Chi ha percorso l’Italia in questi mesi sarà stato colpito dalle tante feste e sagre che costellano la provincia e non soltanto la provincia. Qualche decennio fa sembravano destinate alla progressiva scomparsa poiché si sosteneva che il progresso tecnico e sociale con i suoi benefici, le avrebbe cancellate. Vi erano anche studiosi, come il marxista Ernesto De Martino, che erroneamente giudicavano quei riti sopravvivenze di un passato di ignoranza, di povertà e di stenti, prove di una disperazione e sintomi di una lotta fra classi subalterne e la Chiesa. Si è constatato invece che moltissime tradizioni sono rimaste vive; o sono state addirittura riproposte, dopo un periodo di eclissi, grazie all’interessamento di giovani studiosi, musicisti e cantanti locali. Non a caso si moltiplicano anche le guide a feste e devozioni popolari. In pochi mesi si sono pubblicate la Guida alle sagre e alle feste patronali. Oltre 1000 luoghi e tradizioni di Umberto Cordier (Piemme), che offre una sintetica descrizione della festa insieme con varie notizie pratiche; la Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità delle feste popolari in Italia di Mauro Limiti (Newton Compton) che ne propone una lettura più approfondita spiegandone l’origine storica o addirittura le radici precristiane, anche se talvolta il collegamento fra antico e moderno non è convincente. Per esempio collega la festa romagnola della Segavecchia, che Fellini sceneggiò in Amarcord, a un crudele eccidio di etruschi compiuto dai Romani nel 396, dopo la conquista di Veio. Ma la cerimonia romagnola simboleggia in realtà il rinnovamento annuale impersonato da una “vecchia” Madre Natura che, giunta alla fine dell’anno o dell’inverno decrepita, viene tagliata a pezzi e poi bruciata; e dal dal suo grembo escono frutta e dolci che simboleggiano i semi da cui rinascerà il nuovo anno nelle sembianze della giovinetta madre Natura, come ho spiegato nel mio Calendario (Rusconi) e nel Lunario (Mondadori). Alla decadenza delle tradizioni popolari contribuirono nei decenni scorsi anche certi parroci e vescovi che, male interpretando il Concilio Vaticano II, avevano cercato di dissuadere i fedeli dal celebrarle perché privilegiavano e volevano imporre una religiosità astratta e interiore, molto più accettabile dalla dominante cultura neoilluministica. Ma la religiosità popolare contiene valori, come ad esempio l’espressione spontanea di gioia, che tradizionalmente non hanno trovato spazio nella liturgia, e permette soprattutto un contatto con il sacro più facile. “Ci occorre sempre un simbolo concreto” scriveva Cristina Campo, “per afferrare un’idea così come si afferra un pezzo di pane”. E a sua volta padre Stefano De Fiores sottolinea nella devozione “la capacità di mettere in contatto col simbolo il sentimento dell’uno-tutto. L’individuo smarrito, a contatto col sacro, recupera un patrimonio ancestrale sepolto, che diventa attuale”. Per questo motivo la religiosità popolare ha resistito anche all’opera di demoralizzazione di certi ambienti della Chiesa che una volta si definivano “progressisti”.
Al mantenimento e alla rifioritura delle devozioni e tradizioni popolari ha contribuito infine un’istintiva reazione al processo di globalizzazione culturale che tende a uniformare usi e costumi e a vanificare l’identità dei popoli. Per questo motivo molte feste vedono da qualche tempo come organizzatori e protagonisti proprio i giovani. Sono anche vivi, anzi in straordinaria espansione i pellegrinaggi ai santuari così come le pratiche devozionali a santi protettori come testimonia ad esempio l’affluenza ininterrotta alle tombe alle tombe di padre Pio, di Gabriele dell’Addolorata o alla Casa di Loreto. Michael Walsh ha tentato di raccogliere e descrivere sinteticamente questo patrimonio di fede incarnata ne Il grande libro delle devozioni popolari (Piemme): purtroppo la sua trattazione è superficiale e anche confusa perché mescola la descrizione delle devozioni popolari ai simboli liturgici o a inni classici come il Veni creator; ed è inoltre costellata di inesattezze e di errori anche clamorosi. Ad esempio, quando, parla delle indulgenze, sostiene che cancellano il peccato mentre sappiamo bene che cancellano la pena. Più interessante e rigorosa è invece la Guida insolita ai misteri, alle leggende, alle feste e alle curiosità del sacro in Italia di Stefano Rizzelli e Roberta Marcucci (Newton Compton), che è un dizionario sui santuari e i luoghi dove sono avvenuti miracoli e apparizioni, e sulla devozione popolare che ne è nata.
Ma non tutto è oro quel che risplende sulle piazze italiane. Spesso alcune tradizioni si sono trasformate in puro spettacolo perché sono state stravolte o riproposte soltanto allo scopo di attirare turisti domenicali in cerca di evasioni “esotiche”, come ad esempio le ormai stancanti esibizioni in costume medievale che rievocano un episodietto storico avvenuto nel più sperduto paese dell’Umbria o del Lazio, o i palii che cercano di imitare pateticamente quelli più popolari. Vi sono poi feste e sagre che non hanno più senso perché si è sfaldata la civiltà contadina di una volta; sicché queste tradizioni si sono trasformate in reperti archeologici che divertono chi vuole evadere almeno per un giorno da quel grigiore metropolitano dove il tempo lineare tende a cancellare le feste. Sono invece ancora “popolari” e vitali quelle che, radicate in un tessuto sociale ancora tradizionale, vengono preparate e interpretate dalla popolazione con una partecipazione corale: così numerose che non è possibile citarle tutte. Si ricorderanno a titolo di esempio le Passate di Marta, in provincia di Viterbo, in onore della Madonna del Monte, o le processioni per sant’Agata, la parona di Catania.
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Tratto da Il Tempo.
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