Considerazioni sulla visione greca dell’oltre-vita

Peter Paul Rubens, Il ratto di Proserpina (1636 – 1637). Museo del Prado, Madrid

Visti i tempi sepolcrali (in accezione decadence) in cui ci troviamo a vivere, post-epidemici, post-umani e post-storici, vi sono da farsi alcune considerazioni riguardo al concetto di termine vita e sopravvivenza della stessa[1]. Ci sarebbe da specificare intanto che l’esistenza umana sulla terra è effettiva solo nella mente dell’uomo che la guarda, inteso un uomo dotato di ragione e volontà di esistenza. Per tutti gli altri che non sanno di poter-essere, la vita carnale stessa è un limbo che prelude ad un limbo senza fine al termine dell’esistenza.

Secondo molte tradizioni esoteriche infatti non tutti gli uomini sarebbero in possesso di un’anima[2], che rappresenterebbe un ‘premio’ quasi per i risvegliati e per coloro i quali riuscissero a andare al di là della propria essenza di essere finito. Le prove, i rischi e le fascinazioni che le culture antiche hanno avuto nei riguardi del trapasso sono state molte e diverse, ma sono da intendersi sempre per quanto riguarda i ‘risvegliati’ o per chi può ambire ad esserlo – forse nella prossima esistenza se di metempsicosi si può parlare.

Nella Grecia antica la credenza nella sopravvivenza dell’anima dopo la morte risale molto indietro nel tempo, come dimostrano le testimonianze di cibi, bevande e vesti e intrattenimenti presenti nelle tombe. Già in Omero è ben chiara la distinzione tra il corpo ed il fantasma. L’Iliade (3,278-279; 19,259) presenta la credenza che, alla morte, gli dei punissero o ricompensassero le anime. Si pensava che le anime dei vivi provenissero dalla riserva di anime contenute nell’Ade. Nonostante il grande patrimonio di idee, relative ai morti e agli inferi, proprie delle isole greche, sin dai tempi remoti di Omero gli scrittori greci non esitarono ad attingere liberamente ad altre tradizioni religiose e a fondere in una sintesi le idee importate e quelle indigene. La maggior parte di tali prestiti proveniva dall’Egitto, in particolare dal culto di Osiride e il Libro dei Morti, e da Micene. Da Creta e dal suo substrato di culti femminei e sotterranei essi attinsero l’idea di elysion (paradiso) e la figura di Radamante, uno dei tre giudici infernali, mentre da Micene proveniva l’idea che l’anima fosse pesata su di una bilancia.

Le più antiche descrizioni greche del viaggio intrapreso dall’anima dopo la morte per raggiungere gli inferi si trovano nell’Iliade (1,595; 3,279; 5,395-396; 15,187-188) e nell’Odissea (11). Al momento della morte, l’anima (psychè) si separa dal corpo, si trasforma in un fantasma (eidolon) che riproduce le fattezze dell’individuo e viene trasferita nell’Ade, in un’enorme caverna sotterranea (Odissea 11,204-222). Là le anime dei morti ‘si aggirano come ombre emettendo grida stridule, come di uccelli’. Questa tetra regione è l’antitesi del regno del sole ardente, un luogo dove si trovano soltanto i ‘freddi morti’ e una ‘regione senza gioia’. Le anime dei morti sono prive di coscienza e non sono in grado di comunicare con i vivi finché non abbiano bevuto una certa quantità di sangue, essenza di vita[3]. La vita dei morti è a quel punto moralmente neutra al punto che ogni distinzione relativa allo status sociale e all’appartenenza politica è cancellata, rendendo così anche un’esistenza infima e marginale nel mondo dei vivi di gran lunga preferibile alla posizione di sovrano dell’Ade (Odissea 11,487-491).

Nella cosmologia della Grecia antica, l’Ade si trova nell’oceano, costantemente avvolto da nubi e nebbie[4]. Là non vi è la luce del sole ma vi regna eternamente l’oscurità e un plumbeo cielo. Le ombre che lo abitano sono descritte come deboli ed estremamente melanconiche, sempre in cerca di liberarsi dalle sofferenze (per alcuni potrebbe essere un’immagine della vita sulla terra in questo secolo). Questi patimenti sono particolarmente acuti e dolorosi per coloro che non hanno ricevuto una appropriata sepoltura nella terra o non sono stati nutriti nel modo corretto con i rituali post-mortem e sacrificali. La natura terribile dei tormenti inflitti ai condannati è esemplificata dalla vicenda di Tantalo; immerso nell’acqua fino al mento, vede l’acqua evaporare misteriosamente tutte le volte che tenta di placare la sua sete. Come se ciò non bastasse, è anche circondato da alberi da frutto che sono carichi di dolci pomi, ma ogni volta che cerca di coglierli il vento li spinge lontano (Odissea 11,582-592). L’Ade è separato dal regno dei vivi da un insidioso corpo di acque formato da cinque fiumi, Il Lete, lo Stige, Flegetonte, Acheronte e il Cocito. A guardia dell’ingresso vi è il celeberrimo Cerbero, feroce cane con tre teste (anche se alcune versioni più antiche parlano di 500). Secondo Virgilio, Radamante presiede una corte che assegna in base alla natura dei peccati commessi in vita una serie di retribuzioni corporali, mentali e spirituali.

Sarà soltanto ai tempi di Platone che compare l’idea che i giusti verranno festeggiati con sontuosi banchetti e ghirlande sul capo, mentre i malvagi verranno calati in una fossa piena di fango dove saranno obbligati a trasportare acqua in un setaccio (Repubblica, 2,373). Secondo alcuni Platone avrebbe adottato credenze antiche riguardo al destino dell’anima e fornito interpretazioni in chiave morale e psicologica di leggende allegoriche, e tale interpretazione sarebbe suffragata dal fatto che nelle Leggi (904d) scrisse che l’Ade non è un luogo ma uno stato mentale[5], e che le implicazioni e credenze riguardo esso andrebbero viste in chiave simbolica.

Note

[1] Se di vita vogliamo parlare; sul discorso della sopravvivenza, si potrebbero aprire diversi scenari. Sarebbe auspicabile non sopravviversi, se ciò significa condurre una realtà larvale, di eco (quella che molti interpretano ‘fantasma’).

[2] Fino ai concili cristiani dei primi anni della nostra era, l’anima era solo una parte della tripartizione dell’uomo (corpo, spirito e anima) che corrisponde anche alla divisione egiziana e per alcuni aspetti anche a quella manicheista.

[3] Il riferimento alla figura del vampiro tardo-romantico di stockeriana memoria sarebbe troppo semplice, bisogna piuttosto pensare a esseri che precludono al raggiungimento del bene, degli anti-umani che se evocati creerebbero disastri e sconvolgimenti nelle vite degli evocanti.

[4] L’isola dei morti di Bocklin.

[5] Questo sempre riferito a quanto detto sopra; la sofferenza e lo stato di ‘pena eterna’ per molte creature è una realtà ancor prima materiale, poi spirituale.  La vita su questo mondo sarebbe già un confino rispetto alla luce degli astri.

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