La donna, l’amore, la paura

weiningerGenio. Inquieto. Suicida. Profondo conoscitore delle sfumature della psiche e misogino. La figura di Weininger continua ad affascinare i pochi che ne conoscono l’opera. Le edizioni Mediterranee, ripubblicando di recente il suo capolavoro Sesso e Carattere, cercano di estendere la cerchia di coloro che, conoscendolo, potranno apprezzare la complessità di pensiero di questo tragico esponente della cultura mitteleuropea, morto suicida nel 1904 all’età di 24 anni.

In Italia fu Julius Evola il primo a valorizzare a pieno la concezione del mondo dell’autore. Michaelstedter e Weininger ricorrono di frequente nelle citazioni e nelle pagine filosofiche dell’autore romano: entrambi erano ebrei dell’Impero d’Austria, entrambi accomunati dalla scelta di troncare la propria esistenza in età giovanile, anzi adolescenziale secondo i criteri anagrafici di oggi.

Pochi mesi prima di morire, Weininger pubblicò un volume ponderoso che travalica i confini tra filosofia, psicologia, teologia, antropologia: Sesso e carattere. È l’inizio del Novecento, gli stessi anni in cui Freud matura la sua concezione della libido e sono gli anni in cui cominciano a diffondersi le idee sul matriarcato delle origini e sul successivo affermarsi della dominazione “maschile”.

Non regalate il libro di Weininger a una femminista: potrebbe scambiare l’omaggio per una provocazione e picchiarvi duramente. Ma regalatelo, se volete, ad una donna intelligente, che capirà come il “maschilista” Weininger – impaurito dall’ascesa del sesso femminile e dalle sue crescenti rivendicazioni – sia stato il primo a comprendere e a valorizzare sino in fondo il tema della “differenza”, e dunque della specificità dei sessi. Per Weininger l’uomo e la donna si distinguono tra di loro non solo per una diversa conformazione degli organi genitali, ma per una differenza che pervade tutto il corpo e la psiche, che penetra in ogni singola cellula dell’organismo. Vi sono ovviamente diversi gradi di maschilità e di femminilità e l’attrazione magnetica tra due individui si mette in moto appunto quando scatta l’alchimia della giusta complementarietà. In ogni uomo – peraltro – c’è una parte di donna, in ogni donna una parte di uomo; questa considerazione basta a relativizzare gli aspetti più aspri delle osservazioni che Weininger rivolge alla “natura femminile”.

sesso-e-carattereL’autore confutò i pensatori naturalisti che vedevano nel sesso un semplice espediente per fare figli. Come se i microbi asessuati non si riproducessero con più facilità ed efficienza degli animali che si accoppiano. Il maschile e il femminile appaiono nella loro vera luce se considerati come due grandi polarità, esattamente come era stato intuito da molte civiltà tradizionali. Ad esempio dalla cultura cinese, tutta incentrata sul gioco di relazioni tra lo yang (il fuoco maschile) e lo yin (la feconda umidità femminile) o dagli stessi filosofi greci che si appellavano alla coppia di materia-e-forma.

Riguardo al sesso femminile, Weininger individua a sua volta una ulteriore dicotomia tra un tipo prevalentemente “materno” e un tipo più centrato su sé stesso (che l’autore con delicatezza definisce “prostituta”). Il primo tipo trova la sua soddisfazione nella cura e nella relazione affettiva con i figli, il secondo invece mira al soddisfacimento delle esigenze individuali, attraverso una oculata gestione del proprio corpo e del proprio talento. Nel sintetizzare questa concezione, il sessuologo Fausto Antonimi scrive nella prefazione: «Il tipo materno è egoisticamente affezionato ai propri figli e tutti gli altri esseri umani gli sono sostanzialmente indifferenti: non parliamo poi dell’indifferenza verso il partner maschio. Il tipo prostituta mette al centro del mondo non i figli, che non ama e non vuole e per lo più non ha, ma se stessa, il proprio corpo, il proprio potere sugli uomini».

Qui ovviamente le categorie del libro si fanno schematiche, l’essenza profonda della femminilità sembra sfuggire all’autore. Del resto si conosce solo ciò che si ama. E la capacità di amare le donne è forse preclusa in partenza al giovane autore. Tuttavia ciò che colpisce nel libro è che i decenni successivi sembrano aver assistito in molti casi ad una affermazione del sesso femminile proprio espressa nei termini riduttivi descritti dall’autore. Molte donne – non tutte – si sono fatte largo nella società, nel mondo del lavoro, dello spettacolo, proprio abbracciando lo stereotipo che Weininger attribuiva loro. E allora questo libro può oggi assurgere a modello di riflessione per comprendere ciò che deve essere corretto nella sfera dei comportamenti sia maschili che femminili.

Nei confronti dell’uomo, l’accusa principale di Weininger è quella di aver abdicato alla propria dignità, alle proprie responsabilità primarie. È una diagnosi che lo psicologo Claudio Risè in tempi recenti ha ampiamente confermato. Tra padri che si comportano come “fratelli maggiori” e figli che non vogliono crescere, il mondo maschile sembra aver perso quella volontà di saltare l’ostacolo che separa la fanciullezza dalla virilità. Quell’ostacolo che in tante civiltà si ritualizzava nelle prove di iniziazione. Ancora una volta dunque il polo maschile e quello femminile si influenzano l’un l’altro, sia in positivo che in negativo.

Forse Weininger decise troppo presto di abbandonare la vita, se avesse vinto la sua tragica pulsione alla morte avrebbe potuto sviluppare ulteriormente le riflessioni sul grande “bipolarismo” che attraversa la cultura umana.

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Tratto da L’Indipendente del 11 novembre 2007.

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