Esploratori tedeschi nel cuore dell’Africa: Gerhard Rohlfs, Gustav Nachtigal, Georg Schweinfurth

Dopo la triade costituita da Heinrich Barth, Adolf Overweg ed Eduard Vogel, grandi esploratori dell’Africa centro-settentrionale negli anni Cinquanta del XIX secolo, ci occupiamo qui di un’altra triade di esploratori tedeschi del continente africano, collegata – questa volta – non dallo svolgimento di un lavoro comune, ma dall’approfondimento e dall’ampliamento dell’opera pionieristica dei loro predecessori. Il tutto in un contesto economico-politico profondamente mutato, pur essendo trascorsi solo pochi ani dalle imprese dei primi tre: perché, ormai, le potenze europee avevano intuito la convenienza e la relativa facilità di una occupazione militare dell’Africa, che avrebbe loro consentito di assicurarsi materie prime d’ogni genere e, al tempo stesso, di creare nuovi sbocchi per le proprie industrie e il proprio commercio.

La carriera di esploratore di Gustav Nachtigal segna, appunto – come vedremo – il passaggio dalla fase degli esploratori isolati e mossi dalla pura curiosità scientifica, a quella degli esploratori ingaggiati dalla madrepatria per realizzare la conquista coloniale dei territori africani. Scrive Richard Hall in La scoperta dell’Africa (titolo originale: Discovery of Africa, London, Hamlyng Publishing, 1969; traduzione italiana di Michele Lo Buono, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1971, p.98:

Nel settembre 1855 (…), Barth ritornò a Londra. Egli fu coperto di onori, fece altri viaggi nell’Asia Minore, divenne professore a Berlino e morì nel 1865 all’età di 44 anni. Un risultato delle sue imprese fu quello di attirare l’attenzione della Germania sulle possibilità dell’Africa. Uno dei più instancabili esploratori dell’Africa settentrionale alla metà dell’Ottocento fu Gerhard Rohlfs, un tedesco arruolatosi poco più che ventenne nella Legione Straniera. Rohlfs imparò a fondo la vita araba, e in uno dei suoi viaggi andò travestito da medico musulmano. Egli attraversò il deserto partendo da Tripoli e raggiunse l’Atlantico all’altezza di Lagos nel 1865. Poi esplorò le parti più inospitali del deserto libico, e fu il primo europeo a visitare l’oasi di Cufra. Rohlfs ebbe un’intensa consapevolezza del senso di isolamento che si avvertiva nel Sahara: «Era come se fossimo su un pianeta completamente privo di vita. Se uno rimaneva indietro momentaneamente, la carovana si perdeva di vista, e si avvertiva l’illimitata estensione della solitudine». Un altro tedesco e contemporaneo di Rohlfs, Gustav Nachtigal, accrebbe in misura notevole la conoscenza europea dell’Africa settentrionale. Egli fu il primo a compiere la rischiosa traversata dal lago Ciad al Nilo, che Vogel aveva tentato quindici anni prima trovandovi la morte. Nachtigal esplorò anche la regione di Tibesti nel cuore del Sahara. Un terzo tedesco, Georg Schweinfurth, passò gli anni 1868-71 esplorando la regione fra l’alto Nilo e il Congo. A questo punto l’Africa a nord dell’Equatore non aveva quasi più segreti di un certo rilievo. Ma le pressioni europee avevano provocato una violenta reazione dei sovrani locali, i quali vedevano che si andava preparando la distruzione della loro autorità. Gli inglesi mandarono una spedizione punitiva contro gli Ashanti sulla Costa d’Oro, i francesi sottomisero el-Hagg Omar e Samori Touré. Ma l’opposizione più spettacolare ebbe come teatro il Sudan, dove scoppiò una rivolta caratterizzata da una forte ispirazione religiosa. Un capo di nome Muhammed Ahmad dichiarò di essere il Madhi mandato a inaugurare un regno di giustizia sulla terra. Il Sudan era governato dal 1874 dal generale inglese Charles Gordon, il quale ne aveva avuto l’incarico dal Khedidvé Ismail d’Egitto, ma nel 1885 il Madhi aveva il pieno dominio del territorio. Gordon fu assediato a Khartum per dieci mesi, e la spedizione di soccorso giunse due giorni dopo che egli era stato ucciso. Il Sudan fu rioccupato solo nel 1898,a prezzo di ventimila vite umane.

Friedrich Gerhard Rohlfs (14 aprile 1831 - 2 giugno 1896)
Friedrich Gerhard Rohlfs (14 aprile 1831 – 2 giugno 1896)

Di questi tre esploratori tedeschi – Rohlfs, Nachtigal e Schweingfurth – è del primo che ci occuperemo innanzitutto. Grande conoscitore del Sahara, delle sue montagne, delle sue oasi, delle sue genti, egli è stato il diretto continuatore dell’opera intrapresa da Heinrich Barth. Come quest’ultimo, egli era un tedesco del Nord: nato a Vegesach presso Brema il 14 aprile del 1831, morì a Godesberg sul Reno, il 2 giugno 1896. I suoi viaggi d’esplorazione sono stati notevolissimi, di poco inferiori – se pure è possibile fare un simile paragone – a quelli di Mungo Park, Livingstone o Stanley. In Africa ci andò come medico della Legione Straniera, e fu dapprima in Algeria. Dopo aver esplorato a fondo , negli anni fra il 1860 e il 1864, il Marocco – le cui regioni interne, fra le pieghe dell’Atlante, erano ancora in gran parte sconosciute agli Europei -, nel 1867 si spinse fino a Bornu e a Lagos. Quindi, fra il 1869 e il 1873-74, visitò il Deserto Libico, giungendo, nel 1876, fino alla mitica Oasi di Cufra, dalla quale ritornò con una preziosa documentazione di note scientifiche. Nel 1880, infine, compì un secondo viaggio in Abissinia come membro di una missione ufficiale, dopo esservi già stato una prima volta, nel 1869, al seguito dell’esercito britannico che marciava contro il Negus Teodoro.

Politicamente, Rohlfs fu un amico dell’Italia (che, dal 1882, era unita alla Germania e all’Austria-Ungheria nella cosiddetta Triplice Alleanza), tanto da farsi sostenitore della opportunità, per essa, di procedere all’occupazione della Tripolitania e della Cirenaica, allora province soggette alla sovranità nominale dell’Impero Ottomano. Così ne riassume l’opera lo scrittore Anton Mayer nel suo libro 6.000 anni di esplorazioni e scoperte (traduzione italiana di Rinaldo Caddeo, Valentino Bompiani Editore, Milano, 1936, pp. 206-207):

Gli altri grandi esploratori [dopo Barth, Overweg e Vogel] sono stati pure Tedeschi, in prima fila bisogna menzionare Gerhard Rohlfs il quale al termine dei suoi studi di medicina entrò come medico nella legione straniera francese. Fortunatamente non si arrestò alla sua prima vocazione; dopo aver preso parte nel 1861 alle battaglie della legione nella terra dei Cabili si mise a studiare esattamente come già Caillé i costumi, gli idiomi e le abitudini dei Marocchini e di altri figli del deserto. Così poté lasciare Tangeri nel 1862 sotto il travestimento di un fedele maomettano e visitare le loro fino allora completamente sconosciute oasi del Marocco meridionale. Il suo talento di commediante non sembra essergli sempre bastato, giacché i suoi capi una volta quasi lo accopparono a bastonate e lo abbandonarono nel deserto. Alcuni pietosi indigeni lo trovarono e lo riportarono in salute. Egli non si lasciò spaventare da simili incidenti, ma visitò Fez, girò per il Marocco fino alla costa e si volse nuovamente indietro verso il Tafilelt che nessun Europeo aveva più vistato dai tempi di Caillé. Un tentativo di giungere a Timbuctù fallì; in compenso, dopo una seconda visita al Tafilelt, egli si infilò al Tuat, credendo che anche qui nessun Europeo fosse mai stato, mentre sappiamo che quattrocento anni prima le due regioni erano state esplorate dal genovese Malfante. Ritornò poi a Tripoli per Ghadames.

Dopo un breve soggiorno in Germania, che nella sua ristrettezza dopo la vastità del deserto non gli poteva dir troppo, Rohlfs ritornò a Tripoli e si portò nel novero dei più notevoli viaggiatori dell’Africa con un’impresa totalmente nuova negli anni che vanno fino al 1867; egli attraversò il continente dal Mediterraneo al Golfo di Guinea, da Tripoli fino a Lagos, passando per Murzuk e per Kanu al Benué che discese al pari del Niger. Poi l’Oriente cominciò a interessarlo: nel 1868 Rohlfs percorse l’Abissinia e diresse diverse spedizioni per il deserto libico. Nel 1879 si spinse fino all’oasi di Cufra nel centro del Sahara per raggiungere l’Uadai dal nord; ma il 12 settembre cadde in un’imboscata tesagli dagli Arabi, perdette tutte le sue provviste e dovete rinunziare al viaggio progettato. Questa fu l’ultima spedizione di Rohlfs.

Nominato console di Germania a Zanzibar, vi trascorse l’esistenza fino al 1885 e nel 1896 morì. Egli non fu un esploratore di scienza ma un uomo ardito e pieno di iniziativa che rivelò all’Europa nei sedici anni della sua attività di esploratore regioni e città totalmente o in parte ignorate.

La differenza principale fra Barth e Rohlfs, questi due grandi esploratori tedeschi, è – secondo il geografo italiano Giotto Dainelli (cfr. La conquista della Terra, Utet, Torino, 1954, p. 588) che, mentre il primo era mosso prevalentemente dalla sua passione per le ricerche di carattere culturale, il secondo lo era dalla sua passione per il continente africano. Gli scritti di Rohlfs sono: Reise durch Marocco, Brema, 1868; Quer durch Afrika. Reise Von Mittelmeer nachdem Tschadsee zum Golf von Guinea, Leipzig, 1874-75; Reise von Triplois nach der Oase Kufra, ivi, 1881 (traduzione non integrale di G. Corra, Milano, Vallardi, 1887 e 1913; Meine mission nach Abissinien, ivi, 1883; Quid novi ex Africa?, Kassel, 1886.

Gustav Nachtigal (23 febbraio 1834 - 20 aprile 1885)
Gustav Nachtigal (23 febbraio 1834 – 20 aprile 1885)

Il secondo esploratore, Gustav Nachtigal, nacque ad Eichstedt, in Sassonia, nel 1836, e morì presso il Capo Palmas, nel 1885, a bordo di una nave, durante il viaggio di ritorno in patria. Anche lui si era recato in Nord Africa come medico, per l’esattezza in Tunisia. Da lì, avendo avuto l’incarico di effettuare una spedizione nel Bornu, si portò a Tripoli e partì nel 1869, raggiungendo Murzuch, dopo quaranta giorni di traversata del deserto; indi si spinse – primo europeo – nel cuore del Tibesti, il massiccio montuoso isolato nel cuore del Sahara e prezioso per gli archeologi, a causa delle migliaia di antiche incisioni e pitture rupestri che ne istoriano le rocce.

Ritiratosi a Tunisi per motivi di salute, vi esercitò la professione di medico militare; ma poi riprese la via del deserto, perché il re di Prussia gli affidò il compito di condurre una spedizione fino alla corte del sovrano del Bornu, per portargli dei doni quale ringraziamento per la buona accoglienza fatta, alcuni anni prima, alla missione di Barth (che, come si ricorderà, era stata patrocinata dal governo inglese e si svolgeva sotto bandiera britannica: cfr. F. Lamendola, Esploratori tedeschi nel cuore dell’Africa: Heinrich Barth, Adolf Overweg, Eduard Vogel). Giunto nel Bornu nel 1873, da Kuka intraprese poi una serie di ricognizioni in regioni ancora in buona parte inesplorate: il Kanem, il paese dei Baghirmi e l’Uadai; e, finalmente, rientrò al Cairo, dopo ben sei anni di peregrinazioni, uguagliando il record – se così possiamo chiamarlo – di Heinrich Barth. Durante tali viaggi egli raccolse una quantità
ingente di osservazioni d’ogni tipo sulla geografia e l’etnografia dei paesi attraversati (cfr. Silvio Zavatti, Dizionario degli esploratori e delle scoperte geografiche, Feltrinelli, Milano, 1967, p. 203).

Il destino fu beffardo con questo esploratore dalla solida esperienza ma dalla salute alquanto indebolita, che ormai contava di vivere tranquillo, dedicandosi alla pubblicazione dei suoi scritti. La Germania, ora riunificata in un Impero federale sotto la monarchia degli Hohenzollern, era scesa improvvisamente in lizza per la spartizione dell’Africa, dopo che il cancelliere Bismarck si era convertito alle ragioni dei colonialisti, nel 1884-85; e il governo tedesco aveva bisogno di lui per realizzare le proprie mire annessionistiche. Così, dopo essere stato nominato console generale dapprima a Zanzibar e poi a Tunisi, nel 1884 ebbe ordine di organizzare in fretta e furia una spedizione nel Golfo di Guinea, per mettere sotto la protezione tedesca il maggior numero di sovrani indigeni nel minor tempo possibile. Di quella spedizione faceva parte anche un giovane e brillante ufficiale di marina, il conte Maximilian von Spee, che sarebbe divenuto vice-ammiraglio e sarebbe stato protagonista di una spettacolare impresa nel corso della prima guerra mondiale (cfr. F. Lamendola, L’ultima crociera dell’ammiraglio Spee. Battaglie navali di Coronel e Falkland, novembre-dicembre 1914, sugli Atti della Società «Dante Alighieri» di Treviso, 2008). Ecco come rievoca quella curiosa spedizione politico-militare lo scrittore inglese Richard Hough nel suo libro La caccia all’ammiraglio von Spee (titolo originale: The Pursuit of Admiral von Spee, 1968; traduzione italiana di Sebastiano Morin, Longanesi & C., Milano, 1971, pp. 24-31:

Negli ultimi anni settanta e nei primi anni ottanta, il cancelliere Bismarck era venuto sempre più persuadendosi della necessità per il suo paese di adeguarsi alle attività coloniali dell’Inghilterra, della Francia e di altre nazioni in Africa, in Estremo Oriente e nel Pacifico. Molte case di commercio tedesche avevano stabilito centri di smercio in queste zone, e i loro affari erano sempre più minacciati dai metodi ben più aggressivi delle vecchie potenze coloniali che non esitavano a impiegare la forza delle armi per persuadere i capi locali a firmare trattati commerciali ad esclusiva protezione delle loro merci, oppure giungevano perfino ad annettersi, per esempio, qualche dozzina di isole nel Pacifico o qualche migliaio di chilometri quadrati in territorio africano. Bismarck aveva l’appoggio e l’incoraggiamento di case tedesche come Godefroy di Amburgo, Hernshein (copra di Samoa) e Lüderitz di Brema, e di molti scienziati ed esploratori la cui «Società centrale per la geografia commerciale e gli interessi tedeschi all’estero» stava diventando sempre più influente. Ma bisognava che si muovesse con prudenza a causa della opposizione politica interna e dei crescenti sospetti della Francia e dell’Inghilterra circa i veri motivi della sua azione. Per vari anni si astenne da ogni passo di effettiva importanza. Quando decise di muoversi agì con prontezza, in modo da mettere i suoi oppositori interni ed esterni di fronte al fatto compiuto.

L’uomo che scelse per instaurare un impero coloniale tedesco in Africa era un dottore in medicina, valente ed esperimentato esploratore. Il dottor Nachtigal aveva cinquant’anni, era un uomo piccolo e grassotto con capelli neri, occhi celesti e volto cotto dalle intemperie. Si diceva di lui che fosse «gaio con gli amici, riservato con gli estranei». Quando ricevette l’incarico «di mettere certe aree costiere dell’Africa occidentale sotto la protezione della Germania», era console generale in Tunisia.

Le sue esplorazioni in Africa e in Asia lo avevano lasciato fisicamente cagionevole, e si era trasferito in questa parte dell’Africa del Nord (dove era anche medico curante del bey di Tunisi) per la salvezza dei suoi polmoni. Sapeva che il clima dell’Africa occidentale era il meno adatto per la sua salute e accettò l’ordine con molta riluttanza. Comunque, dopo aver chiesto il permesso di condurre con lui il suo vecchio amico e compagno di esplorazioni dottor Max Buchner, partì per Marsiglia e proseguì via terra per Lisbona dove s’imbarcò sulla nave che doveva portarlo a compiere la sua prima e ultima missione colonizzatrice.

La Möwe era una cannoniera di sole ottocentoquarantotto tonnellate. V’erano, ricavati alla meglio in uno spazio ristretto, gli alloggi per il comandante e sei ufficiali, e gran parte dello spazio interno non occupato dalle munizioni per i pezzi da 150 e da 120 millimetri e da fucili, fu riempito di doni per gli indigeni; perché voleva essere una missione di amichevole persuasione piuttosto che di forza. Tra gli ufficiali che erano stati prescelti per questa delicata ma anche pericolosa missione di stabilire un impero tedesco in Africa, v’era il tenente di vascello Maximilian conte von Spee, che gradì molto l’onore che gli era stato elargito. La sera prima di partire da Kiel, la più importante base navale della Germania, il 15 aprile c’era stata una piccola festa celebrativa al circolo ufficiali. In tale occasione von Spee era pronto a distendere un po’ i nervi con un buon sigaro e un Krug di birra. Suo fratello maggiore Ferdinand, futuro consigliere della Corona a Kiel, era presente e aveva portato con sé una quantità di «piccoli gingilli per trattare con i negri», come Maximilian scrisse a sua madre qualche giorno dopo, «che io spero di poter utilizzare vantaggiosamente, visto che tali cianfrusaglie sono quasi sconosciute in quei luoghi».

Il vero scopo della spedizione non era stato pubblicamente annunciato; invece, Bismarck si limitò a informare il governo inglese che il dottor Nachtigal si sarebbe «tra breve recato sulla costa occidentale dell’Africa per riferire circa le misure che avrebbero potuto essere prese per proteggere gli interessi tedeschi in quelle regioni». Gli ufficiali di marina a Kiel ne sapevano di più e, come von Spee ricordava, «partimmo… accompagnati dalle acclamazioni dei nostri colleghi che restavano a terra; tutto l’insieme fece un’ottima impressione».

L’Inghilterra e le altre potenze coloniali in Africa restarono molto dubbiose circa le intenzioni della Möwe e di quelli che c’erano a bordo. Quando il dottor Nachtigal raggiunse il bastimento sul Tago a Lisbona, il 10 maggio, i sospetti e le speculazioni si accrebbero ancora. L’accoglienza in Portogallo, una delle più antiche nazioni coloniali e che possedeva una bella fetta d’Africa, non fu cordiale. Durante un’udienza col re Luiz al Necessidades Palace, fu chiesto al dottor Nachtigal quale fosse il vero scopo del viaggio, ma con vivo disappunto del sovrano il dottore eluse la domanda. Von Spee descrisse questo incidente in una sua lettera a casa, di tipico carattere informativo. I portoghesi «sono molto sospettosi», scrisse. «Il Portogallo è troppo debole per fondare nuove colonie, ma d’altra parte si risente quando altri esplorano per proprio conto terre delle quali si proclama scopritore e sulle quali è convinto di avere diritto di precedenza».

La piccola Möwe lasciò Lisbona, senza rimpianti da parte degli ufficiali, che fra l’altro avevano trovato la città molto cara, e procedettero lungo le coste portoghesi fino a Gibilterra e poi verso le coste del Marocco. Verso la metà di giugno la cannoniera aveva raggiunto le ricche e umide terre del Senegal, una distesa di costa che era già teatro della vigorosa attività dell’Inghilterra e della Francia. I dottori Nachtigal e Buchner, appoggiati da compagnie da sbarco comandate da von Spee e dagli altri ufficiali, presero terra a Los Islands ed esplorarono, risalendolo, l’estuario del Debreka. Si misero in contatto con i capi locali che si dimostrarono stranamente familiari con le varie
redazioni e forme di trattati di amicizia, di protezione, e di annessione che il dottor Nachtigal aveva loro presentato invitandoli a firmarli. Per i coloni questo non era evidentemente un suolo vergine. Comunque vennero firmati (con un segno da parte dei capi indigeni) e scambiato dei contratti e la bandiera tedesca fu alzata su antenne frettolosamente erette in opportune località preminenti. Nonostante la rapidità e la decisione con cui queste operazioni erano state condotte, von Spee nutriva dubbi che avessero, per il momento, concluso gran che. «Naturalmente si tratta di un segreto – scriveva -, ma io non credo che alla fine avremo successo, perché ci sono già trattati in vigore con la Francia e con l’Inghilterra».

Navigarono verso sud e verso est lungo la costa africana, con immutato zelo, visitando remote località ove fioriva lo smercio di grandi case commerciali come Thormählen, Woermann e Jantzen, rassicurando gli agenti di quelle case, in ansia, con la loro presenza e la loro evidente determinazione di porre tutto il territorio sotto la bandiera tedesca. Durante le poche settimane che seguirono, la costa dell’Africa occidentale fu soggetta a una stretta sorveglianza da parte di cannoniere francesi, tedesche e britanniche tutte intente ad acquistare strisce di territori, da pochi acri a centinaia di chilometri quadrati, con metodi che andavano dall’amichevole persuasione, attraverso corruzioni e minacce, all’aperto impiego delle armi. Ovunque queste missioni di annessione si recassero, trovavano  invariabilmente tracce dell’attività dei loro competitori. In molte occasioni le varie navi da guerra si avvistarono reciprocamente. Una volta la Möwe fu seguita da una cannoniera francese. «È da ritenere che volesse sapere chi eravamo e che cosa stavamo facendo – scrisse von Spee. – Di conseguenza dirigemmo ostensibilmente verso Lagos… ma cambiammo rotta durante la notte».

Little Popo fu teatro di una competizione particolarmente vivace. Qui la Möwe ricevette dei rinforzi sotto forma della corvetta Sophie di 2.169 tonnellate, carica di ostaggi indigeni. Il dottor Nachtigal fece un raduno di re locali e quando
tutti ebbero accettato di porre le loro terre sotto la protezione del Kaiser Guglielmo, gli ostaggi vennero rilasciati. «Le accoglienze dei loro parenti furono molto calde e accompagnate da grandi manifestazioni di gioia quando seppero che sarebbero stati liberati». Disgraziatamente, all’ultimo momento uno dei re si rifiutò di firmare e allora tutti furono catturati di nuovo e tenuti in custodia. Von Spee apprese pure che al re del Togo erano state promesse dagli Inglesi milleseicento sterline se avesse scacciato i coloni tedeschi. Il dottor Nachtigal, a sua volta, gli promise la piena protezione del suo monarca qualora non avesse più firmato alcun trattato con gli oppositori. Tutti acconsentirono
con piacere, compreso il re che si era prima mostrato riluttante, e così, alla fine, tutti gli ostaggi tornarono a casa.

La spedizione tedesca ebbe invece meno successo nel tentativo di riunire insieme i vari capi tribù locali lungo la costa. «Tutti i capi erano partiti per Abomey – riferiva von Spee – dove il re, o sultanoche fosse, sta dando una gran festa che pare debba consistere principalmente di massacri in massa».A Batanga erano più accessibili. «Il re Toko è venuto a bordo e ha fatto una buona impressione atutti – scrisse von Spee a sua madre. – Indossava un paio di pantaloni rosso vivo, una giacca e unvecchio berretto di ufficiale di marina. Appeso a una lunga catena avvolta al collo, portava unaplacca d’argento a forma di cuore con su scritto il suo nome e quello del donatore. Uno dei suoi accompagnatori portava un frac rosso e invece di pantaloni solo una specie di grembiule, con uncappello a tuba grigio chiaro». Poi, quando per la prima volta la bandiera tedesca venne alzata suquesta nuova colonia, «apparve un uomo nudo portando solo un parasole e un tricorno daammiraglio in testa».

Gustav Nachtigal, come si è detto, non ebbe modo di godersi i riconoscimenti per la sua abile azione diplomatica, che nel giro di poche settimane era valsa alla Germania l’acquisto di due nuovi protettorati nell’Africa Occidentale, il Togo e il Camerun; mentre un terzo era stato creato, proprio nello stesso tempo, dal commerciante F. A. E. Lüderitz, nella zona della baia di Angra Pequeña, nell’Africa Sud-Occidentale. Come egli stesso aveva previsto, quel viaggio frettoloso nelle zone più umide e malsane del Golfo di Guinea gli riuscì fatale. Infatti vi contrasse le febbri tropicali che lo condussero alla morte, ancora a bordo della Möwe, il 20 aprile 1885. Da medico qual era, non si era mai fatto illusioni e, al momento di partire da Tunisi per affrontare il delicato incarico affidatogli dal suo governo, ben sapeva quale destino lo aspettasse. Curiosa coincidenza, anche il fondatore della colonia dell’Africa Sud-occidentale Tedesca non vide gli sviluppi della “sua” creatura: Lüderitz morì vittima di un incidente, poco dopo l’acquisto (fraudolento) della baia di Angra Pequeña dagli indigeni, cadendo nelle acque del fiume Orange e annegandovi.

Gustav Nachtigal descrisse le sue esplorazioni nella parte settentrionale e centrale del continente africano nell’opera Sahara und Sudan, in tre volumi: i primi due vennero pubblicati nel 1979-81; il terzo uscì, postumo, solamente otto anni dopo, nel 1889. Secondo il Meyer, si tratta di una delle opere più significative della letteratura di viaggi.

Georg August Schweinfurth (17 dicembre 1836 - 19 settembre 1925)
Georg August Schweinfurth (17 dicembre 1836 – 19 settembre 1925)

Il terzo esploratore che qui ricordiamo, Georg August Schweinfurth, nato a Riga, in Curlandia, il 29 dicembre 1836 e morto a Berlino il 19 settembre 1925, ed era eminentemente uno studioso e un naturalista. In primo luogo era un botanico, fedele al vecchio motto di Darwin che diceva «un viaggiatore dev’essere un botanico»; ma possedeva anche delle notevoli cognizioni nel campo della zoologia e dell’etnologia. Figlio di un mercante di vini, aveva studiato botanica a Heidelberg e a Berlino; e fu per approfondire i suoi studi sulla flora africana che scese lungo il Mar Rosso, nel 1863, e raggiunse Khartum, passando per Suakin. Rimase in Africa fino al 1866, poi rientrò a Berlino con una ricca collezione floristica.

In Europa riuscì a interessare la Reale Accademia delle Scienze a finanziare un ulteriore viaggio di ricerca sulla vegetazione della regione paludosa del Bahr-el-Gazal, allora quasi sconosciuta, ottenendo un contributo dall’Isituto Humboldt. Nel settembre del 1868 sbarcava nuovamente a Suakin e, nel gennaio 1869, era ancora a Khartum, da cui risalì il Nilo Bianco e penetrò nelle regioni quasi inesplorate dei Niam-Niam, dei Bongo e dei Mangbetu.

Per altri tre anni, con somma tenacia e intelligenza, Schweinfurth percorse quelle contrade, raccogliendo preziose informazioni sui loro abitanti e redigendo la prima attendibile relazione sui pigmei del Congo. Spingendosi oltre lo spartiacque fra il Nilo e il Congo, raggiunse, nel marzo del 1870, il fiume Uele, che scorre verso ovest e che, più tardi, sarebbe stato riconosciuto come un affluente del Congo. Scoperta importantissima, che consentiva di delimitare per la prima volta, in quella direzione, l’estensione del bacino dell’alto Nilo; e che gli valse, nel 1874, un alto riconoscimento da parte della Reale Società Geografica.

Oramai definitivamente innamorato dell’Africa, Scheweinfurth si stabilì al Cairo e vi risiedette per tredici anni, dal 1875 al 1888. Dalla capitale egiziana, ogni inverno partiva per compiere nuovi viaggi esplorativi e di ricerca naturalistica. Fu in Libano nel 1880: nell’isola di Socotra nel 1881; nello Yemen nel 1888, allargando i suoi interessi anche alla geologia, alla paleontologia e all’archeologia. La sua fama era divenuta ormai tale che, nel 1876, venne invitato a partecipare, in qualità di esperto, alla conferenza sull’Africa convocata a Bruxelles dal re Leopoldo del Belgio.

Soltanto nel 1888, dopo ben venticinque anni passati – salvi alcune interruzioni – nel continente africano, rientrò a Berlino, ove poté finalmente dedicarsi ala sistemazione de suoi erbari e delle sue interessantissime raccolte botaniche.

Ma ancora il «mal d’Africa» non lo aveva abbandonato; e continuò a recarsi frequentemente nel continente che gli era divenuto quasi una seconda patria. Si idedicò, in particolare, alla geografia e alle piante dell’Eritrea, ove condusse ben tre spedizioni, fra il 1891 e il 1894, interessandosi anche agi sviluppi della politica coloniale italiana in quella regione dell’Africa, e stabilendo amichevoli rapporti con il nostro Paese (divenne anche socio straniero dell’Accademia dei Lincei).

L’ultimo viaggio africano di Schweinfurth si concluse nel 1914: appena in tempo, perché, con lo scoppio della prima guerra mondiale, avrebbe corso il rischio di non poter più rientrare in Germania e di venire internato in qualche colonia delle potenze dell’Intesa, come accadde anche al dottor Albert Schweitzer che, in quanto alsaziano, era  ufficialmente suddito germanico (cfr. Dortothy Middleton sulla Enciclopedia Britannica). Le sue memorie di viaggio, pubblicate col titolo Il cuore dell’Africa, nel 1873, sono un’opera non soltanto estremamente accurata, ma anche ricca di senso dell’umorismo e, perciò, di gradevolissima lettura, anche per un pubblico di non specialisti. Particolarmente liriche sono le pagine dedicate alla descrizione del paese dei Mangbetu, che, per la dolcezza del clima e la l’amenità del paesaggio, viene paragonato a una sorta di Paradiso Terrestre.

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Tratto, col gentile consenso dell’Autore, dal sito Arianna Editrice.

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Francesco Lamendola, laureato in Lettere e Filosofia, insegna in un liceo di Pieve di Soligo, di cui è stato più volte vice-preside. Si è dedicato in passato alla pittura e alla fotografia, con diverse mostre personali e collettive. Ha pubblicato una decina di libri e oltre cento articoli per svariate riviste. Tiene da anni pubbliche conferenze, oltre che per varie Amministrazioni comunali, per Associazioni culturali come l'Ateneo di Treviso, l'Istituto per la Storia del Risorgimento; la Società "Dante Alighieri"; l'"Alliance Française"; L'Associazione Eco-Filosofica; la Fondazione "Luigi Stefanini". E' il presidente della Libera Associazione Musicale "W.A. Mozart" di Santa Lucia di Piave e si è occupato di studi sulla figura e l'opera di J. S. Bach.

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