Drieu La Rochelle, poeta della decadenza

Pierre Drieu La Rochelle, 'Fuoco fatuo'. Seguito da 'Addio a Gonzague' Vi sono scrittori che impersonano nella loro esistenza e nelle opere un’epoca intera con tutte le sue contraddizioni. Pierre Drieu La Rochelle è stato uno di questi enfants du siècle. E il fascino dei suoi romanzi è legato non solo alla loro efficacia letteraria, ma anche al fatto che lo scrittore francese è diventato il simbolo di una generazione, quella degli “anni ruggenti”, divisa fra una vita disordinata e la ricerca di un ordine personale e sociale. Personaggi e romanziere si sono identificati agli occhi dei lettori sino a perdere ogni distinzione. E così doveva avvenire perché tutta la sua narrativa è un lungo monologo autobiografico in cui fantasia e confessione si intrecciano inestricabilmente.

Qualcuno lo ha definito il fratello di F.S. Fitzgerald, il poeta della decadenza, della disintegrazione di una civiltà. E la definizione è, in parte, esatta. Drieu infatti è fra gli scrittori francesi che hanno avvertito più tragicamente e intensamente la crisi dell’uomo occidentale. “Il suo spirito era abituato – ha scritto in un romanzo – a confrontare la vecchiezza di oggi, che si dibatte con scosse secche e nervose, alla giovinezza creatrice con le sue armonie calme e piene”.

Pierre Drieu La Rochelle, Racconto segreto. Diario 1944-1945. Esordio Le sue opere letterarie più significative, come Drôle de voyage, Fuoco fatuo, Rêveuse bourgeoise, Gilles, sono tutte modulate su questo tema della decadenza. I personaggi ne sono partecipi e rivelano nelle loro vicende l’incapacità di avere rapporti costanti e normali con gli altri, donne, uomini e ambienti, in un’alternanza di desideri e delusioni, di decisioni e di rinnegamenti; spinti continuamente a fuggire, a evitare ogni legame per timore di dovere “scegliere”.

Le pagine più compiute della sua narrativa, in genere scostante come scostante era lo stesso scrittore, sono appunto quelle in cui Drieu esprime questa atmosfera di crisi attraverso un ritmo linguistico che passa da un periodare secco e duro a una prosa densa e contorta. Ma parlare in Drieu di un’unità e costanza stilistica sarebbe, a parer nostro, inesatto: per lui infatti lo stile era un puro strumento che doveva adattarsi alla materia che trattava. Mentre, per fare un esemio, Fuoco fatuo e La commedia di Charleroi sono costruiti in un linguaggio scabro ed essenziale, Drôle de voyage e la prima parte di Gilles, che descrivono invece una corruzione di sentimenti e un clima di disfacimento, sono modulati su un ritmo più contorto, denso, colmo di echi e di riferimenti. Ma il caso più significativo è quello di Rêveuse bourgeoise,dove l’autore, dovendo rievocare in chiave fantastica la storia della sua famiglia e l’ambiente della media borghesia durante la belle époque, adotta consapevolmente il linguaggio del naturalista.

La modernità di Drieu sta, a parer nostro, nella struttura costante di tutta la sua opera che, al di là delle differenze stilistiche sottolineate, fonde nel tessuto narrativo materiali di diversa estrazione, descrizioni di vicende, meditazioni interiori, annotazioni storiche e di costume, costruendo un vero e proprio tipo di “romanzo-saggio”. Ma, a differenza di altri narratori, Drieu descrive senza definire: tutta la sua narrativa manca cioè di corposità veristica, i personaggi non hanno volto, sono centri nervosi, temperamenti – o forse anime – e i loro rapporti non sono quasi mai visti direttamente, ma attraverso lo schermo dei loro riflessi emotivi.

Pierre Drieu La Rochelle Faremmo però un torto al romanziere francese se lo riducessimo a un puro descrittore della decadenza. La consapevolezza della decadenza non era per lui un alibi, una giustificazione per accomodarsi nella poltrona di un nichilismo senza speranza. In lui era viva l’esigenza di una rivolta per modificare una situazione personale e sociale che giudicava negativa. L’aveva già sperimentata durante la prima guerra mondiale, che gli ispirò il suo racconto più compiuto, quella Commedia di Charleroi, in cui i temi della guerra moderna come simbolo della decadenza, il desiderio di rivolta, l’eroismo e la paura si mescolano in un impasto linguistico di derivazione surrealista, spezzato, rotto, in cui passato e presente, azione e meditazione formano vari piani narrativi intrecciati fra di loro in una struttura armonica.

Questo bisogno però di una rivolta, invece di esprimersi, come sarebbe stato proprio per uno scrittore, in una ricerca e in un approfondimento interiore, lo spinse verso l’azione pubblica, nell’evasione dell’impegno politico attivo che si concluse, come si sa, nella sua adesione al fascismo e nel tragico suicidio. Ma – ed è bene sottolinearlo per comprendere appinero la sua personalità – negli ultimi anni lo scrittore francese stava maturando una meditazione che lo allontanava sempre di più, da un punto di vista psicologico, dalla politica, dagli aspetti più contingenti della storia, e lo portava a cercare certezze non condizionate dagli avvenimenti. L’ultimo Drieu, che fra l’altro ha scritto quella stupenda confessione che è Racconto segreto, viveva ormai orientato verso una prospettiva metafisica, nella lettura di San Paolo, dei Vangeli e dei testi sacri orientali.

Pol Vandromme ci offre in questo saggio un ritratto prevalentemente psicologico di Drieu nella sua epoca, molto importante per capire i temi fondamentali delle sue opere, e nello stesso tempo sottolinea i motivi originali di questo autore che ha anticipato, pur nei limiti della sua formazione culturale, non solo una certa letteratura dell’incomunicabilità del dopoguerra, ma anche una corrente letteraria francese, quella che è passata alla storia degli anni cinquanta come la scuola degli ussari e degli enfants tristes.

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(Presentazione di: Pol Vandromme, Pierre Drieu La Rochelle, Borla, Torino 1965, pp. 7-10).

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