Martin Heidegger è, senza dubbio, un pensatore centrale del Novecento. Egli, come molti intellettuali dell’epoca, si confrontò con la dimensione magmatica che il “secolo breve” assunse sotto il profilo politico. Non poteva essere diversamente. Fin dal periodo giovanile, nella fase aurorale della costruzione del proprio filosofare, aveva colto la “priorità” del momento pratico rispetto a quello teoretico. Tale intuizione lo costrinse a venire ai “ferri corti” con la propria epoca, a confrontarsi con l’esperienza storico-politica del nazionalsocialismo. E così, a fronte dei numerosi riconoscimenti che gli sono stati concessi nel corso degli anni, periodicamente riemerge contro di lui l’accusa di essere stato “un compagno di strada” dell’hitlerismo. Nel 1987, in questo senso, i primi strali polemici furono lanciati dallo studioso cileno Victor Farias, a cui risposero con persuasività argomentativa sia Fedier che Gadamer. E’ nell’ultimo periodo che il caso Heidegger è tornato prepotentemente agli onori della cronaca, soprattutto giornalistica, dopo la pubblicazione dei cosiddetti “Quaderni neri”. Titolo suggestivo e “politicamente corretto” attribuito ai “taccuini filosofici” dal curatore, Peter Trawny. Questi ha dato alle stampe, inoltre, un volume intitolato Heidegger e il mito della cospirazione ebraica, che muove da una lettura afilosofica del pensiero del tedesco, al fine di stigmatizzarne la sintonia politica con i fascismi e l’antisemitismo. Per Trawny, tali elementi rappresenterebbero il momento esoterico alla base della storia dell’essere (antisemitismo ontico-storico). A tale posizione si è richiamata in Italia Donatella Di Cesare nel suo Heidegger e gli ebrei. I “Quaderni neri”, formulando l’ipotesi che “l’antisemitismo metafisico” di Heidegger rappresenti semplicemente l’apice novecentesco di un filone speculativo che da Kant muove fino a Nietzsche. I due libri hanno aperto una polemica incontenibile.
Alle accuse hanno risposto in termini di ricostruzione filologica dei testi heideggeriani e di contestualizzazione storica della sua filosofia, F. W. Von Herrmann e Francesco Alfieri. Il primo, docente dell’Università di Friburgo, fu l’ultimo assistente privato del filosofo, da questi designato quale principale responsabile della pubblicazione della sua opera omnia. Il secondo è docente nella Pontificia Università Lateranense. Lo hanno fatto in un volume lungamente pensato, da poco nelle librerie per Morcelliana editore, Martin Heidegger. La verità sui Quaderni Neri (euro 35,00). Il libro è impreziosito da un saggio chiarificatore di Leonardo Messinese, da lettere inedite del carteggio Heidegger-von Herrmann, e da missive di Gadamer. Chiude il volume un’Appendice di Claudia Gualdana che presenta l’esegesi dei numerosi contributi giornalistici usciti in tema.
Per entrare nelle vive cose della trattazione, è bene muovere dalla descrizione che von Herrmann fornisce del curatore dei Quaderni: “Mi sono reso conto di aver aiutato Trawny perché, non avendo egli raggiunto all’età di 51 anni un posto di professore retribuito…potessi così alleviare la sua difficile situazione finanziaria”. Naturalmente pentendosi amaramente della scelta. In secondo luogo, è necessario chiarire cosa mai siano questi Quaderni: non sono altro che “taccuini filosofici” e “riflessioni”che accompagnano il pensiero storico-ontologico di Heidegger a partire dal 1931, e in cui egli annotava: 1) idee in forma aforistica 2) idee riconducibili alle sue opinioni e convinzioni personali. Tra queste ultime compaiono le prese di posizioni nei confronti del nazismo e dell’ebraismo. I brani incriminati sono in tutto 14, composti al massimo da cinque frasi, su un totale di circa 1250 pagine! Il dato numerico permette al lettore di comprendere la strumentalità delle polemiche suscitate dai detrattori di Heidegger. Inoltre, a giudizio di von Herrmann “Il puro pensiero di Heidegger è la compagine speculativa e concettuale, esposta nei Contributi alla filosofia e nei trattati successivi” (p.24), e deve essere nettamente distinto dalle convinzioni private del pensatore. Solo discutendo i “taccuini”, anche sotto il profilo linguistico, nel contesto più ampio e teoreticamente definito dei trattati maggiori e alla luce delle acquisizioni qui conseguite, è possibile rendersi conto dell’operazione fuorviante messa scientemente in atto per suscitare uno scandalo mediatico-politico. Infatti, i saggi storico-ontologici aprono la via principale del pensiero heideggeriano, mentre gli aforismi dei taccuini sono subordinati a questi lavori.
Si tenga presente che per Trawny, Heidegger indicherebbe tra i tratti essenziali dell’ebraismo internazionale la mancanza di radicamento al suolo, il mero fare i conti con l’ente, la vuota razionalità e la capacità di calcolo, lo sradicamento di ogni ente dall’essere. Ma questi “Sono i concetti storico-ontologici con cui Heidegger caratterizza lo spirito della fase più recente dell’epoca moderna…Ciò significa…che quei concetti non sono antisemiti in quanto tali, poiché non si riferiscono soltanto allo spirito ebraico, ma allo spirito del presente in generale…l’ebraismo internazionale…egli lo ritiene compreso nello spirito moderno attuale” (p. 34-35). Heidegger non è sostanzialmente antisemita, ma certamente antimoderno! L’ebraismo non è che un momento interno alla stessa storia della metafisica, che trova il proprio compimento nella modernità del Gestell, dell’ Impianto della tecno-scienza. A tale constatazione il filosofo è condotto dallo spirito fenomenologico che vivifica, dall’interno, il suo iter. Questa conclusione la si ricava dal lavoro certosino, impeccabile, condotto da Alfieri sui taccuini, come il lettore può verificare mettendo a confronto la sua traduzione con il testo tedesco a fronte. Egli si sofferma sugli snodi teorici di maggior spessore, senza omettere le critiche di Heidegger al nazionalsocialismo, al razzismo biologico, alla possibilità stessa di una “filosofia” dell’hitlerismo. Vengono, inoltre, chiariti i non-detti del pensatore a proposito dell’assunzione del Rettorato dell’Università di Friburgo e, soprattutto, il fatto che egli ben presto maturò la convinzione che il nazismo, e più in generale il fenomeno totalitario, fossero momento interno del moderno. Delle acquisizioni teorico-filologiche di Alfieri non si può certo dar conto nello spazio limitato di una recensione, ma sul tema sarà necessario tornare.
Ci pare che nei confronti del pensiero di Heidegger si stia tentando di mettere in atto un processo di sterilizzazione politica, servendosi dell’espediente liberticida che, qualche anno fa, de Benoist definì la riduzione ad hitlerum. Non è casuale che anche il ritrovamento da parte di Thomas Vasek, l’inverno scorso, di un appunto del filosofo, tratto dall’opera di un altro eminente antimoderno, Julius Evola, abbia fatto gridare allo scandalo, riportando il dibattito al presunto antisemitismo dei due pensatori. Ci auguriamo che il libro in questione apra una stagione intellettualmente diversa, nella quale di autori così rilevanti sotto il profilo speculativo si possa discutere sine ira et studio. Le loro idee, infatti, sono essenziali per propiziare un Nuovo Inizio europeo.
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