Julius Evola sul fronte dell’Est

La bibliografia italiana su Julius Evola si è arricchita di un libro che non solo è interessante, ma è veramente prezioso da più punti di vista. Si tratta del recente lavoro di Claudio Mutti, Julius Evola sul fronte dell’Est (Quaderni del Veltro, XXXIII, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1998). La ricerca riguarda le relazioni di Evola con l’Europa centrale e orientale negli anni Trenta e Quaranta (relazioni su cui possiamo sapere poco dall’opera autobiografica di Evola e dalla sua corrispondenza); inoltre essa ci mostra quale influenza spirituale Evola abbia esercitato nella medesima regione dopo la sua morte, soprattutto dopo il 1990.

 

Questo lavoro può essere fondamentalmente considerato come una delle più recenti manifestazioni della letteratura “anticonformista”: una manifestazione di quella mentalità alla quale non corrispondono affatto il sistema e l’orientamento del “mondo moderno” – per lo meno sotto il profilo ideologico, storico e politico. E’ quindi auspicabile che questo libro attragga l’attenzione degli ambienti “tradizionalisti”, poiché nella vita di una personalità spirituale quale fu Evola, non può esservi nessun aspetto che per tali ambienti debba rimanere privo di interesse.

 

Abbiamo già parlato, in una precedente occasione, di un’altra opera di questo autore1 e della sua attività in generale2; lo facciamo volentieri anche adesso, perché Claudio Mutti, a quanto pare, ha svolto sapientemente fino ad oggi quel compito di cui Evola sottolineò l’importanza – ad esempio in Storiografia di Destra3.

 

Se volessimo definire con esattezza il quid di tale compito, dovremmo dire che oggi sono numerose (e sempre più numerose) le “condizioni” che dovrebbero essere preventivamente verificate, per potersi incamminare su una via spirituale nel senso originario del termine e per poter indirizzare altri alla realizzazione spirituale. Una parte organica per la creazione di tali “premesse” è data dalla mentalità anticonformista, dal non conformismo ideologico, storico, politico, dall’antimodernismo inteso nel senso più lato possibile, e infine dalla creazione di quella cultura propria, da dove sarà possibile, per noi e per gli “esponenti delle generazioni future”, dirigerci verso la réalisation spirituelle intesa nel senso più rigoroso del termine (e questo in opposizione alla cultura contemporanea in generale, che a ciò non è minimamente idonea). Come abbiamo già avuto modo di osservare, “il libro di Claudio Mutti non commette l’errore di generalizzare per quanto concerne i dottrinari coevi della Guardia di Ferro; viene suggerita una certa gerarchia; parimenti viene mostrato come il carattere del guardismo e del legionarismo possa condurci verso una spiritualità superiore ad ogni situazione politica, la qual cosa si riflette nell’opera di Lovinescu e di Guénon”4.

 

Benché nel libro in esame siano presenti alcuni limitati accenni alla nostra persona e in esso si trovino anche dei pensieri espressi da noi stessi, ciò non può impedirci di parlarne in maniera imparziale e obiettiva e di formulare alcune considerazioni importanti in rapporto alla sua pubblicazione.

 

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Sotto il profilo dell’informazione, il libro è caratterizzato da una precisione fondamentalmente impeccabile. Ai dati concernenti la Cecoslovacchia e la Romania non possiamo aggiungere nulla; anche ai dati relativi all’Ungheria si potrebbe apportare soltanto qualche minima correzione o integrazione. Per esempio: quella che un tempo era la principale dimora budapestina della contessa che invitò Evola in Ungheria (Edina Pallavicini, moglie del conte Rafael Zichy) (cfr. p. 40) oggi si trova al n. 21-23 di Táncsics Mihály utca, nel I distretto della Capitale5; non fu András László – al quale va riconosciuto il ruolo più rilevante nella pubblicazione, diffusione e influenza dell’opera di Evola in Ungheria – a “curare” il primo libro di Evola apparso in ungherese (p. 54), anche se egli scrisse un’eccellente postfazione (d’altronde ragioni per lo più d’ordine pratico fecero sì che in ungherese di Evola apparisse inizialmente qualcos’altro); per quanto riguarda personalmente l’autore di queste righe, io non sono stato “fondatore” (p. 55), ma solo collaboratore della prima rivista tradizionale ungherese più seria delle altre (“Arkhé”), i cui tre numeri finora usciti seguono un tradizionalismo canonico e da vetrina, che io non ritengo né corretto, né “ortodosso” nel senso più rigoroso della parola6; infine, per amore di una totale esattezza informativa, bisogna precisare che il caporedattore della rivista “Pannon Front” (d’altronde non evoliana) (pp. 56-59) si chiama Péter Pál Józsa. In questo modo i dati relativi all’Ungheria fino al marzo 1998 sono completi ed esatti. Rimane da dire che è apparsa la rivista “Sacrum Imperium”, diretta da Dávid Mészáros, la quale dal dicembre 1997 può esser letta in ungherese sulla Rete informatica ed è una rivista politica incomparabilmente di più alto livello, più unitaria e tradizionale di quanto non sia “Pannon Front”.

 

Detto ciò, ci si può domandare quale importanza possa avere, per i lettori dell’Europa occidentale, un libro in cui compaiono tanti nomi e tanti elementi che spesso risultano loro del tutto sconosciuti.

 

Ormai è un luogo comune dire che i libri degli ultimi tempi sono sempre più informativi, che si incentrano sempre più su un vacuo e primario desiderio di dare delle informazioni, senza che si consideri, senza che si sappia e senza che ci si faccia turbare da quelle risoluzioni che la coltivazione – per lo più inconscia – dei dati comporta riguardo allo spirito di per sé fondamentalmente attivo e alla spiritualità. Da parte nostra sarebbe in realtà un grande errore contribuire a questo moderno “culto” delle informazioni.

 

C’è però un’altra questione, ossia se le informazioni, a considerarle, comportino un significato addizionale e un valore simbolico, e se il significato veicolato dai dati sia per noi realmente importante.

 

Nel suo libro, Mutti prende l’avvio da quelle realtà con cui Evola ebbe un rapporto più che altro pratico, tattico e strategico (capitolo A Praga). Quindi prosegue con quelle con cui il rapporto fu affettivo e intellettuale in senso elevato (capitolo In Romania); conclude parlando di quelle realtà con cui Evola ebbe un rapporto – con molta verosimiglianza – più nettamente intellettuale e più strettamente spirituale (In Ungheria e Appendice). Questa è ovviamente una formula un po’ semplificante; però è vero che il lettore spassionato e aperto, leggendo intelligentemente tra le informazioni, può trovare nel libro sia un “messaggio” esistenziale, sia un “messaggio” intellettuale, sia un “messaggio” spirituale nel senso più rigoroso del termine. Qui può essere interessante notare che l’influenza spirituale più seria dell’opera di Evola ebbe successivamente luogo soprattutto in quei paesi (Ungheria, Romania), coi quali egli entrò in relazione in un modo più propriamente spirituale che pratico (per quanto abbia un qualche valore una tale localizzazione o una tale prospettiva esistenziale).

 

Altrove abbiamo già detto che le possibilità di natura materiale e oggettiva, in rapporto alle quali l’Europa occidentale si trova senza dubbio avvantaggiata, sono semplicemente “possibilità di natura materiale e oggettiva” – vale a dire che in generale la loro esistenza non è di per sé una garanzia di spiritualità, né di creatività spirituale7.

 

Si può osservare che i nuovi autori tradizionali più degni di nota (András László, Gejdar Dzemal, Aleksandr Dugin) provengono da un ambiente non troppo “sviluppato” sotto il profilo materiale – ma nondimeno europeo – e che in Ungheria le opere di Evola sono state pubblicate, quasi senza eccezione, da gruppi di persone che non disponevano pressoché di nessuna (!) risorsa economica. In ogni caso, qui troviamo uno dei messaggi d’ordine pratico del libro di Mutti: in ultima analisi, nessuno può tirare in ballo le “circostanze sfavorevoli”. E nessuno, in nessun luogo, può più credere che le straripanti biblioteche dell’Europa occidentale o del Nordamerica, o magari le possibilità di viaggiare, svolgano un qualunque ruolo decisivo nella realizzazione della spiritualità. (A dare importanza a ciò, in un modo o nell’altro, sono davvero in molti).

 

Un altro messaggio di Julius Evola sul fronte dell’Est era già noto da altre opere: anche questo libro rafforza ulteriormente la certezza del fatto che l’orientamento politico di Evola non aveva un carattere puramente “individuale” e che non era indipendente dalle sue opere di analisi tradizionale.

 

La “politica” di Evola non è semplicemente un servizio spirituale reso alla Tradizione, non è solo un adattamento delle idee fondamentali della Tradizione al piano politico – dunque “verso il basso” -, ma è contemporaneamente anche un mezzo per un ritorno spirituale ad una condizione fondamentalmente metapolitica, primordiale e universale.

 

Come intendiamo ciò? La “destra”, intesa secondo l’accezione più profonda del concetto, si presenta anche come la “capacità” di realizzare uno stato definitivo e superiore (quello dal quale la Tradizione trae origine e al quale essa conduce).

 

Tra le cose interessanti e le informazioni di Julius Evola sul fronte dell’Est, il lettore può così trovare numerosi pensieri e concetti di profonda e straordinaria importanza. Grazie alla meritoria precisione di Mutti, nelle lettere di Evola egli può pure trovare un’attività e una forma spirituale aristocratica, uno stile insostituibile anche sotto il profilo spirituale.

 

A buon diritto può essere considerata di carattere esoterico, nel senso originario della parola, la veduta secondo la quale, nello stabilire le sue relazioni con gli esponenti dell’aristocrazia dell’epoca, Evola si lasciò guidare da quelle analogie che sussistevano tra l'”élite spirituale orientale” (rappresentata al grado supremo dal principe Siddharta) e l'”aristocrazia occidentale” (pp. 84, 90). “A caratterizzare l’aristocratico nel suo ‘primo significato’ è quell’essere che tende alla perfezione e all’assoluto, è il ‘distacco dalla molteplicità delle forme’ (la ‘virilità spirituale’ di Evola). Ciò conduce dall”imperialismo ontologico’ alla ‘iniziazione imperiale’: è sotto questo riguardo che un aristocratico è fedele non solo all”impero’, ma anche al ‘signore dell’impero’, alla condizione della perfezione e dell’unità, al ‘regnante’, al ‘libero’. A Quello che non solo contiene in sé tutti gli imperi (livelli di impero), ma li sopravanza. (…) L’ereditarietà dei caratteri propri, interni e determinati delle famiglie nobili da una parte rappresenta l’eternità dello spirito [nel mondo terreno e umano], dall’altra corrisponde alla trasmissione ereditaria dei mezzi principali che riconducono allo spirito” (pp. 85-86).

 

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“La sede della Tradizione Primordiale è, da tempi antichissimi, ad Oriente, vale a dire là si trovano le forme dottrinali che traggono immediata origine da essa” (René Guénon, La Crise du Monde moderne, cap. II).

 

Infine, vorremmo integrare il “messaggio del fronte dell’Est” con alcune considerazioni che non possono essere trascurate e che rivestono, secondo noi, un’importanza di prim’ordine.

 

Se esaminiamo le opere degli autori di impostazione espressamente tradizionale degli ultimi anni e decenni considerando quale sia la lacuna unanime e fondamentale di queste opere (e di questi autori), non solo possiamo constatare quasi dappertutto la mancanza della pratica e della realizzazione di quella prospettiva che possiamo definire, nel modo più chiaro, come vedantismo advaita. Dopo la morte di Guénon (ma in un certo senso qui sarebbe giusto ricordare anche la morte di Evola) la “metafisica indù” è diventata un campo generalmente trascurato; qui però non ci riferiamo tanto a una mancanza di attenzione per il Vêdânta quale argomento vastissimo, quanto piuttosto – in primo luogo – alla scomparsa (e alla mancanza di pratica) di quella visione alla quale la designazione vedantismo advaita si riferisce in senso generale, simbolico e fondamentale. In un senso siffatto, anche indipendentemente dalla tradizione indù, tale visione è stata presente sullo sfondo di quasi ogni tradizione e si trova nel più stretto rapporto possibile con quella che possiamo considerare come Tradizione “integrale” o primordiale8.

 

“I procedimenti essenziali dei riti iniziatici, attraverso i quali si effettua la morte dell’uomo vecchio e la rinascita dell’uomo nuovo (…) sono simili in tutto il mondo” – scriveva nel 1941 Ananda K. Coomaraswamy. “L’iscrizione ‘Conosci te stesso’ (gnôthi seautón) impone la conoscenza della risposta adeguata alla domanda ‘Chi sei?’ (…) Se a tale domanda qualcuno dice il proprio nome o il nome della sua famiglia, allora i custodi del tempio lo trascinano via”. “Le parole ‘Conosci te stesso’, a quanto pare, sono così ‘enigmatiche’ proprio perché, tra le due anime o i due io dell’uomo, tra quello fisico e perituro e quello incorporeo e immortale, esse si riferiscono ad uno solo dei due”9.

 

A questo stesso proposito, Shankara ha dato questi insegnamenti: “Da detti come ‘Tu sei QUELLO’ (Tat tvam asi) e simili ha origine ciò che allontana completamente la non conoscenza”. “Tu sei QUELLO, non altro. Il significato di ‘QUELLO’ è il Signore Supremo (pareshvarah; Brahman). ‘Tu’ significa gli esseri brulicanti davanti a te, animali, mortali e gli altri esseri inferiori. Infine, ‘sei’ afferma l’identità degli esseri significati da ‘QUELLO’ e da ‘tu’. E’ questo che bisogna riconoscere”. “Colui il quale è stato iniziato alla conoscenza del Brahman e il suo intelletto si volge verso l’interno, quegli ricerca il Brahman attraverso la grande parola ‘Tu sei QUELLO’ spiegata dal maestro! Lo scopo del ‘Tu sei QUELLO’ e di frasi simili è stato spiegato ripetutamente”. Ascoltando in continuazione questa Tesi di Tutte le Vedute (Sarvadarshanasiddhânta), quest’opera ben ricapitolata la cui verità finale è il vêdânta, il contemplatore dell’essenza sarà veramente signore in Terra”. Esponiamo succintamente la dottrina della scienza del vêdânta. Anche le dottrine dei seguaci delle altre scuole per lo più girano intorno al suo significato”. L’âtman (Brahman; Tat) si differenzia dalle forze percettive e dal corpo, è presente dappertutto ed è eterno e si mostra in forme sempre diverse, in maniera corrispondente alle attività rivolte ai differenti scopi della vita. Ma in questo modo la ricerca del Brahman è vana, perché la grande parola (mahâvâkya) ‘Tu sei QUELLO’ si volge ad altro!”10

 

Non è affatto ingiustificato ripetere questi insegnamenti in relazione alle vedute dei più recenti autori tradizionalisti, all’opera di Evola e al messaggio dell’Europa orientale. Se cerchiamo ancora una volta di capire che cosa Guénon abbia inteso per “spiritualità invertita”, se ci colpisce l’attenzione l’eteroteismo della maggior parte delle dottrine e delle ricerche dei tempi passati, e se cerchiamo di scoprire la causa più profonda dell’individualismo dei nostri contemporanei e del loro disinteresse nei confronti degli insegnamenti spirituali, possiamo parimenti constatare la mancanza di quella dottrina metafisica che è rappresentata dal vedantismo advaita. E’ la mancanza di ciò che dà un senso profondo ed essenziale all’esistenza di ogni individuo (jiva) e suggerisce a ciascuno di conoscere gli insegnamenti spirituali, per amore di se stesso, non per via di una “hybris intellettuale”. In ogni caso sarebbe molto giusto che gli autori tradizionali si rendessero nuovamente conto del fatto che la Tradizione, in ultima istanza, non può essere un estetismo qualunque, un ingegnoso simbolismo o mitologismo (anche se in essa è insito tutto ciò). Insegnamenti autorevoli ed elevati e studi eminenti possono nascere soltanto là dove l’oggetto degli insegnamenti metafisici è presente come “soggetto” dell’insegnamento; là dove l'”oggetto” dell’insegnamento metafisico è per me una realtà che prevale sulla mia individualità, sulla mia condizione di scrittore e anche sulla mia esistenza come uomo. Io sono “QUELLO” e “QUELLO” è, più di quanto io sia come “ego”, come scrittore o come dottrinario. “QUELLO” è il sostegno dell’origine della mia esistenza come “io”. Questa è l’esperienza dello stato primordiale risultante dalla Tradizione Primordiale; ogni insegnamento realmente metafisico ne è una premessa.

 

Perché sia particolarmente legittimo registrare questo “messaggio” in relazione a Julius Evola, è inerente all’attività “filosofica” di Evola stesso. Ciò fino ad oggi non è stato né convenientemente né debitamente apprezzato. Prescindendo dalla sua polemica giovanile con Guénon, Evola potrebbe contribuire sotto diversi riguardi alla rivivificazione della visione primordiale dell’advaitavâda. Vale a dire, laddove lo stato del Tat tvam asi e dell’Aham brahmâsmi si realizza e permane intatto in mezzo a tutte le circostanze, ciò corrisponde allo stato e all’esperienza del solipsismo soprafilosofico11. Allorché, oltrepassando la “comprensione” logico-dialettico-filosofica della verità del solipsismo, il solipsismo diventa realizzato, nello stesso tempo si realizza anche lo stato di aham-âtmika e di aham-brahmâsmi. Il rappresentante più tradizionale e di più alto rango di questa visione è stato Shri Râmana Maharshi, il quale si è continuamente abbeverato alla fonte della Tradizione Primordiale (mahâ-yoga). Quando il solipsismo diventa realizzato, l’egoismo e l’individualismo non possono più essere assunti in senso negativo. Quando esiste (aham-atmika) solo il Sé (âtmâ; auton; se), l’egoità (aham) non ha più un senso negativo (aham-vritti). Non esercita più quell’influenza ad ampio raggio che chiamiamo – sulla scorta di Guénon – individualismo.

 

E’ questo – per usare un concetto e un sintagma letterario – “il messaggio più profondo del Fronte dell’Est”. Claudio Mutti ha scritto (p. 52) alcune considerazioni su András László, il quale ha richiamato la nostra attenzione su questi aspetti metafilosofici dell’opera filosofica di Evola – valorizzando nel modo più corretto la completezza dell’opera di Evola12. Speriamo che ci riesca tra breve di redigere e far pubblicare in italiano un volumetto intitolato Evola e il solipsismo, in cui potremo occuparci più ampiamente e con maggior precisione di questa problematica veramente profonda.

 

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1. Az Arkangyal tollai (Intellektualisták és Vasgárda), recensione di: Claudio Mutti, Le penne dell’Arcangelo (ed. franc. Les plumes de l’Archange; ed. rom. Penele Arhanghelului), in “Tradició” [Debrecen], 1998, pp. 139-143.
2. Nyugat-Európa és Kelet-Európa [=Europa occidentale ed Europa orientale], in: “Pannon Front” [Budapest], 13, p. 6.
3. Cfr. Julius Evola, Idee per una Destra, “Quaderni di testi evoliani”, 31, Fondazione Julius Evola, Roma 1997, pp. 50-52. “In effetti, l’unica storia nota ai più e che fa testo, esclusa quella d’intonazione marxista, è essenzialmente di impostazione e di origine liberali, illuministiche e massoniche. (…) Una storiografia di Destra aspetta ancora di essere scritta, e ciò costituisce un nostro titolo d’inferiorità rispetto alle ideologie e all’azione di agitazione delle sinistre. (…) Ora, purtroppo si sa che per la carenza di uomini di alta levatura e di sufficiente autorità, per il prevalere di interessi di parte e di piccole ambizioni, per la mancanza di veri principî e non per ultimo di coraggio intellettuale”, ciò non si è ancora realizzato – scrive Evola. (In Ungheria, questo articolo è stato tradotto alle pp. 25-26 del n. 13 di “Pannon Front”, per la rubrica Metapolitikai Diorama da noi curata).
4. Az Arkangyal tollai, recensione cit., p. 142.
5. Sulla facciata di questo edificio, tre organismi tradizionali ungheresi avrebbero voluto apporre, nel 1998, una lapide commemorativa. La richiesta ufficiale di collocazione della lapide è stata però respinta dall’ufficio comunale del distretto rispettivo. Il testo della lapide era il seguente: “Su invito di questa casa fu in Ungheria Julius Evola (1898-1974), il grande filosofo, politologo, storico delle religioni e pensatore tradizionale italiano. ‘Per coloro i quali dietro le persone non onorano idoli, ma princìpi’ Nel centenario della nascita la Chiesa Pantolocattolica Tradizionale, la Chiesa della Tradizione Metafisica, l’Ordine Cavalleresco di quest’ultima e l’Alleanza Spada-Croce-Corona posero”. Questo progetto e questa iniziativa riflettono comunque qualcosa della grandezza dell’opera di Evola.
6. Col tempo, le caratteristiche di cui sopra saranno sempre atte a dare, alla mentalità totalmente scientifica e nominalista, uno spazio più grande del suo valore.
7. “L’Europa centrale ed orientale, però, ha avuto ed ha un vantaggio, del quale la parte restante dell’Europa fino ad oggi non sa forse nulla. (…) Il vantaggio è questo: non curarsi dei giocattoli della vita moderna, borghese e sociale dell’Europa, non curarsi neanche dei giocattoli della cosiddetta sfera ‘intellettuale’; rimanendo senza sostegni, ma senza lagnarsi minimamente di ciò, curarsi solo di ciò che è valore assoluto e non del tutto effimero, transitorio: (…) esistenza trascendente, che esige la realizzazione di ciò che è propriamente assoluto” (Nostra Introduzione a: Béla Hamvas, Da Eraclito a Guénon, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1999, in corso di stampa). Altrove abbiamo detto anche che cosa significa l'”arretratezza” dell’Europa centrale e orientale rispetto all’Europa occidentale: “l’uomo dell’Est europeo spesso soffre in una ‘prova di forza’ antinaturale, della stessa specie – del tutto immotivata – dell’Europa occidentale e in conseguenza di ciò vuole corrispondere alle forme dell’intellighenzia di quell’area, forme alle quali d’altronde egli non assentirebbe”. Ancora: “commette un grosso errore chi qui costruisce su cause puramente geografiche, su antenati a portata di mano, sull’appartenenza a certi popoli, o su un simbolismo dei punti cardinali semplicisticamente inteso. (…) Inoltre non è neanche possibile, usando il confronto guénoniano tra Oriente e Occidente, identificare l’Europa orientale con il tipo chiamato ‘Oriente’ da René Guénon – neanche se Guénon ha effettivamente nutrito una certa simpatia per i popoli dell’Europa centro-orientale” (Horváth Róbert, Nyugat-Európa és Kelet-Európa, in “Pannon Front”, 13, pp. 6 e 4.
8. Forse può essere interessante, da questo punto di vista, esaminare l’opera di Bruno Hapel Ramana Maharshi et Shankara: la Tradition Primordiale (G. Trédaniel, 1991), che purtroppo finora non abbiamo potuto consultare.
9. The “E” at Delphi, in: A. K. Coomaraswamy, Selected Papers II. (Metaphysics), Princeton 1987, pp. 43-45.
10. Shankara, Sarva-darshana-siddhânta-sangrahah; Vedântapakso 85, 4-5, 16, 99b, 1 e 8.
11. Cfr. Julius Evola, Teoria dell’Individuo Assoluto, Ed. Mediterranee, Roma 1988, pp. 241-262; Julius Evola, Sulle ragioni del Solipsismo, in: J. E., L’Idealismo Realistico, Pellicani, Roma 1997, pp. 71-78.
12. Cfr. Claudio Mutti, Budda a Budapest, in “Pagine libere”, novembre-dicembre 1997, p. 60.

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