Gregorio Barbarigo (1625-1697) e la sua inclinazione per l’arabico e altre lingue orientali. Prima parte

1660 GREGORIO BARBARICOIl seminario

Nel 1664, quando il cardinale veneziano Gregorio Barbarigo fu insediato a capo della Diocesi della città di Padova, il seminario esisteva già da quasi un secolo[1]. Egli lo rifondò ex-novo secondo una norma emanata dal Concilio di Trento che sanciva l’obbligo da parte di ogni vescovo eletto in una diocesi di erigere un seminario per la formazione di un clero degno e preparato. La scelta della nuova sede fu fortuita. Nel 1668, per ordine di papa Alessandro VII (1655-1667), la piccola congregazione di San Giorgio in Alga[2] venne soppressa e i canonici presenti traslocati in altra sede. Il monastero di Santa Maria in Vanzo fu messo in vendita all’asta. I locali, l’ubicazione e il significato storico-religioso dell’edificio piacquero molto al vescovo che lo acquistò per una cifra di circa 21.700 lire venete[3]. La nuova istituzione scolastica, dotata in seguito anche di una stamperia e di una biblioteca, fu inaugurata nel 1670.

Gli studi del seminario erano regolati da alcune norme scolastiche scritte dal vescovo di proprio pugno sul modello della Ratio Studiorum dei Gesuiti[4]. Il libro che le raccoglie si intitola Ratio et Institutio Studiorum Seminarii Patavini e fu riprodotto dalla stamperia del seminario nell’anno 1690[5]. Il Barbarigo vi inserì alcune modificazioni significative rispetto al testo originale dei Gesuiti, prima fra tutte lo studio delle lingue, non solo del latino e del greco, ma anche di quelle orientali[6].

Il seminario aveva un duplice intento: quello di formare i futuri sacerdoti e quello di preparare i missionari ovvero il clero da inviare nei territori cristiano-ortodossi e musulmani[7]. I primi dovevano apprendere le lingue straniere per confutare e cercare di redimere gli abitanti stranieri della Diocesi di Padova che non appartenevano al cattolicesimo[8]; i secondi dovevano conoscere l’arabo o altre lingue orientali non tanto per convertire gli infedeli nei territori del Levante, quanto per ricondurre «[…] nel grembo di Santa Romana Chiesa i fedeli delle numerose Chiese d’Oriente»[9].

Il Barbarigo auspicava che sia i sacerdoti sia i missionari diventassero, al termine del loro corso di studi, degli esperti nei rapporti con i non cattolici[10]. Egli era convinto che il ravvedimento si poteva ottenere con la conoscenza della lingua degli interlocutori, non senza aver prima appreso la loro storia, la loro cultura, il loro pensiero, la loro dottrina e soprattutto i loro libri sacri. Per coloro che venivano poi inviati «ne’ remoti paesi»[11] soprattutto nel Vicino e nel Medio Oriente, lingue come l’ebraico, il siriaco, il caldaico, l’arabo, il turco e il persiano sarebbero divenute necessarie alla propagazione del credo cattolico in quei luoghi[12].

Il vescovo si distinse dai suoi predecessori per la sua azione di evangelizzazione innovativa[13], predicando e diffondendo il Vangelo attraverso il mezzo persuasivo della parola[14]. Questo era, secondo lui, il messaggio di Dio: la sua fede doveva essere portata non «[…] sulla punta della spada, ma della lingua, e nel bagno de’ martiri»[15]. Quindi non la forza poteva indurre alla conversione, ma l’annuncio e la testimonianza anche con il proprio sangue. Quando il Barbarigo si proponeva di convincere il credente di un’altra religione a passare al cattolicesimo non lo costringeva mai alla conversione, perché, secondo lui, gli uomini «[…] dovevano essere convinti e istruiti nella fede cattolica, non costretti»[16]. Per convincerlo evidenziava l’erroneità della sua fede, mentre per istruirlo enunciava i contenuti di quella cattolica. Le vivaci argomentazioni che il Barbarigo intratteneva con gli stranieri della sua città le esprimeva nella loro lingua e non nella propria, «[…] in modo che le istruzioni e le motivazioni addotte per la conversione alla Chiesa cattolica fossero comprese pienamente»[17]. Ecco perché il prelato fu un grande sostenitore dello studio delle lingue straniere, in particolare di quelle orientali[18].

La scuola di orientalistica

Durante i suoi trentatré anni di governo diocesano, il Barbarigo dette grande impulso alle istituzioni scolastiche: stimolò la formazione teologica e biblica arricchendola di sapere classico e scientifico. Era sua opinione che la scienza e la letteratura fungessero da introduzione alla più suprema delle scienze, la Teologia e alla più eccelsa delle letture, la Bibbia[19].

Le scuole del seminario si dividevano in inferiori e superiori. Le prime erano quelle letterarie e comprendevano la scuola di retorica, umanità[20], prosodia e grammatica; le seconde corrispondevano alle scientifiche e includevano le scuole di teologia, filosofia, logica, matematica, giurisprudenza, sacra scrittura, storia sacra ed ecclesiastica, geografia, lingue orientali. L’apprendimento delle lingue orientali prevedeva due indirizzi: il primo formato da ebraico-siriaco-caldaico e il secondo da araboturco-persiano[21]. Gli studenti potevano frequentare il corso di lingua araba solo se avevano già concluso lo studio dell’ebraico, del siriaco e del caldaico[22].

La prima lingua orientale a essere introdotta nel seminario fu il greco, perché il Barbarigo pensava di «[…] poter unire con questo studio, la Chiesa greca con la latina»[23]. La seconda fu quella ebraica e a testimonianza di ciò conserviamo una grammatica fatta stampare a Venezia nell’anno 1681 dal titolo Rudimenta Grammaticae Hebraeae ad usum Seminarii Patavini[24], scritta dal maestro di lingua e cultura ebraica, Luigi Benetelli. La terza lingua a essere insegnata fu quella araba, di cui possediamo un testo raro e pregevole di grammatica scritto in latino dal frate minore francescano Agapito dalla Val di Fiemme, maestro di lingua e cultura araba presso il seminario di Padova e correttore nella sezione di lingue orientali della stamperia; questa grammatica, edita nella tipografia del seminario patavino nel 1687, si intitola Flores grammaticales Arabici idiomatis, Collecti ex optimis quibusque Grammaticis, nec non pluribus Arabum monumentis, & ad quam maximan fieri potuit brevitatem, atque ordinem revocati: studio & labore Fr. Agapiti à Valle Flemmarum ordinis Minorum S. Francisci reformatorum, Provinciae Tridentinae, in Seminario Patavino Lectoris. Opus omnibus Arabicae linguae studiosis perutile, & necessarium: Cui accedit in fine Praxis Grammaticalis, & exercitium pro Lectione Vulgari[25]. Dopo l’arabo si cominciò a studiare la lingua persiana, di cui possediamo una grammatica meno voluminosa rispetto a quella di Agapito, curata da un altro orientalista del seminario, Timoteo Agnellini[26].

Verso il 1680 il Barbarigo chiamò a Padova alcuni cultori di tali lingue e dopo circa un paio d’anni i corsi di ebraico e di arabo erano già attivi[27]. I maestri che insegnarono lingua araba nella scuola del seminario furono Agapito Daprà e Timoteo Agnellini[28]. Agapito Daprà nacque a Tesero nel 1653 e morì a Padova nel 1687, nello stesso anno in cui venne data alla stampa la sua grammatica araba. Il reverendo padre Agapito era un minore osservante, più conosciuto con il nome di Agapito da Fiemme o dalla Val di Fiemme. Nel 1671 entrò nell’ordine francescano. Nel 1680 andò a Roma per prepararsi a una missione in Oriente nel collegio di San Pietro in Montorio dove si formò come arabista; due anni più tardi fu chiamato a Padova dal Barbarigo, il quale gli affidò l’insegnamento della lingua arabica[29] che accettò ben volentieri, rinunciando così alla sua partenza per l’Oriente[30].

Timoteo Agnellini (m. 1724), conosciuto anche con il nome arabo di Zafi Diarbekri (o Diarbek, in armeno Carnuch)[31] era un ottimo conoscitore dell’arabo, del turco e del persiano. Riferendosi al Barbarigo raccontava che «quando fu acquistata Buda […] s’espresse in sentimenti di grande speranza, di doversi aprire la strada da mandare i suoi studenti di lingua turca missionarii nei paesi infedeli, per l’acquisto di quelle anime»[32]. Questa fu la ragione per cui il Barbarigo lo convocò a Padova (da Venezia), conferendogli non solo la cattedra di lingua turca, ma incaricandolo, inoltre, di sovrintendere tutte le opere della sezione lingue orientali edite nella sua officina tipografica. Con la morte di padre Agapito, l’Agnellini subentrò come successore della cattedra di lingua araba. Infine fu autore di testi poliglotti destinati non soltanto all’apprendimento dell’arabo, ma anche all’indottrinamento cristiano in lingua araba, turca e persiana.

Il Barbarigo investì molte energie nella scuola di lingue orientali, specialmente nell’insegnamento dell’arabo, tanto che gli amministratori del vescovado lo misero in guardia dalle enormi spese che stavano sostenendo. Erano convinti che la scuola e la stamperia, presto o tardi, avrebbero chiuso i battenti come avevano già fatto altre istituzioni analoghe. Uno degli economi del seminario scriveva, riferendosi al Barbarigo, quanto segue: «e specialmente gli parlavo circa le lingue Orientali, e in particolare della lingua Arabica, perché mi pareva che tanto la stampa di questa lingua, quanto l’imparare degli alunni quelle lingue, e specialmente l’Arabico, dovessero riuscire di poco frutto»[33]. E il vescovo gli rispose: «Questo non importa. Operiamo noi dal canto nostro ciò che stimiamo meglio, e lasciamo poi che Dio disponga per l’avvenire»[34].

Riferimenti bibliografici

Ambrosi 1972 – Ambrosi, Scrittori e artisti trentini, Bologna 1972.
Andreotti 1999 – Andreotti, Fra Seminario e Istituto per l’Educazione dei Nobili: il Collegio del Tresto, in L. Billanovich e P. Gios (a cura di), Gregorio Barbarigo patrizio veneto, vescovo e cardinale nella tarda Controriforma (1625-1697), Padova 1999, vol. III/1, pp. 625-636.
Barzon 1999 – Barzon, Per lo studio del Seminario di Padova: economia, amministrazione, alunni e professori, in L. Billanovich e P. Gios (a cura di), Gregorio Barbarigo patrizio veneto, vescovo e cardinale nella tarda Controriforma (1625-1697), Padova 1999, vol. III/1, pp. 637-701.
Bausani 1978 – Bausani, Il Corano, Firenze 1978.
Bellini 1938 – Bellini, Storia della Tipografia del Seminario di Padova 1684-1938, Padova 1938.
Branca 2000 – Branca, Le traduzioni italiane del Corano: storia, analisi e prospettive, in G. Zatti e Centro Ambrosiano di Documentazione per le Religioni (a cura di), Il Corano: traduzioni, traduttori e lettori in Italia, Milano 2000, pp. 111-182.
Callegari 1999 – Callegari, La tipografia del Seminario di Padova fondata dal Barbarigo, in L. Billanovich e P. Gios (a cura di), Gregorio Barbarigo patrizio veneto, vescovo e cardinale nella tarda Controriforma (1625-1697), Padova 1999, vol. III/1, pp. 231-251.
Cassese 1999 – Cassese, Gregorio Barbarigo e il rapporto con ebrei e non cattolici, in L. Billanovich e P. Gios (a cura di), Gregorio Barbarigo patrizio veneto, vescovo e cardinale nella tarda Controriforma (1625-1697), Padova 1999, vol. III/2, pp. 1023-1056.
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Fedalto 1999 – Fedalto, Il cardinale Gregorio Barbarigo e l’Oriente, in L. Billanovich e P. Gios (a cura di), Gregorio Barbarigo patrizio veneto, vescovo e cardinale nella tarda Controriforma (1625-1697), Padova 1999, vol. III/2, pp. 977-1001.
Ferrari 1815 – G.B. Ferrari, Vitae virorum illustrium Seminarii patavini cum opusculo de singulari B. gregorii Barbadici, studio et amore in idem seminarium, Padova 1815.
Franco 1834 – Franco, Degli illustri marosticensi: discorso, Bassano 1834.
Gios 1999 – Gios, Il giovane Barbarigo: dal contesto familiare al cardinalato, in L. Billanovich e P. Gios (a cura di), Gregorio Barbarigo patrizio veneto, vescovo e cardinale nella tarda Controriforma (1625-1697), Padova 1999, vol. III/1, pp. 3-26.
Mrkonjic’ 1999 – Mirkonjic’, Gregorio Barbarigo e Giovanni Pastrizio, in L. Billanovich e P. Gios (a cura di), Gregorio Barbarigo patrizio veneto, vescovo e cardinale nella tarda Controriforma (1625-1697), Padova 1999, vol. III/2, pp. 1169-1178.
Pedani Fabris 1999 – M.P. Pedani Fabris, Intorno alla questione della traduzione del Corano*, in L. Billanovich e P. Gios (a cura di), Gregorio Barbarigo patrizio veneto, vescovo e cardinale nella tarda Controriforma (1625-1697), Padova 1999, vol. III/1, pp. 353-365.
Pedani Fabris 2000 – M.P. Pedani Fabris, Ludovico Marracci: la vita e l’opera, in G. Zatti e Centro Ambrosiano di Documentazione per le Religioni (a cura di), Il Corano: traduzioni, traduttori e lettori in Italia, Milano 2000, pp. 9-29.
Poletto 1902 – Poletto, Il Beato Cardinale Gregorio Barbarigo, Vescovo di Padova e la riunione delle Chiese orientali alla romana, in Bessarione vol. I (1902), pp. 1-68.
Serena 1963 – Serena, San Gregorio Barbarigo e la vita spirituale e culturale nel suo Seminario di Padova, 2 voll., Padova 1963.
Vercellin 2001 – Vercellin, Venezia e l’origine della stampa in caratteri arabi, Padova 2001.

Siti internet
www.catalogo.unipd.it
www.dizionariobiograficoitaliano.it
www.treccani.it
www.wikipedia.it

Note

[1] Esso fu istituito dal vescovo Niccolò Ormanetto nel 1571, v. Poletto 1902, p. 6 e v. Serena 1963, ii, p. 432. Gli studenti che lo frequentavano non arrivavano alla trentina e, non avendo aule proprie, si recavano a studiare dai frati della città, v. Serena 1963, i, p. 1; nota 2, p. 161.

[2] I Canonici Regolari di San Giorgio in Alga erano un ordine religioso cattolico di sacerdoti, nato a Venezia verso la fine del 1300 e soppresso nel 1668, v. http://it.wikipedia.org/wiki/canonici_regolari_di_san_giorgio_in_alga.

[3] V. Bellini 1938, p. 41.

[4] Religiosi dell’ordine istituito da Ignazio di Loyola (1491-1556), detto anche della Compagnia di Gesù.

[5] V. Serena 1963, i, p. 162.

[6] V. Cassese 1999, pp. 1038-1039 e v. anche Serena 1963, i, p. 161. L’insegnamento delle lingue orientali fu introdotto nel seminario su sollecitazione di papa Innocenzo XI (1611-1689), il quale sosteneva che la filologia semitica era un’arte molto studiata dagli eretici e poco praticata dai cattolici; per questo occorreva conoscerla.

[7] Il seminario perseguiva gli stessi scopi del Collegio urbaniano di Propaganda Fide, fondato a Roma nel 1627, v. Cassese 1999, pp. 231; 1038.

[8] Una delle preoccupazioni che accompagnò il Barbarigo durante il suo episcopato patavino (1664-1697) fu l’eventualità che le persone appartenenti ad altre religioni e confessioni cristiane potessero persuadere qualcuno dei suoi fedeli ad abiurare e ad abbracciare una nuova fede. Le inquietudini del vescovo non erano del tutto infondate: la sua diocesi contava un numero cospicuo di abitanti provenienti da altri paesi che professavano religioni diverse da quella cattolica. Padova era la sede universitaria del dominio veneziano: ogni anno attirava una moltitudine di studenti provenienti da paesi ove «[…] si erano affermate religioni o confessioni cristiane diverse da quella del cattolicesimo: greci ortodossi, tedeschi luterani, inglesi anglicani – e anche alcuni puritani -, scozzesi riformati, polacchi ebrei, ma anche francesi e ungheresi […]», v. Fedalto 1999, p. 1023. A causa della sua vicinanza con Venezia, la città contava anche una forte presenza di lavoratori stranieri – importatori, esportatori, mercanti, artisti – ed era considerata, sebbene in misura minore rispetto alla città lagunare, un incrocio di razze, usanze, culture e credi differenti. Gli stranieri residenti a Padova erano soprattutto ebrei e turchi, «[…] in conseguenza ai complessi rapporti economici, militari e politici che la Repubblica di Venezia instaurò in tutta l’epoca moderna con il mondo orientale e anche con l’impero ottomano», v. Cassese 1999, p. 1024.

[9] V. Vercellin 2001, p. 20.

[10] V. Cassese 1999, p. 1051.

[11] V. Serena 1963, i, p. 156.

[12] L’ambizione del Barbarigo di fare proseliti andava oltre i confini della sua diocesi e mirava a estendersi non solo ai territori europei, ma anche a quelli al di fuori dell’Europa. Il Barbarigo definiva irriverente la religione islamica e il suo desiderio più grande rimaneva quello di vedere «il Maometismo fuori dell’Europa, anzi del mondo», v. Cassese 1999, p. 1046. Era dell’opinione che l’espansione dei dogmi e dei princìpi della fede cristiana in quei territori si sarebbe potuta realizzare solo quando l’Europa si fosse finalmente liberata dai turchi, v. Fedalto 1999, p. 998. Il suo sogno, infatti, era la creazione di un impero «[…] possibilmente veneziano nella Grecia, nell’Africa, nell’Oriente, europeo e asiatico, liberati dai turchi»; un impero, però, che non mirasse solo a restaurare la potenza politica veneziana nel mondo, ma soprattutto «a spianare la via per […] le missioni cattoliche», v. Cassese 1999, p. 1037. Queste furono le argomentazioni che il vescovo cercò di instillare nei fedeli della sua diocesi, offrendo loro un’immagine universale della Chiesa. L’universalità della Chiesa cattolica fu una delle linee guida della sua attività pastorale, la quale preannunciava l’impegno missionario che la Sacra congregazione di Propaganda Fide aveva deciso di praticare in quegli anni.: una novità assoluta per la Chiesa cattolica del Seicento, la quale, d’ora in avanti, si sarebbe impegnata ad allargare il proprio orizzonte missionario a tutto il mondo, v. Fedalto 1999, p. 988 e v. Cassese 1999, p. 1038.

[13] Recenti studi lo definiscono «vescovo riformatore», v. Cassese 1999, p. 1052.

[14] Va ricordato che per quanto riguarda il controllo dell’ortodossia, il Barbarigo preferì agire in prima persona piuttosto che ricorrere ai metodi coercitivi in voga all’epoca, ossia l’Inquisizione, la quale nella sua diocesi sembrava essere più «[…] uno strumento investigativo che repressivo», più un organo «di controllo e di salvaguardia della fede che di soppressione e costrizione». V. Cassese 1999, pp. 1047; 1053.

[15] V. Cassese 1999, p. 1050.

[16] V. ancora »Cassese 1999, p. 1050.

[17] V. Cassese 1999, pp. 1050; 1055.

[18] V. Cassese 1999, pp. 1050-1051.

[19] V. Serena 1963, i, p. 65.

[20] Nell’antico ordinamento scolastico italiano è la denominazione di un corso di insegnamento letterario, corrispondente grossomodo all’attuale livello ginnasiale.

[21] V. Serena 1963, i, pp. 2-3.

[22] V. Serena 1963, ii, p. 312.

[23] V. Serena 1963, i, p. 158. Le lingue orientali comprendevano non solo le lingue semitiche, ma anche quella greca e quella albanese, perché da un punto di vista geografico erano collocate a est dell’Occidente. A questo proposito v. Bellini 1938, nota 1, p. 15 e v. Serena 1963, i, p. 160.

[24] È la prima volta che sul frontespizio di un libro del seminario compare la scritta ad usum Seminarii Patavini, v. Serena 1963, i, p. 161.

[25] In realtà Agapito terminò di scrivere questa grammatica nel 1684, ma venne pubblicata postuma, v. Pedani Fabris 1999, p. 362.

[26] Per l’arabo e il persiano v. Serena 1963, i, p. 162.

[27] V. Fedalto 1999, pp. 997-998 e v. Pedani Fabris 1999, p. 361.

[28] V. Barzon 1999, pp. 666-667. Gli altri maestri del seminario furono in ordine alfabetico: Benetelli Luigi Maria, minore osservante di San Francesco di Paola (lingua ebraica); Brazzale Giovan Battista (lingua ebraica e greca); Cristofori (lingua ebraica); Ferrazzi Marcantonio (lingua ebraica e caldaica); Grabanus (lingua persiana), autore del volume intitolato Grammaticae Persicae Rudimenta, Tipografia del Seminario di Padova, 1690, v. Bellini 1938, p. 362. Allo stato attuale della nostra ricerca il maestro Francesco Canali è escluso dalla nostra indagine, v. Serena 1963, ii, pp. 314; 316; lettera n°100, p. 346.

[29] V. Bellini 1938, 296. Sulla vita del francescano minorita v. http://www.treccani.it/enciclopedia/agapito_daprà/ e v. Barzon 1999, p. 665.

[30] V. Pedani Fabris 1999, pp. 361-362.

[31] V. Serena 1963, i, nota 1, p. 156. Nel 1690, con questo pseudonimo pubblicò a Padova un diwan poetico in arabo e latino. Finora di questo personaggio sappiamo poco. Riportiamo ciò che scrive De Rossi 1807, p. 191: «ZAFI DIARBEKRI, o di Diarbek, è autore di un Divan, o Teatro poetico in diversi metri ed assai raro, che è stato stampato nel 1690 in Padova nella stamperia del seminario in arabo e in latino. Esso porta il titolo di Soliloquj di un diletto e di Avvertimenti morali al prossimo, e tratta specialmente delle virtù e dei vizj. Dai versi acrostici che stanno in fine, o dalle loro lettere iniziali, ricavasi che il nome di Zafi è lo stesso con quello di Timoteo Agnellini vescovo di Mardin nella Mesopotamia, il quale varie altre cose pubblicò in arabo in quella stamperia, e tra le altre un libretto di Proverbj in arabo, persiano, turco, latino ed italiano, stampato nel 1688, che offre anche nel titolo arabo il nome o cognome di Zafi, e porta in fronte un suo Poema in lode di Dio. Trovasi l’uno e l’altro in questo mio gabinetto, e quel primo trovavasi anche nella biblioteca di Crevenna».

[32] V. Serena 1963, i, pp. 155-156.

[33] V. Serena 1963, i, p. 168.

[34] V. ancora Serena 1963, i, p. 168. Qualcun altro confidò al Barbarigo di aver pensato di aprire una scuola di lingue simile alla sua, ma poi ci aveva ripensato poiché «[…] sono studii che non danno pane […]» e di conseguenza «[…] levano volontà di farci fatica», v. Serena 1963, i, pp. 168-169. Non sembrava pensarla così l’ambasciatore della Repubblica di Venezia Giovanni Battista Donà, che con tutte le sue forze fondò nella città lagunare una scuola per interpreti, v. Pedani Fabris 1999, p. 364. Pare che quest’ultima fosse entrata in competizione con quella di Padova, ma se davvero esistettero delle rivalità tra le due scuole, non ci è dato ancora a sapere. Di sicuro sappiamo che se a Padova gli studenti del seminario studiavano arabo e turco per prepararsi a convertire popoli lontani, quelli di Venezia «si preparavano a recarsi in Oriente, al seguito di ambasciatori e baili, per trattare della pace, della guerra e per riallacciare i traffici sempre più insidiati dai grandi Stati nazionali», v. Pedani Fabris 1999, p. 365.

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Segui Alessandra Zuin:
Alessandra Zuin è nata in provincia di Venezia, vive nei Colli Euganei (Pd) e ha studiato a Napoli. Durante i suoi studi universitari si è occupata sia del periodo islamico (Lingua e letteratura araba (quadriennale), Islamistica, Storia dei paesi arabi dall’avvento dell’Islam fino ai giorni nostri, Arte ed archeologia islamica, ecc.), sia di quello preislamico (Storia del Vicino Oriente preislamico (quadriennale) e Assiriologia (biennale)). Si è laureata in Assiriologia presso l’Università “L’Orientale” di Napoli con il †Prof. Padre Luigi Cagni, elaborando una tesi su una divinità sumerica, intitolata: Il dio DUMU.ZI: suo ruolo in Mesopotamia. Ha proseguito i suoi studi a Napoli, sotto la direzione del suo indimenticabile ‘maestro’, e ha ottenuto il titolo di dottore di ricerca in Studi Mesopotamici con un lavoro dal titolo: Famiglie e competenze degli scribi nel periodo antico-babilonese. Durante il dottorato ha studiato per circa due anni presso il Fachbereich Altertumswissenschaften Altorientalisches Seminar della Libera Università di Berlino (Freie Universität). Infine, ha concluso i suoi studi con il Master in Studi sul Medio Oriente presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Carlo Bò di Urbino. Ha studiato l’arabo soprattutto in Siria e in Egitto; in quest’ultimo paese ha frequentato per alcuni anni l’Isola Elefantina di Aswan dove ha imparato un po’ di dialetto locale nubiano (‘kinsi’). Ha insegnato italiano L2 presso le Scuole “Maria Ausiliatrice” di Damasco e Aleppo. Attualmente insegna lingua e cultura araba, inglese e italiano L2.

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