Evola e il mondo di lingua tedesca

La Germania e in genere il mondo di cultura tedesca ebbero per Evola un’importanza centrale. Sin da giovanissimo questi apprese il tedesco per avvicinarsi alle opere della filosofia idealistica; la sua dottrina filosofica deve molto all’idealismo, ma ancor più a Nietzsche, Weininger e Spengler. Nel 1933 compì il suo primo viaggio in Austria ; per tutti gli Anni ’30 e ’40 continuò a tenersi aggiornato leggendo saggî scientifici in lingua tedesca sui diversi argomenti dei quali si occupava: dalla romanità antica (Altheim) alla preistoria (Wirth, Günther), dall’alchimia (Böhme) alle razze (Clauß, ancora Günther), dalla teoria politica (Spann, Heinrich) all’economia (Sombart) e via dicendo. In generale, considerando gli apparati di note, i riferimenti culturali e in un bilancio che tenga conto di tutti gli apporti non mi sembra affatto di esagerare sostenendo che il peso degli studi pubblicati in tedesco sia nell’opera complessiva di Evola almeno pari a quello di quelli italiani.
Tutto questo è già assai indicativo dell’influenza della cultura tedesca sull’opera di Evola. Vanno aggiunti però altri dati: richiamando qui quanto accennato in sede biografica nel capitolo primo, ricordo i lunghi soggiorni di Evola in Austria e Germania, le numerose conferenze ivi tenute, i rapporti con esponenti della tradizione aristocratica e conservatrice mitteleuropea e della Konservative Revolution etc . Inoltre nei paesi di lingua tedesca Evola godette, almeno sino alla fine della seconda guerra mondiale, di una notorietà diversa da quella che ebbe in Italia, poiché vi fu accolto quasi come l’esponente di una particolare corrente di pensiero italiana, e ciò sin dal 1933, anno della pubblicazione di Heidnischer Imperialismus . Questo il giudizio in merito di Adriano Romualdi: «L’azione di Evola in Germania non fu politica, anche se contribuì a dissipare molti equivoci e a preparare un’intesa tra Fascismo e Nazionalsocialismo. Essa investì il significato di quelle tradizioni cui in Italia e in Germania si richiamavano i regimi, il simbolo romano e il mito nordico, il significato di classicismo e romanticismo, o di contrapposizioni artificiose, come quella tra romanità e germanesimo» .
Dal 1934 Evola tiene conferenze in Germania: in un’università di Berlino, al secondo nordisches Thing a Brema, e all’Herrenklub di Heinrich von Gleichen, rappresentante dell’aristocrazia tedesca (era barone) col quale stabilì una «cordiale e feconda amicizia» . Così Evola ricordò nel 1970 quest’importante esperienza: «ogni settimana si invitava una personalità tedesca o internazionale in quel circolo di Junkers. Devo dire peraltro che, se ci fossimo aspettati di vedere dei giganti biondi con gli occhi azzurri la delusione sarebbe stata grande, poiché per la maggior parte erano piccoli e panciuti. Dopo la cena e il rituale dei toasts, l’invitato doveva tenere una conferenza. Mentre questi signori fumavano il loro sigaro e sorseggiavano il loro bicchiere di birra, io parlavo. Fu allora che Himmler sentì parlare di me» .
È effettivamente assai verosimile che l’attenzione da parte degli ambienti ufficiali per Evola sia nata in seguito alle prime conferenze in Germania. I suoi rapporti col nazionalsocialismo furono di collaborazione esterna, e specialmente con diversi settori delle SS tra cui l’Ahnenerbe ; Evola espresse nei confronti dell’“ordine” guidato da Himmler parole assai positive , anche nel dopoguerra , che da una parte gli valsero i prevedibili (e fors’anche scontati) strali dei suoi detrattori, dall’altra determinarono una rilettura – in seno alla storiografia e allo stesso “sentimento del mondo” della Destra Radicale del dopoguerra – del nazionalsocialismo come di un movimento popolare guidato da un’élite ascetico-guerriera . Dagli ormai numerosi dati d’archivio pubblicati, risulta un quadro di Evola tenuto in considerazione ma sempre osservato con cura dagli ambienti ufficiali tedeschi .
Dopo il conflitto mondiale la notorietà di Evola nei paesi di lingua tedesca andò scemando; la sua immobilità fisica pare che gli impedì, tra l’altro, ulteriori viaggi all’estero. Solo negli ultimi decenni Evola è stato fatto oggetto di una sorta di riscoperta, per merito soprattutto di Hans Thomas Hansen, che ne ha tradotto (e ritradotto) la buona parte delle opere, con il consenso dello stesso Evola quando questi era ancora in vita, e che viene giustamente considerato uno dei massimi conoscitori del pensiero e della vita di Evola. Oltre alla rivista da questi fondata e animata, «Gnostika» (che come suggerisce il titolo ha interessi prevalentemente esoterici), negli ultimissimi anni stanno nascendo diverse attività che si ispirano in vario modo all’opera di Evola, tra le quali meritano una menzione le riviste tedesche «Elemente» e «Renovatio Imperii» e soprattutto l’austriaca «Kshatriya», diretta da Martin Schwarz (autore della più ampia bibliografia evoliana sino a oggi stilata ), di più marcata impronta “evoliana ortodossa”. A margine di ciò, si stanno iniziando a tenere convegni sul pensatore e a tradurre sue ulteriori opere. Inoltre il centenario della nascita di Evola, nel 1998, è stato occasione per varie testate tedesche per ricordarlo con ampi articoli, tra cui quelli apparsi sulla storica «Nation & Europa» (che esce ormai da mezzo secolo, e cui nei primi Anni ’50 lo stesso Evola collaborò), «Criticn» e la prestigiosa «Zeitschrift für Ganzheitforschung», altra rivista cui Evola collaborò (nei primi Anni ’60) e che fu fondata e lungamente diretta da Walter Heinrich (sino alla morte di questi, avvenuta nel 1984), che era in grande amicizia con Evola. Come curiosità, segnaliamo che per l’occasione numerosi complessi e gruppi musicali tedeschi e austriaci hanno dedicato nel centenario allo scrittore tradizionalista un disco, intitolato Cavalcare la tigre.
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Sebbene alcuni elementi politici della storia d’Italia e di quella tedesca appaiano affini, (il processo di unificazione nazionale avvenuto nella seconda metà dell’Ottocento, la comune partecipazione alla Triplice Alleanza, l’Asse Roma-Berlino), Evola individua nella “tradizione germanica” dei tratti che differenziano nettamente – in senso positivo – i paesi di lingua tedesca dall’Italia. Così anzitutto «può dirsi che in Germania il nazionalismo democratico di massa di tipo moderno non fece che una fuggevole apparizione. […]. Il nazionalismo in tal senso, con un fondo democratico, non andò oltre il fugace fenomeno del parlamento di Francoforte del 1848, in connessione con i moti rivoluzionari che in quel periodo imperversavano in tutta l’Europa (è significativo che il re di Prussia Federico Guglielmo IV rifiutò l’offerta, fattagli da quel parlamento, di mettersi a capo di tutta la Germania perché accettandola egli avrebbe anche accettato il principio democratico – il potere conferito da una rappresentanza popolare – rinunciando al suo diritto legittimistico, sia pure ristretto alla sola Prussia). E Bismarck, creando il secondo Reich, non gli diede affatto una base “nazionale”, vedendo nella corrispondente ideologia il principio di pericolosi disordini anche dell’ordine europeo, mentre i conservatori della Kreuzzeitung accusarono nel nazionalismo un fenomeno “naturalistico” e regressivo, estraneo ad una più alta tradizione e concezione dello Stato» . Estranei a questa forma “naturalistica” di nazionalismo, i paesi di lingua tedesca cullarono un diverso spirito, quello del Volk, che animò lo spirito pangermanico. La corrente völkish, che un notevole peso ebbe anche nella genesi del nazionalsocialismo, affondava le sue radici nei Discorsi alla nazione tedesca di Fichte, in Arndt, Jahn e Lange e soprattutto nel Deutschbund e nella deutsche Bewegung . In questa diversità di retroterra si ha la prima divaricazione tra Italia e Germania.
Ma le differenze di ambiente sono assai più nette. Nel suo saggio sul Terzo Reich, delineando le correnti culturali complesse e spesso irriducibili che cooperarono nella sua genesi, Evola scrive: «Dopo la prima guerra mondiale in Germania la situazione era sensibilmente diversa da quella dell’Italia. […] Mussolini dovette creare quasi dal nulla, nel senso che nel punto di combattere la sovversione rossa e di rimettere in piedi lo Stato non poteva rifarsi ad una tradizione nel senso più alto del termine. Tutto sommato, ad essere minacciato era solo il prolungamento dell’Italietta democratica ottocentesca, con un retaggio risorgimentale risentente delle ideologie della Rivoluzione Francese, con una monarchia che regnava ma non governava e senza salde articolazioni sociali. In Germania le cose stavano altrimenti. Anche dopo il crollo militare e la rivoluzione del 1918 e malgrado il marasma sociale sussistevano resti aventi radici profonde in quel mondo gerarchico, talvolta ancora feudale, incentrato nei valori dello Stato e della sua autorità, facenti parte della precedente tradizione, in particolare del prussianesimo. […]. In effetti, nell’Europa centrale le idee della Rivoluzione Francese non presero mai tanto piede quanto nei restanti paesi europei» .
In un’occasione Evola cita la teoria giuridica di Carl Schmitt dell’international law . Il filosofo della politica tedesco aveva espresso l’idea della caduta del diritto internazionale europeo consuetudinario avvenuta, all’incirca, dopo il 1890, e la conseguente affermazione di un diritto internazionale più o meno ufficializzato. «Noi però qui non siamo interamente del parere dello Schmitt», scrive Evola, spiegando che «di contro all’opinione di molti, nei riguardi dell’azione svolta da Bismarck, sia all’interno della Germania che in Europa, non tutte le cose sono “in ordine”. […]. Più che Bismarck, a noi sembra che, se mai, Metternich sia stato l’ultimo “Europeo”, vale a dire l’ultimo uomo politico che seppe sentire la necessità di una solidarietà delle nazioni europee non astratta, o dettata solo da ragioni di politica “realistica” e da interessi materiali, ma rifacentesi anche a delle idee e alla volontà di mantenere il migliore retaggio tradizionale dell’Europa» . Contrariamente a quanto sostenuto da Baillet , Evola fu dunque piuttosto critico nei confronti di Bismarck, che non ebbe, secondo la visione tradizionale evoliana, il coraggio di opporsi in modo sistematico e rigoroso al mondo moderno e della sovversione (nella sua forma economico-capitalistica), ma dovette in alcuni casi venire a patti con esso.
La stessa Germania federiciana e poi guglielmina, seppur conservante le strutture e l’ordine di uno stato tradizionale, nel quale la stessa burocrazia e l’apparato statale apparivano quasi come corpi di un ordine, conteneva i germi della dissoluzione, dovuti alle idee illuministe che avevano iniziato a filtrare – in modo più larvato che altrove – presso le varie corti. Se il giudizio evoliano nei confronti del codice federiciano conservante l’ordinamento diviso negli Stände è positivo, ciò è poiché, per l’epoca in cui sorse, quel codice conservava meglio d’ogni altro le strutture feudali e gerarchiche precedenti. Esse, tramite la tradizione prussiana, affondavano nell’Ordine dei cavalieri teutonici e nella loro riconquista delle terre baltiche: un ordine ascetico-cavalleresco formato da una disciplina e da una severa organizzazione gerarchica. Così, sin da giovanissimo Evola intuì l’assurdità della “guerra civile europea” che, come ufficiale, egli andava a combattere sulla frontiera carsica: l’Italia si schierava cioè contro ciò che restava della migliore tradizione europea. «Nel 1914 gli Imperi Centrali rappresentavano ancora un resto dell’Europa feudale e aristocratica nel mondo occidentale, malgrado innegabili aspetti di egemonismo militaristico ed alcune alleanze sospette col capitalismo presenti soprattutto nella Germania guglielmina. La coalizione contro di essi fu dichiaratamente una coalizione del Terzo Stato contro le forze residue del Secondo Stato […]. Come in poche altre della storia, la guerra del 1914-1918 presenta tutti i tratti di un conflitto non fra Stati e nazioni, ma fra le ideologie di diverse caste. Di essa, i risultati diretti e voluti furono la distruzione della Germania monarchica e dell’Austria cattolica, quelli indiretti il crollo dell’impero degli Czar, la rivoluzione comunista e la creazione, in Europa, di una situazione politico-sociale talmente caotica e contraddittoria, da contenere tutte le premesse per una nuova conflagrazione. E questa fu la seconda guerra mondiale» .
Come accennato, anche nei confronti della tradizione dell’Austria Evola espresse un giudizio marcatamente positivo. La stessa linea dinastica degli Asburgo ebbe un ruolo di rilievo in questa valutazione (Evola si era espresso in termini molto positivi nei confronti di Massimiliano I) ; nel periodo in cui visse a Vienna Evola respirò ciò che restava dell’atmosfera antica dell’Austria felix, e venne in contatto con quella temperie culturale e spirituale e soprattutto con uomini in cui, per usare le parole di Ernst Jünger, «la catastrofe aveva certo lasciato le sue ombre […], ma si era limitata a distruggerne la serenità innata senza distruggerla. A tratti scorgevamo […] una patina di quella sofferenza che potremmo definire austriaca e che è comune a tanti vecchi sudditi dell’ultima vera monarchia. Con essa venne distrutta una forma del piacere di vivere che negli altri paesi europei già da generazioni era diventata inimmaginabile, e le tracce di questa distruzione si avvertono ancora nei singoli individui. […]. Da noi nel Reich, se si prescinde dal generale esaurimento delle forze, si incominciava a notare tutt’al più la disparità degli strati sociali; qui invece si erano aperte, come voragini, le differenze tra le varie etnie» . In questo humus storico degli anni compresi tra le due guerre, in cui ancora forti erano i legami sentimentali ed etici di molti con la precedente tradizione imperiale – la monarchia asburgica d’Austria aveva almeno formalmente conservato, sino al Congresso di Vienna, la titolarità del Sacro Romano Impero – Evola ebbe anche modo di percepire direttamente l’attaccamento diffuso a livello popolare alla monarchia , e lo spiegò in questi termini: «Senza riesumare forme anacronistiche, invece di una propaganda che “umanizzi” il sovrano per accattivare la massa, quasi sulla stessa linea della propaganda elettorale presidenziale americana, si dovrebbe vedere fino a che punto possano avere un’azione profonda i tratti di una figura caratterizzata da una certa innata superiorità e dignità, in un quadro adeguato. Una specie di ascesi e di liturgia della potenza qui potrebbero avere una loro parte. Proprio questi tratti, mentre rafforzeranno il prestigio di chi incarna un simbolo, dovrebbero poter esercitare sull’uomo non volgare una forza d’attrazione, perfino un orgoglio nel suddito. Del resto, anche in tempi abbastanza recenti si è avuto l’esempio dell’imperatore Francesco Giuseppe che, pur frapponendo fra sé e i sudditi l’antico severo cerimoniale, pur non imitando per nulla i re “democratici” dei piccoli Stati nordici, godette di una particolare, non volgare popolarità» . In questo stesso senso nel 1935, scrivendo a proposito della possibilità di una restaurazione regale in Austria, Evola riferisce ciò che gli esponenti del pensiero conservatore e monarchico in quel paese sostenevano: «La premessa, intanto, è quella a cui ogni mente non ingombra di pregiudizî può anche aderire, cioè che il regime monarchico, in generale, è quello che più può garantire un ordine, un equilibrio e una pacificazione interna, senza dover ricorrere al rimedio estremo della dittatura e dello Stato centralizzato, sempreché nei singoli sussista la sensibilità spirituale richiesta da ogni lealismo. Questa condizione, secondo dette personalità, sarebbe presente nella gran parte della popolazione austriaca, se non altro, per la forza di una tradizione e di uno stile di vita pluricentenario» .
Il problema dell’Anschluss, dell’annessione dell’Austria alla Germania naizonalsocialista, fu negli anni che lo precedettero al centro di un ampio dibattito internazionale. Giuristi e politici lo affrontarono da diversi punti di vista; Evola non fu in concordanza di vedute, su questo tema, con l’amico Othmar Spann, che, scriveva Evola, per la coraggiosa coerenza delle sue idee non era ben visto né in Austria né in Germania. Scrivendo sul sociologo viennese, Evola affermava: «gli Austriaci non perdonano le sue simpatie per la Germania, mentre i Tedeschi non gli perdonano le critiche da lui mosse al materialismo razzista» . Ampliando alla scuola organicistica viennese e al mondo culturale austriaco il suo sguardo, Evola ne esponeva in questi termini le vedute: «Non ci si può rassegnare a far scendere una nazione, che ha la tradizione che l’Austria ha avuto, al livello di un piccolo Stato balcanico. Qui non si fa quistione della mera autonomia politica, si fa essenzialmente quistione di cultura e di tradizione. Storicamente, la civiltà austriaca è indisgiungibile da quella germanica. Non è possibile che oggi l’Austria a tale riguardo si emancipi e cominci a far da sé. Proprio perché essa è stata menomata, ridotta ad un’ombra di quel che essa fu precedentemente, le si impone di connettersi nel modo più stretto alla Germania, appoggiarsi ad essa, trarre da essa gli elementi che possono garantire l’integrità della sua eredità tedesca». Proseguiva Evola sostenendo che dal lato positivo l’Austria avrebbe avuto molto a sua volta da trasmettere alla Germania sotto il profilo della tradizione culturale. Ma di là dal piano squisitamente intellettuale, «Nel dominio delle tradizioni politiche l’antitesi è ancor più visibile. Vi sarebbe infatti da chiedere a questi intellettuali germanofili che cosa essi pensino quando parlano di tradizione austro-tedesca. La tradizione austriaca era una tradizione imperiale. Erede del Sacro Romano Impero, il Reich austriaco, formalmente almeno, non poteva dirsi tedesco. Di diritto, era supernazionale, e di fatto esso sovrastava un gruppo di popoli assai diversi come razza, costumi e tradizioni, gruppo nel quale l’elemento tedesco non figurava che come parte. Nemmeno giova dire che purtuttavia la direzione dell’impero austriaco era intonata in senso tedesco e faceva capo ad una dinastia tedesca. Dal punto di vista dei principî ciò conta così poco quanto il fatto che i rappresentanti del principio supernazionale della Chiesa Romana siano stati in larga misura italiani. Se si deve parlare di tradizione austriaca», concludeva Evola, «è ad una tradizione imperiale che bisogna riferirsi. Ora, che cosa può avere a che fare una tale tradizione con la Germania, se Germania oggi vuol dire nazionalsocialismo?» . Francesco Germinario ha scritto a tale proposito che per Evola «un’Austria legata alle radici cattoliche, e in cui, soprattutto, rimaneva ancora vivo il ricordo degli Asburgo, era molto più vicina ai valori della Tradizione rispetto a una Germania travolta dalla nuova ondata di modernizzazione promossa dal nazismo» .
Si esprimevano in questi termini già nel 1935 le posizioni critiche di Evola nei confronti del nazismo, di cui il filosofo tradizionalista accusava gli eccessi populistici, sociali e di sinistra. Il tono in questo caso è particolarmente critico perché il raffronto è con l’Austria, nella quale Evola vedeva appunto l’erede spirituale della più alta tradizione europea. D’altronde, si tratta di una linea interpretativa e storiografica apprezzabile, e che Evola mantenne anche nel dopoguerra, tendendo a separare i diversi elementi e le varie correnti che operarono nel nazionalsocialismo per giudicarli separatamente . Concludeva dunque la sua lettura politica della situazione internazionale affermando: «Se non ci si vuole rassegnare alla perdita dell’antica tradizione supernazionale centro-europea, l’Austria più che verso la Germania dovrebbe volgere i suoi sguardi verso gli Stati successori, nel senso di vedere fino a che punto è possibile ricostruire una comune coscienza centro-europea come base non solo della soluzione di importantissimi problemi economici e commerciali ma eventualmente […] anche della formulazione di un nuovo principio politico unitario di tipo tradizionale» .
Nei confronti della seconda guerra mondiale, il cui esito indubbiamente Evola vedeva come l’ultima fase del crollo epocale della civiltà europea, lo scrittore tradizionalista denunciava le colpe morali delle potenze occidentali: «a Himmler si deve un tentativo di salvataggio in extremis (considerato da Hitler come un tradimento). Pel tramite del Conte Bernadotte egli tramise una proposta di pace separata agli Alleati occidentali per poter continuare la guerra soltanto contro l’Unione Sovietica e il comunismo. Si sa che tale proposta, la quale, se accettata, forse avrebbe potuto assicurare all’Europa un diverso destino, evitando la successiva “guerra fredda” e la comunisticizzazione dell’Europa di là dalla “cortina di ferro”, fu nettamente respinta in base ad un cieco radicalismo ideologico, come era stata respinta, per un non diverso radicalismo, l’offerta di pace fatta da Hitler di sua iniziativa all’Inghilterra in termini ragionevoli in un famoso discorso dell’estate del 1940 quando i Tedeschi erano la parte vincente» .
Anche dopo la seconda guerra mondiale Evola mantenne un occhio di riguardo nei confronti dei paesi di lingua tedesca. La sua visione fu di ammirazione nei confronti della nuova resurrezione economica operata dai Tedeschi dopo la distruzione del secondo dopoguerra («questa nazione ha saputo completamente rialzarsi di là da distruzioni senza nome. Perfino in regime di occupazione essa ha sopravvanzato le stesse nazioni vincitrici sul piano industriale ed economico riprendendo il suo posto di grande potenza produttrice») , e per il coraggio col quale la Repubblica federale aveva bandito il pericolo comunista dalla sua politica («I Tedeschi fanno sempre le cose con coerenza. Così anche nel giuoco di osservanza democratica. Essi hanno messo su una democrazia-modello come un sistema “neutro” – diremmo quasi amministrativo, più che politico – equilibrato ed energico a un tempo. A differenza dell’Italia, la Germania proprio dal punto di vista di una democrazia coerente ha messo al bando il comunismo. La Corte Costituzionale tedesca ha statuito ciò che corrisponde all’evidenza stessa delle cose, ossia che un partito che, come quello comunista, segue le regole democratiche soltanto in funzione puramente tattica e di copertura, per scopo finale dichiarato avendo invece la soppressione di ogni contrastante corrente politica e la dittatura assoluta del proletariato, non può essere tollerato da uno Stato democratico che non voglia scavare la fossa a sé stesso») . Ma, ciò nonostante, la guerra aveva ormai prodotto un vacuum, un vuoto spirituale non più colmato: «Di contro a tutto ciò, stupisce, nella Repubblica Federale, la mancanza di qualsiasi idea, di qualsiasi “mito”, di qualsiasi superiore visione del mondo, di qualsiasi continuità con la precedente Germania» . Anche nel campo della cultura, Evola ravvisa un generale franamento, una sorta di generale “venire meno” alle posizioni coraggiose e d’avanguardia tenute dall’intellettualità tedesca negli anni – ad avviso di Evola, assai floridi e proficui sotto il profilo culturale – del Reich nazionalsocialista. Nel suo giudizio negativo Evola prende come esempio di questo crollo Gottfried Benn ed Ernst Jünger (cadendo con ciò in errori di veduta piuttosto grossolani ).

 

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Da Vie della Tradizione 125 (2002), pp. 37-50.
Il presente articolo è stato ripubblicato privo delle note a pié pagina.

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Alberto Lombardo è stato tra i fondatori del Centro Studi La Runa e ha curato negli anni passati la pubblicazione di Algiza e dei libri pubblicati dall'associazione. Attualmente aggiorna il blog Huginn e Muninn, sul quale è pubblicata una sua più ampia scheda di presentazione.
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