Etnonazionalismi e imperi, Stati nazionali e “moltitudini”

Un’unità etnonazionalista è l’espressione politica del fatto etnico; un’etnia essendo un insieme umano culturalmente e geneticamente omogeneo. E solo un insieme politico etnonazionale – cioè uno stato che coincida con un’etnia – può avere la speranza di avere una durata indefinita e può essere in grado di offrire ai suoi abitanti uno stile di vita in sintonia con quella che è la loro natura, determinata da fatti storici e biologici che, molto spesso, si perdono nella notte dei millenni.

Piero Craveri, Gaetano Quagliariello (cur.), L'antiamericanismo in Italia e in Europa nel secondo dopoguerra Dovrebbe essere chiaro che l’etnonazionalismo non implica l’isolamento: ma lavorare insieme in modo proficuo è possibile soltanto fra unità etniche che però geneticamente siano analoghe e culturalmente non inconciliabili. Una collaborazione fra etnie diverse che non andasse a scapito delle loro specifiche identità era, nel passato, garantita da quel sistema politico, adesso demonizzato dagli imbonitori di cervelli, che era l’Impero. Ultimo fulgido esempio di questo sistema politico fu la doppia monarchia sul Danubio, l’Impero Asburgico. È poco risaputo, perché occultato, che già nella prima metà dell’Ottocento ci si preparava a rendere tripla questa doppia monarchia, della quale la terza capitale, dopo Vienna e Budapest, sarebbe divenuta Venezia. Questa soluzione, troncata dalla guerra del 1866, avrebbe garantito alle Popolazioni Padano-Alpine e, in generale, centro-europee, un futuro di benessere, sviluppo, pienezza, quasi inimmaginabili. Ancora meno di un secolo fa un altro splendido esempio d’impero fu la Russia; e prima ancora la Cina: alla Cina imperiale poterono sottostare la Mongolia, il Turchestan fino all’Ural e il Tibet, senza oppressioni di sorta e senza tentativi di snaturamento da parte del governo centrale. Caratteristiche d’impero (sia pure, entro certi limiti, problematiche) ebbe anche la Germania di Bismarck.

Marcello Veneziani, I Vinti. I perdenti della globalizzazione e loro elogio finale Contro l’impero – sintonia naturale d’unità etnonazionali – si erse, negli ultimi due secoli, il nazionalismo di stampo giacobino e massonico. Ci si riferisce agli stati-nazione, vere prigioni (altro che l’Impero Asburgico!) nelle quali venivano (e vengono) compressi i più disparati raggruppamenti etnici in modo del tutto innaturale: si pensi – caso limite – alla spaventosa condizione del Tibet odierno. Mettendo mano al lavaggio cerebrale mediatico e alla repressione poliziesca, lo stato nazionale ha sempre cercato di massificare e meticciare la propria popolazione, costringendola ad una lingua unica, qualche volta fabbricata a tavolino, e obbligandola a vedere se stessa come appartenente ad un qualche agglomerato umano/disumano, anche quello fabbricato all’uopo spesso anch’esso inventato a tavolino (vedi la “Jugoslavia”, la “Cecoslovacchia” e anche “l’Italia”). Si pompava così in testa alle popolazioni una certe infatuazione (“immortale principio”) per renderla carne da cannone servizievole per le imprese commerciali degli oligarchi della finanza internazionale che, dietro le quinte, stettero sempre dietro alle imprese “nazionalistiche”dei tempi moderni. Così, milioni su milioni di persone d’eccellente qualità genetica furono mandate al macello perché determinati contorti figuri potessero fare soldi.

Come stadio successivo, il processo di massificazione non si è fermato allo stadio nazionale ma adesso lo trascende. Lo stato nazionale di stampo giacobino, una volta espletato il suo servizio verso gli usurocrati internazionali, ha preso la via dell’immondezzaio. E questo è un processo lungo il quale, al solito, marxismo e capitalismo finanziocratico vanno a braccetto. Marx, ai tempi suoi, aveva pontificato che sarebbe stata la rivoluzione industriale (pilotata dagli “odiatissimi” borghesi) a rendere possibile il raggiungimento dell’utopia edonistica – la “fine della storia” – cioè il paese dei balocchi, dove tutte le strade sarebbero state sempre in discesa. I neomarxisti dei centri sociali e i “new global” dei tempi nostri (fra i quali Antonio Negri e Michael Hardt, autori di un libro di vasta risonanza in quegli ambienti, titolato non a caso Impero) pronosticano che il raggiungimento del paese dei balocchi passerà attraverso l’uniformizzazione assoluta, attraverso la scomparsa dell’umano per fare posto alla “moltitudine”; e non a caso il neomarxismo new global gode dei finanziamenti dei grandi usurocrati, come George Soros, perché la formazione dell’universale “moltitudine” è e sarà pilotata dall’attività globalizzante delle multinazionali.

Carl Schmitt, Terra e mare. Una riflessione sulla storia del mondo Un tipo pseudo-umano senza razza, senza tradizione, senza cultura, senza religione, senza personalità definita, mosso solo da stomaco e intestino e armato di un infinito risentimento, si dedicherà poi ad un sabotaggio/partigianismo pandemico dal quale scaturirà il paese dei balocchi (in base a quali meccanismi, non è chiaro). Questo è lo stadio finale, auspicato da marxisti e usurocrati, che dovrà essere raggiunto dopo la liquidazione di tutti gli etnonazionalismi. E’ contro questo tentativo, attuato dalla massoneria e dalla Alta Finanza apolide, di cancellare, di distruggere la Tradizione e l’Identità etnica, culturale, linguistica, storica, civile d’ogni comunità etno-nazionale d’Europa che noi dobbiamo combattere!

Per questo noi etnonazionalisti ci battiamo per la costituzione di un’Europa delle comunità etno-nazionali etnicamente e culturalmente omogenee. Comunità tra loro con-federate sul modello del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica o sul modello dell’Impero Asburgico.

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