Il Sacerdote cattolico che non piace al Vaticano

hans-kuengNormalmente, quello della teologia è un ambito molto ristretto e specialistico, la cui eco molto difficilmente raggiunge il grande pubblico.

Eppure, c’è un nome che molti, anche al di fuori di tale ambito, hanno, nel bene o nel male, almeno sentito: quello di Hans Küng, il “paladino del Vaticano II”, l’uomo considerato quasi unanimemente il maggior pensatore teologico della seconda metà del ‘900,  le cui tesi si sono spesso scontrate con le posizioni dogmatiche ufficiali della Chiesa cattolica (della quale, come Sacerdote, egli fa parte).

La rivista francese Témoginage Chrétien, nel 2006, ha aperto così un articolo a lui dedicato: “Sarebbe potuto diventare uno dei teologi ufficiali del Vaticano, avrebbe potuto accedere rapidamente all’episcopato e – perché no – concludere pacificamente la sua carriera al Sacro Collegio. ‘Quando un grande teologo perde i denti, è maturo per il cardinalato’, scherza Hans Küng nel primo tomo delle sue Memorie che sono appena uscite in francese per i tipi delle Editions du Cerf. Un’altra giovane speranza della teologia germanofona della sua generazione, che ha insegnato contemporaneamente a lui all’Università di Tübingen, e ha scritto nelle stesse riviste (tra cui la famosa Concilium) è persino diventato papa… Ma Hans Küng ama troppo la teologia e la libertà per accettare di sacrificarle sull’altare del potere spirituale o su quello dell’obbedienza a priori. La ricerca è una cosa seria. In teologia come in altri campi, essa richiede il coraggio di andare alla radice dei propri ragionamenti. E di dire pane al pane e vino al vino. Cosa possibile nel mondo cattolico… fino ad un certo punto. Un teologo può a rigore pensare cose che non quadrano con il discorso ufficiale e parlarne con alcuni suoi colleghi. Commette invece un torto se lo fa sapere pubblicamente, soprattutto al di fuori degli ambienti specialistici.[1]

Per comprendere chi sia Hans Küng e cosa del suo pensiero teologico, per altro così omnicomprensivo da aver toccato praticamente tutti gli aspetti delle relazioni umane, sia tanto sgradito ai palazzi petrini è necessario ripercorrere brevemente la sua biografia[2].

Nato nel 1928 a Sursee, nel Canton di Lucerna, Küng, subito dopo gli studi liceali, entra al “Pontificium Collegium Germanicum et Hungaricum” a Roma e studia filosofia e teologia alla Pontificia Università Gregoriana. Ordinato sacerdote nel 1954 (con prima Messa celebrata a San Pietro per un gruppo di Guardie Svizzere), viene inviato a Parigi, dove, nel 1957, consegue il Dottorato in teologia all’Institut Catholique, con una tesi sulla dottrina della giustificazione del teologo riformato Karl Barth. Questo primo lavoro, poi pubblicato con il titolo “Giustificazione: La Dottrina di Karl Barth e una Riflessione Cattolica”, già mostra una delle caratteristiche fondamentali del pensiero di Küng, la capacità di sviluppare una riflessione che va aldilà delle posizioni ufficiali e che trova nuovi collegamenti   e relazioni tra entità apparentemente opposte: non è un caso che, dopo secoli di diatribe tra giustificazione per Fede e giustificazione per opere, lo studio del ventinovenne teologo  svizzero concluda, con dimostrazione, per altro pienamente accettabile sia per la Chiesa Cattolica che per quella Luterana (sebbene già questa prima pubblicazione faccia sì che la Congregazione per la Retta Dottrina apra un fascicolo su di lui), che esista un conformismo teologico fondamentale tra ciò che Barth e la Chiesa Cattolica Romana insegnano sulla giustificazione e che la divisione tra i due sistemi di pensiero sia legata unicamente alle rispettive strutture burocratiche.[3]

Grazie al successo della sua tesi dottorale e alle evidenti superiori capacità analitiche, il giovane Küng, a soli 32 anni, nel 1960, è nominato professore ordinario presso la Facoltà di Teologia Cattolica all’Università di Tubinga.

La brillantezza del giovane professore colpisce l’entourage di Giovanni XXIII e il Papa lo nomina “peritus” nelle questioni teologico-ecumeniche e, in tale veste, a 34 anni, Küng è il più giovane partecipante, tra il 1962 e il 1965, al Concilio Vaticano II.

E’ in tale occasione che egli conosce Joseph Ratzinger, allora teologo consigliere del Vescovo di Colonia e, una volta tornato a Tubinga, è lui che spinge l’università ad assumere Ratzinger come professore di teologia dogmatica, posizione che il futuro Papa Benedetto XVI ricoprirà fino al 1969, quando la comparsa della contestazione studentesca lo indurrà a trasferirsi nella più tranquilla Università di Ratisbona.

L’esperienza conciliare segna profondamente la teologia di Küng, che, spinto dalle speranze che il Vaticano II stava sviluppando in tutto il mondo cattolico, pubblica un testo, “Concilio e ritorno all’unità” che diventerà un bestseller e lo farà conoscere universalmente come uno delle menti più illuminate della corrente cattolico-liberale. D’altra parte, all’interno del Concilio, la sua posizione era stata di notevole importanza: era stato lui a redigere i discorsi di alcuni Padri conciliari, a seguire passo dopo passo l’evoluzione dei testi (in particolare della “Constituzione sulla Chiesa” e del “Decreto sull’Ecumenismo”) e a lottare contro le manovre della Curia, guidata dal Cardinal Ottaviani, che cercava di bloccare qualsiasi progresso “modernista”.

In questo periodo, Küng è soprattutto interessato alla natura e alla struttura della Chiesa ed è proprio nella seconda metà degli anni ’60 che inizia la sua sistematica contestazione della Tradizione e della gerarchia della Chiesa, soprattutto con il testo “La Chiesa”, in cui condanna apertamente l’autoritarismo gerarchico che caratterizza una Struttura che, al contrario, dovrebbe valorizzare i carismi particolari di ogni singolo.[4]

I problemi maggiori per il teologo svizzero nascono con un suo testo del 1970, “Infallibile? Una domanda”, in cui, primo dopo i Vetero-Cattolici nel 1870, egli critica aspramente il dogma dell’infallibilità papale, considerandolo indimostrabile e giudicando, tra l’altro, la formula della sua enunciazione dogmatica “vaga e indeterminata a tal punto che quasi mai si può dire quali decisioni debbano essere ritenute infallibili[5].

Con due diverse lettere, datate rispettivamente 16 maggio 1971 e 12 luglio 1971, la Congregazione per la Retta Dottrina notificò all’autore la sua messa in “stato d’accusa” per opinioni in contraddizione con la Dottrina cattolica, ma Küng ribadì le sue posizioni in altri due testi (“Preti perché? Un aiuto?” del 1971 e “Fallibile? Un bilancio”, del 1973) e non rispose ad una ulteriore richiesta di chiarimenti del 4 luglio 1973.

Nel 1975, di conseguenza, arrivò il primo ammonimento ufficiale, approvato da Papa Paolo IV, del Cardinal Šeper, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in cui, tra l’altro, si legge che il punto fondamentale in cui Küng professa dottrine eretiche riguarda: “l’opinione che pone almeno in dubbio lo stesso Dogma di Fede della infallibilità della Chiesa e lo riduce ad una certa fondamentale indefettibilità della Chiesa nella verità, con la possibilità di errare nelle sentenze che il Magistero della Chiesa in modo definitivo insegna di credere, contraddice la dottrina definita dal Concilio Vaticano I e confermata dal Concilio Vaticano II.[6] Prosegue, poi, Šeper, che, a questo punto, ha mano libera per attaccare il teologo su tutta la linea: “Un altro errore che pregiudica gravemente la dottrina del prof. Küng riguarda la sua opinione sul Magistero della chiesa. In realtà egli non si attiene al genuino concetto del Magistero autentico secondo il quale i Vescovi sono nella Chiesa ‘dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo e che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella vita pratica’; infatti ‘l’ufficio di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è affidato al solo magistero vivo della chiesa’. Anche l’opinione già insinuata dal prof. Küng nel libro La chiesa e secondo la quale l’Eucarestia, almeno in casi di necessità, può essere consacrata validamente da battezzati privi dell’ordine sacerdotale, non può accordarsi con la dottrina dei Concili Lateranense IV e Vaticano II. Tuttavia, nonostante la gravità di tali opinioni, poiché egli stesso con la lettera del 4 settembre 1974 non esclude affatto di poter giungere, dopo un congruo tempo di studio approfondito, ad armonizzare le proprie opinioni con la dottrina del Magistero autentico della chiesa, questa Sacra Congregazione, per mandato del Sommo Pontefice Paolo VI, per ora ammonisce il prof. H. Küng di non continuare ad insegnare tali opinioni e gli ricorda che l’autorità ecclesiastica gli ha affidato l’incarico di insegnare s. teologia nello spirito della dottrina della chiesa e non invece opinioni che demoliscono questa dottrina o la mettono in dubbio.[7]

Nel frattempo, era uscito quello che può essere considerato il “monumento teologico” di Küng, quel “Essere Cristiani”[8] che, nelle sue oltre 700 pagine, ridisegna quella che, secondo l’autore, avrebbe dovuto essere la Chiesa post-conciliare, includendo assunti che si pongono nettamente in antitesi dogmatica con le posizioni vaticane e che demoliscono alcuni pilastri della Fede “come la nascita verginale di Gesù, i miracoli, l’infallibilità della Chiesa, la storicità della resurrezione, la preesistenza del Verbo, ecc.[9] e arrivando, ultimativamente, a negare la divinità di Cristo, pur riconoscendogli a più riprese l’unicità, l’originalità, l’eccellenza insuperabile della sua missione di rappresentante o intendente di Dio.[10]

Il Vaticano, comunque, non agì immediatamente e, da parte sua, Küng continuò a rifiutare ogni chiarimento davanti alla Congregazione per la Retta Dottrina affermando che non lo avrebbe fatto “finché non sarò sicuro di ricevere un processo equo …[11].

Il 16 ottobre 1978, però, qualcosa cambia radicalmente all’interno della Chiesa Cattolica: Karol Józef Wojtyła, Cardinale Arcivescovo di Cracovia, noto negli ambienti ecclesiastici per il suo fortissimo impegno anti-marxista e per la sua posizione chiaramente conservatrice e anti-liberale viene eletto 263° Successore di San Pietro.

Poco più di un anno dopo, la prima azione repressiva di una lunga serie nei confronti di quelle che il “nuovo” Papa Giovanni Paolo II ha definito, lungo il corso di tutto il suo Pontificato, “pericolose deviazioni” ha come oggetto proprio l’allora cinquantunenne teologo dell’Università di Tubinga: il 18 dicembre 1979 la Congregazione per la Retta Dottrina, scrivendo “siamo obbligati a dichiarare che nei suoi scritti egli si allontana dall’integrità e dalla verità della Fede cattolica[12], revoca la “Missio Canonica” (cioè l’autorizzazione all’insegnamento della teologia cattolica) a Küng, che, pure, non avendo violato (e forse qui risiede per alcuni versi, la contraddizione di fondo del provvedimento) elementi fondanti del Sacerdozio, continua ad essere ritenuto e a rimanere Prete cattolico a tutti gli effetti.

Nella pratica, il provvedimento, immediatamente ed ovviamente controfirmato dal Cardinal Hoffer, Primate di Germania, noto per le sue posizioni conservatrici, non cambiò granché le cose: l’Università di Tubinga si affrettò a creare per Küng un “Istituto Ecumenico” che, non più legato al benestare vaticano, gli permesse di continuare l’insegnamento (che lasciò solo nel 1996), di criticare sempre più violentemente l’operato della Congregazione per la Dottrina della Fede, considerata responsabile della repressione ed epurazione di tutte le voci critiche all’interno della Chiesa cattolica e paragonata ai tribunali stalinisti[13] e di non smettere di animare e influenzare la discussione relativa alla teologia delle religioni.

Contro le sue posizioni si alzarono da subito numerose voci cattoliche, muovendogli accuse di stampo soprattutto metodologico, ben riassunte da Sala nel suo “Essere Cristiani ed Essere nella Chiesa”: “Primo: la posizione künghiana che vuole riannodare l’esperienza di fede con la realtà concreta di Gesù Cristo senza le mediazioni dogmatiche preferisce un elemento decisivo della conoscenza; la realtà di una cosa si annuncia e si comprende solo attraverso una mediazione concettuale (e proposizionale). La fides quae creditur esercita la funzione insostituibile di mediare al credente la genuina figura dl Cristo (nel caso contrario sarebbe come avere un orologio che va, ma senza lancette) che altrimenti sarebbe inafferrabile. Secondo: la reciproca escludenza che Küng deduce dal confronto tra scienza empirica e le narrazioni dei miracoli di Gesù può sussistere solo se non si distingue, come fa il ‘teologo’ di Tubinga, tra la causalità della natura verificata nel circolo scientifico di osservazione-elaborazione di ipotesi-deduzione-nuova osservazione (circolarità necessariamente limitata al solo dato che si sta studiando ed assolutamente inestensibile fuori di esso) e l’interpretazione filosofica di essa, interpretazione che può essere tanto immanentistico-ateistica quanto invece aperta al trascendente.

Terzo: il modulo costante su cui lavora Küng, che gli permette di escludere quelli che il Nuovo Testamento presenta come fatti traducendoli in significati, vien meno ad una delle regole fondamentali dell’atteggiamento scientifico: quella di accettare il dato per quello che il dato dice di essere. La razionalità è la capacità di entrare coscientemente in relazione con ciò che noi stessi non siamo, sottomettendoci all’oggetto e discriminando ciò che conosciamo dal nostro atto di conoscenza.[14]

Per nulla toccato da tali critiche e potendo contare sul supporto di una grande massa di fedeli che, sempre più, iniziavano a considerare le posizioni vaticane come retrive e fuori dal tempo, Küng continuò, comunque, nella sua “battaglia” per la modernizzazione del pensiero teologico.

Particolarmente impressionante fu, nei testi successivi, la critica künghiana a tutto il Pontificato di Giovanni Paolo II, a cui il teologo di Lucerna rimprovera molte cose:

1)      di aver impedito il dialogo intra-religioso e di aver affermato, in netta contrapposizione con il dettato conciliare, un “romacentrismo” verticistico esasperato, palesato soprattutto nelle nomine vescovili;

2)      di aver irreggimentato la Chiesa in un sistema estremamente legalitario che, di fatto, nella sua rigidità, ha impedito persino la firma vaticana alla “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo” del Consiglio d’Europa, perché in contrasto con alcuni Canoni;

3)      di aver imposto concetti di santità legati a personaggi discutibili dell’ala ultra-conservatrice (da Pio IX a Josè Maria Escrivà);

4)      di aver tarpato le ali agli intellettuali più acuti della Cristianità, negando ogni possibilità critica e svilendo la teologia ad un piatto conformismo;

5)      di aver rallentato il dialogo ecumenico, continuando a tentare una “colonizzazione culturale” dell’Est europeo in contrasto con la Chiesa Russo-ortodossa, arrivando a definire le Religioni extra-cristiane “forme deficitarie di Fede” e, per mano del Cardinal Ratzinger, negando, di fatto, ancora una volta in contrasto aperto con il dettato del Concilio Vaticano II, la dignità salvifica insita in qualunque forma religiosa;

6)      di non aver rispettato la separazione tra stato e chiesa, facendo pressione tramite il PPE sul Parlamento europeo su alcuni temi sensibili;

7)       di aver negato alle donne il “ministero mariano[15].

Forse, la summa di ogni attacco precedente al Pontificato di  Wojtyła si è avuta in un articolo, pubblicato contemporaneamente in Germania e in Italia, in cui, tra l’altro, si legge: “Per la Chiesa cattolica questo Pontificato si rivela… un disastro… Contro tutte le intenzioni del Concilio Vaticano II, il sistema romano medioevale — un apparato di potere caratterizzato da tratti totalitari — è stato restaurato grazie a una politica personale e dottrinale tanto astuta quanto spietata: i vescovi sono stati uniformati, i padri spirituali sovraccaricati, i teologi dotati di museruola, i laici privati dei diritti, le donne discriminate, le iniziative popolari dei sinodi nazionali e delle chiese ignorati. E poi ancora scandali sessuali, divieti di discussione, dominio liturgico, divieto di predica per i teologi laici, esortazione alla denuncia, impedimento dell’eucarestia… La grande credibilità della Chiesa Cattolica, cioè quella ottenuta da Giovanni XXIII e dal Concilio Vaticano II, ha lasciato il posto a una vera e propria crisi della speranza. Questo è il risultato della profonda tragicità personale di questo Papa: la sua idea cattolica di stampo polacco (medioevale, controriformista e antimoderna), in qualità di Pontefice Karol Wojtyła l’ha voluta portare anche nel resto del mondo cattolico…[16]

I rapporti tra il teologo dissidente e il Papato non sono certo migliorati con l’elezione al Sacro Soglio di Benedetto XVI.

Lasciando anche da parte la recentissima polemica sulla riammissione nel seno della Chiesa dei Tradizionalisti lefebvriani della Società S. Pio X, che Küng, come espresso in molte delle ultime interviste, ha ritenuto un passo indietro inaccettabile e, come la riammissione della Messa in latino, un atto volutamente contrario al Vaticano II, e nonostante l’incontro tra il Papa e il teologo a Castel Gandolfo del settembre 2005, il divario ideologico tra i due rimane davvero incolmabile.

In particolare, due aspetti del pensiero künghiano dell’ultimo decennio sembrano aver ulteriormente allargato il fossato che divide il teologo dal Vaticano.

Il primo, è la posizione assunta nel testo “Sulla dignità del morire[17], in cui, in unione con il noto saggista Walter Jens, Küng affronta alcune tematiche decisive relative all’eutanasia, cercando di rispondere a domande quali: l’uomo può disporre della propria vita e scegliere quando e come morire? Nella prospettiva cristiana, la scelta spetta esclusivamente a chi gliel’ha donata, e cioè al Creatore? E’ venuto il momento in cui le società moderne devono riconoscere la liceità dell’eutanasia?

Partendo dalla convinzione che “milioni e milioni di uomini non abbiano la minima possibilità né di scegliere né di morire in maniera degna dell’uomo[18], il professore di Tubinga sostiene che occorra operare affinché la dignità delle persone sia salvaguardata anche nella fase terminale della vita, senza ignorare che “senza una vita dignitosa non è possibile una morte dignitosa[19].

Il corollario che ne deriva è la necessità di un contatto umano stretto che si prolunghi per tutto il periodo terminale, ma, soprattutto, pur nella riconferma dell’ovvia illiceità di ogni eutanasia imposta per costrizione, la “liceità etica dell’eutanasia nel senso di tentativo di rendere “buona” la morte senza per questo accorciare la vita: quella cioè in cui il medico si limita a somministrare sedativi per ridurre il dolore”.

Fino a questo punto, l’idea künghiana rimane, più o meno, nel solco cattolico, ma il punto critico occorre con l’affermazione della necessità di riconoscere la “liceità etica dell’eutanasia passiva, dove la morte è effetto collaterale, cioè un’eutanasia indiretta conseguita mediante l’interruzione dei mezzi di sostentamento artificiale della vita. Che l’uomo non abbia l’obbligo di conservarsi in vita attraverso mezzi eccezionali è un classico assioma della teologia morale. Nessun paziente in ogni caso ha il dovere etico di sottoporsi a qualsiasi terapia e a qualsiasi operazione che prolunghi la sua vita. Sta al paziente, non al medico, decidere, dopo essersi adeguatamente informato, se farsi operare ancora una volta, morendo più tardi ma forse in maniera più dolorosa, oppure non farsi operare morendo forse prima ma in maniera meno dolorosa. È diritto dei pazienti decidere liberamente se sottoporsi o meno a determinate cure mediche. Nessun medico ha il dovere di prolungare a ogni costo la vita umana, andando così incontro a una prolungata agonia”.

Tutto ciò viene ampiamente provato dal punto di vista etico, morale e religioso, ma il divario con l’interpretazione pontifica, non potrebbe, come dimostrato anche da recenti prese di posizione vaticane su vicende di eutanasia passiva americane e italiane, più grande.

La stessa cosa, sebbene con toni più sfumati, può essere detta anche riguardo ad un secondo tema caro a Küng fin dall’inizio della sua attività teologica: quello dell’ecumenismo.

Dalla metà degli anni ’80 al 2005, almeno tre pubblicazioni dell’autore si sono incentrate espressamente su questo aspetto ecclesiologico: “Cristianesimo e religioni universali. Introduzione al dialogo con islamismo, induismo e buddhismo”; “Ebraismo” e “Islam[20].

Tutti e tre i testi, pur nella loro diversità e complessità, sottolineano non solo, come fa la Chiesa, la presenza di elementi positivi in ogni religione, ma la “sacralità” non imperfetta di ciascuna di esse e la presenza di Dio nel loro fondamento primo, sviluppando un livello ecumenico che si configura come un vero e proprio “salto di livello” rispetto alla posizione attuale del Cattolicesimo[21].

Particolarmente interessante è l’analisi sull’Islam, in cui vengono ravvisati, allo stato attuale, gli stessi errori che stanno affliggendo il Cattolicesimo: il problema di fondo è l’incapacità di rinnovarsi e l’ostinata conservazione della tradizione, a partire dalla la nozione di sacralità delle 78000 parole del Corano che arriva addirittura ad oscurare la possibilità di riconoscere il Corano come la Parola di Dio attraverso la mediazione del Profeta Maometto.

Solo un rinnovamento profondo delle strutture di entrambe le Religioni (ma anche per l’Ebraismo il cammino risulta molto simile) può portare all’implementazione dei quattro capisaldi che per Küng stanno alla base di ogni Sistema religioso: cultura della non violenza, cultura della solidarietà e giustizia del sistema economico,  tolleranza e amore per la verità, uguaglianza e parità tra uomo e donna.

Alla luce di quanto osservato, quello che, in fin dei conti, appare più strano è come Küng, che da tempo si definisce un “Cattolico Evangelico”, possa ancora essere (sia in termini di scelta personale che in termini di permesso ecclesiastico), un Sacerdote cattolico nonostante la distanza che lo separa, ormai da molti anni, dalla Chiesa Madre.

Se per quanto riguarda la sua scelta personale, alcune motivazioni (fede nelle conclusioni conciliari, legame al background culturale, volontà di rinnovamento ecclesiastico “dall’interno”, etc.) sono ben spiegate nel suo recentissimo “La Mia Battaglia per la Libertà[22], resta misterioso il fatto che la Santa Sede non abbia mai preso, dopo il ritiro della “Missio Canonica”, altri provvedimenti più pesanti nei suoi confronti. Si tratta, forse, di una questione d’immagine, vista la fama del teologo svizzero? O forse la Chiesa è, nonostante il suo andamento verso direzioni chiaramente più conservatrici, ancora abbastanza aperta da accettare un livello pur notevole di dissenso interno? O forse, davvero, esiste ancora (ed esisterà sempre) una lotta interna tra una corrente di “destra”, conservatrice (e ora vincente) ed una corrente di “sinistra”, liberale, che fa di Küng una sua “testa di ponte” e che, pur non esponendosi ai livelli del teologo dissenziente, difende, in qualche modo, le sue posizioni?

Probabilmente la risposta rimarrà per sempre celata nelle pieghe della segretissima politica interna curiale.


[1] J. Anciberro, “Parcours: mémoires d’un rebelle”, Témoignage Chrétien, 23/11/2006

[2] Largamente tratta da H.Küng, La mia battaglia per la libertà. Memorie, Diabasis 2008, passim

[3] W. Jeanrond, ”Hans Küng”, in D. Ford (a cura di), Modern Theologians, vol. 1, Blackwell 1989, pp.164 ss.

[4] F.J. Laishley, Modem Catholicism,  Oxford University Press 1991, pp.223 ss.

[5] H. Küng, Infallibile? Una Domanda, Mondadori 1970, p.41

[6] F. Šeper, Lettera ammonitoria Su due libri di Hans Küng, Congregazione per la Dottrina della Fede, 15 febbraio 1975

[7] Ivi

[8] H. Küng, Christ Sein, 1974. Trad.it Essere Cristiani, Mondadori 1976

[9] G.B. Sala, Essere cristiani e Essere nella Chiesa. Il problema di Fondo in un Recente Libro di Hans Küng, Edizioni Paoline 1975, pp. 166

[10] H. Küng, Christ Sein, citato, p.307

[11] R.Singleton, “The Pope Silences Dr. Küng”, The Universe, 21 dicembre 1979

[12] Congregazione per la Dottrina della Fede, 18 dicembre 1979

[13] H. Küng, Contro il Tradimento del Concilio. Dove va la Chiesa Cattolica, Claudiana 1987, p.83

[14] G.B. Sala, Citato, pp.181 ss.

[15] C.C. Simut, A Critical Study of Hans Kung’s Ecclesiology: From Traditionalism to Modernism, Peter Lang Publishing 2008, passim

[16] H. Küng, “Wojtyla, il Papa che ha fallito”, Corriere della Sera 2 gennaio 2006

[17] H. Küng, Sulla dignità del morire, Rizzoli 1998

[18] Ivi, pp. 21 ss.

[19] Ivi, p. 36

[20] Rispettivamente: H. Küng, Cristianesimo e Religioni Universali. Introduzione al Dialogo con Islamismo, Induismo e Buddhismo, Mondadori 1986; H. Küng, Ebraismo, Rizzoli 1993; H. Küng, Islam, Rizzoli 2005

[21] S.Jacovi, Hans Küng and the Liberal Theology, Hunser  2007, pp. 106 ss.

[22] H. Küng, La Mia Battaglia per la Libertà”, Diabasis 2008, passim

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Nato a Londra nel 1968 ma italiano di adozione, si laurea a 22 anni con il massimo dei voti in Lettere Moderne presso l'UCSC di Milano con una tesi sui rapporti tra cultura cabbalistica ebraica e cinematografia espressionista tedesca premiata in Senato dal Presidente Spadolini. Successivamente si occupa di cinema presso l'Istituto di Scienze dello Spettacolo dell'UCSC, pubblicando alcuni saggi ed articoli, si dedica all'insegnamento storico, ottiene un Master in Marketing a pieni voti e si specializza in pubblicità. Dal 2003 si interessa di storia e simbologia religiosa: nel 2006 pubblica Il Graal è dentro di noi, nel 2007 Non per mano d'uomo? e nel 2009 L’anima e la svastica. Nel 2008 ottiene, negli USA, "magna cum laude", un dottorato in Studi Religiosi a cui seguono un master in Studi Biblici e un Ph.D in Storia della Chiesa, con pubblicazione universitaria della tesi dottorale dal titolo Nicea: what it was, what it was not (2009). Collabora con riviste cartacee e telematiche (Hera, InStoria, Archeomedia) e portali tematici, è curatore della rubrica "BarBar" su www.storiamedievale.org e della rubrica "Viaggiatori del Sacro” su www.edicolaweb.net. Sito internet: http://www.lawrence.altervista.org.

  1. Mario Antonio Esposi
    | Rispondi

    Poco addentro negli studi, ed in particolare delle religioni, ma attento a quanto avviene intorno a me, trovo questa lettura molto interessante, forse perché ho pochissima stima per la chiesa -a parte i missionari che si sacrificano in prima persona e fanno credere, col loro esmpio, all'esistenza di un dio- in cui io non credo.

    Trovo vergognoso il predicare castità, umiltà e povertà (per gli altri!) e vedere questi personaggi, questi commedianti, paludati come marionette, effettuare i loro defilé solo in casi di disgrazie con morti, o nelle feste comandate (da loro) per autocelebrarsi.

    Interessantissimo trovo le critiche rivolte al papa polacco e l'ultima parte relativa al "fine vita", su cui non riconosco a NESSUNO il diritto di decidere per me -nel caso di assoluta impossibilità di guarigione- se vivere soffrendo o farla finita, evitando anche sofferenze a chi -per amore o per dovere- dovrebbe assistermi. Ricordo, nel caso di Welby, l'ipocrita dichiarazione fatta da Formigoni, con un sorriso a 32 denti: "La vita è meravigliosa e va vissuta fino in fondo." E infine la mia domanda a questi ipocriti incancreniti: "Perché quando il papa polacco rifiutò le cure -che potevano ancora tenerlo in vita, e non come un disgraziato!- dicendo di voler raggiungere la casa del padre, non gli imposero di continuare a curarsi? Grazie per l'ospitalità. Mario Esposito

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