Giorgio Colli e la Sapienza. Uno studio sulla filosofia dell’espressione

Giorgio Colli ha vissuto e pensato in aristocratica solitudine. La sua presenza nell’accademia italiana è stata casuale e marginale e il suo nobile magistero, in una società delle lettere che negli anni Settanta era egemonizzata da marxismo e strutturalismo, poté essere esercitato solo nei confronti di sparute schiere di giovani sensibili a parole moleste per l’orecchio moderno. La sua indefessa attività editoriale, sviluppatasi fin dal 1957 per la Boringhieri, con la creazione dell’Enciclopedia di autori classici, può essere considerata azione politica in senso alto. Essa proseguì con la monumentale realizzazione dell’edizione critica delle opere di Nietzsche, uscita in traduzione italiana per Adelphi, con la collaborazione di Mazzino Montinari, uno dei primi allievi incontrati sui banchi del Liceo Machiavelli di Lucca. Attività paideutica, quella di Colli, perseguita quale terapia e diagnosi del nosos, della malattia moderna, attraverso la creazione di una cellula sana di giovani intelligenze critiche. L’importanza di Colli, della sua filosofia, la si evince dalla lettura di un recente volume. Si tratta della raccolta degli Atti del Convegno di studi  tenutosi a Genova il 13 e il 14 Aprile 2017, uscita per i tipi di AkropolisLibri con il titolo, Trame nascoste. Studi su Giorgio Colli, per la cura di Clemente Tafuri e David Beronio (per ordini: info@teatroakropolis.com, pp. 721, euro 35,00).

Oltre alle relazioni degli studiosi intervenuti al simposio, il libro propone scritti di allievi diretti e indiretti del Maestro, nonché di insigni filosofi. Il volume è, inoltre, chiuso dalla pubblicazione degli Appunti filosofici del 1947, finora inediti, di Colli, la cui lettura consente l’accesso al laboratorio teoretico del pensatore.  Di grande rilevanza ci è apparso il saggio esegetico di Carlo Sini, il quale nota come Colli abbia mirato, innanzitutto, a metter in questione la vulgata, inaugurata da Zeller, per il quale l’origine del filosofare si sarebbe mostrato nel ‘naturalismo’ pre-socratico. Al contrario, Colli: «dice non solo che le origini della filosofia greca sono misteriose, ma che tutta la filosofia non è che un’impresa letteraria» (p. 24). La filosofia, per il pensatore torinese, è décadence: la speculazione contemporanea: «non è altro che una continuazione, uno sviluppo della forma letteraria introdotta da Platone» (p. 25). Colli si pose, quindi, nella sequela di Eric Havelock, che sostenne la storia dei pre-socratici essere invenzione alessandrina.

Il pensiero da Senofane agli atomisti fu mosso da una sola intenzione: rappresentare il mondo umano attraverso il discorso. Il logos implicò l’incontro con Apollo, maschera della potestas di Dioniso. Con il discorso, la Sapienza era già alle spalle dei Greci, le parole della divinazione, congiunte in racconto, erano state il ponte verso la filosofia. Nell’oralità il soggetto non era separato, chiosa Sini, dalla parola, come invece accadde con il teatro filosofico messo in scena da Platone. L’emozionalità, ancora presente nel dialogo platonico, ben presto si sarebbe inaridita nella trattatistica. La filosofia ha svolto il ruolo di scialuppa della Sapienza, ha trasferito ad altre epoche il senso del sapere originario, misterico, incarnato da Dioniso. Merito di Colli è l’aver sottratto il dionisismo al puro orgiasmo: al culmine dello slancio erotico, la tensione bacchica si piegava su di sé, dando luogo alla conoscenza, al contatto. Conoscenza liberante e rivelatrice che, nell’entusiasmo, rivelava il visibile quale espressione di uno sfondo inafferrabile, di un abisso infondato. Colli, rileva Sini, con Nietzsche sognò una Sapienza tragica alla quale tornare, oltre la ratio moderna.

Coglie nel segno Angelo Tonelli, quindi, nel sostenere come l’aristia teoretica di Colli sia stata affidata al suo libro sistematico, La filosofia dell’espressione, nel quale si confrontò con l’enigma della vita, intesa come espressione di un’immediatezza, di una pluralità di centri di irradiazione che si organizzano in agglutinazioni dell’origine. Avendo assistito alle lezioni di Colli a Pisa, Tonelli ricorda un episodio significativo che, molto fa intuire, del mondo ideale del filosofo. Mentre questi sosteneva che il mondo era apprenza, un giovane colpì con la testa una parete dell’aula e chiese sarcasticamente: «E questa, è apparenza?». «Si, ma fa male» (p. 234), fu la risposta di Colli, consapevole che l’espressione del nascosto si concretava nella materia e nelle sue leggi. Lo studioso ipotizza, inoltre, e ciò ci pare interessante, che il pensatore ebbe un’esperienza auto iniziatica in gioventù e potrebbe aver avuto contatti con ambienti del mileu iniziatico. Rilevante, al fine di ricostruire la storia di una collaborazione e di una amicizia, il contributo di Mazzino Montinari, ma altrettanto significativa, per l’analisi dei rapporti familiari, è l’esegesi del carteggio che Colli intrattenne con la moglie Anna Maria: lo si deve alla figlia Chiara Colli Staude.

Dirimente risulta, sotto il profilo teorico, il saggio di Franco Volpi, che compie l’esegesi dell’interpretazione colliana del detto di Anassimandro. Il pensatore milesio: «Non è più un veggente che sentenzia o che canta […] bensì un pensatore che comprende, asserisce e comunica impegnandosi con colui che lo ascolta» (p. 221). In Anassimandro viene colto il debito nei confronti dell’esperienza misterica dell’orfismo, ma egli appare a Colli, innanzitutto, profanatore della Sapienza e fondatore del filosofico. Gli appunti filosofici del 1947 sono analizzati da Luca Torrente. Si tratta di trentasei fogli manoscritti con un indice degli argomenti trattati. La conclusione cui lo studioso perviene è che: «per quanto ci siano somiglianze notevoli tra il sistema giovanile […] e Filosofia dell’espressione, si riscontrano differenze profonde nel modo in cui si sono sviluppati alcuni concetti della filosofia colliana» (p. 93). Colli, in queste pagine, presenta l’interiorità in termini spinoziani. Essa consta di una tensione che produce un accrescimento dal centro verso le altre interiorità. E’ un tendere, un conatus, ed in tale lettura si evince il debito contratto nei confronti di Piero Martinetti. L’espressione altro non è che il rifrangersi della potenza dell’interiorità: «sul confine invalicabile dell’altra interiorità che si trasmuta nell’oggetto» (p. 105).

Complessivamente Colli emerge da questo libro quale pensatore di prim’ordine, punto di riferimento per quanti non si riconoscano nel senso comune contemporaneo. Se la sua domanda aperta riguarda la possibilità di recuperare la Sapienza, il suo percorso, che attende di essere ulteriormente sviluppato, non potrà che incontrare il pensiero di Tradizione.

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Giovanni Sessa è nato a Milano nel 1957 e insegna filosofia e storia nei licei. Suoi scritti sono comparsi su riviste e quotidiani, nonché in volumi collettanei ed Atti di Convegni di studio. Ha pubblicato le monografie Oltre la persuasione. Saggio su Carlo Michelstaedter (Roma 2008) e La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo (Milano 2014). E' segretario della Scuola Romana di Filosofia Politica, collaboratore della Fondazione Evola e portavoce del movimento di pensiero "Per una nuova oggettività".
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  1. Auden Prater
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    Colli era di destra

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