel fiore degli anni e all’apice di una carriera di incredibili successi, a von Luckner accadde di dover assistere al disastro della patria.

Poi: Sulle orme del capitano di Ion Màrii, che chissà da quanto tempo avevo in casa. Un ritratto veritiero della bontà e semplicità di Codreanu fatto attraverso i testimoni di un suo viaggio. E due libri di Conrad, Al limite estremo e i Racconti di mare e di costa. Quest’ultimo raccoglie tre racconti – o romanzi brevi. Sono tutti ben compiuti e destinati a conficcarsi nella memoria; assai più dei Simenon che mi ostino a leggere (l’ultimo è Maigret a Vichy; il titolo è dovuto al fatto che il commissario protagonista è alle prese con le cure termali, non col governo Pétain!).

Poiché I leoni morti è uno dei più bei romanzi di guerra che io abbia mai letto, quando ho visto che le edizioni Ritter hanno pubblicato il suo “seguito”, I Maledetti, comprarlo e leggerlo è stato tutt’uno. Purtroppo qui si passa alla finzione (la vicenda è ambientata in uno stato immaginario del Sudamerica che si chiama Gualivia) e tutto è più piccolo e deformato; certo, vi è ancora la stoffa di Saint Paulien, vi sono ancora, dominanti, i temi dell’eroismo e del coraggio, ma è come passare dal mito – la difesa di Berlino – alla leggenda, o poco più.

Ho letto poi I diavoli verdi di Cassino di R. Werner, un volumetto di chissà che epoca (forse gli anni ’60) in edizione popolare; a giudicare dalla carta dubito che sia mai passato da una libreria, probabilmente circolò tramite edicole. Se è veritiero (cosa che facendo ricerche su internet non sono riuscito ad appurare) è una straordinaria testimonianza di un ufficiale Fallschirmjaeger sulla battaglia di Montecassino, resa tra l’altro in modo molto avvincente.

E infine L’affondamento dello Scharnhorst di A.J. Watts, un resoconto molto asettico su un’importante battaglia navale che ebbe per teatro il braccio di mare tra Capo Nord e gli arcipelaghi artici (Svalbard, Isola degli Orsi, Novaja Zemlja), il passaggio cioè attraverso il quale i Britannici rifornirono massicciamente di mezzi l’Unione Sovietica.

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