2065: Finis Italiae

Potrebbe sembrare una variazione fantascientifica del famoso romanzo di Malaparte, ma non è così. Purtroppo, si dovrebbe aggiungere. E’ invece un serio studio statistico che proietta, in base a criteri statistici, le attuali tendenze della società italiana da qui a mezzo secolo. Lo ha elaborato l’ISTAT e reso noto il 26 aprile col titolo Il futuro demografico del Paese. Qualche passaggio nei telegiornali, qualche commento sui quotidiani, nemmeno tutti, ma non certo lo spazio e l’approfondimento che una analisi con risultati tanto clamorosi e drammatici avrebbe meritato. Certo, meglio chiudere gli occhi in nome del clima attuale: perché, trarre le conseguenze dallo studio scientifico dell’ISTAT, avrebbe voluto dire condannare la politica di oggi, e quindi meglio grondare retorica emotiva sui poveri immigrati che ragionare a mente fredda sulle future e inevitabili conseguenze di questo buonismo irrealista.

Cosa afferma l’ISTAT? I dati sono numerosi, con tanto di tabelle e grafici, ma il più clamoroso è che in Italia fra 50 anni la popolazione residente diminuirà di 7, dicasi 7, milioni di abitanti, passando dai 60,6 del 2015 ai 58,6 milioni nel 2045 e ai 53,7 nel 2065. Quindi continuerà il calo dei residenti sia per l’emigrazione all’estero soprattutto dei giovani e dei pensionati, sia per la diminuzione delle nascite almeno sino al 2045, in ciò non compensato né da un lieve aumento della fecondità (da 1,34 a 1,59 figli a coppia), né dalla natalità della popolazione di immigrati residenti. Le morti faranno sempre aggio sulle nascite che non le compenseranno, attestandosi sulle 422mila all’anno nel 2055-2065 dalle 470mila del 2016.

Inoltre, aumenterà l’aspettativa di vita (81 anni per gli uomini, 90 per le donne) e l’età media della popolazione nel complesso (da 44,7 a 50 anni). Una popolazione sempre più anziana, dunque, che si riscontrerà prevalentemente nel centro-sud nonostante un calo dei suoi abitanti (dal  34  attuale al 29 per cento), mentre il centro-nord li aumenterà (dal 66 al 71 per cento nel 2065). Il che sembrerebbe indicare che la maggior parte dei 7 milioni di italiani “perduti” riguarda il Mezzogiorno.

Il dato veramente drammatico e impressionante – evidentemente non per la classe politica e religiosa italiana – è però un altro: nel 2065 su una popolazione prevista di 53,7 milioni di persone vi saranno 19,7 milioni di immigrati residenti, in pratica un terzo:  due italiani autoctoni e un immigrato. Gli arrivi nel nostro Paese sono stimati in circa 300mila annui per poi calare sui 270mila, per un totale di 14,4 milioni di immigrati che sommati ai cinque milioni attualmente residenti portano alla cifra indicata.

Fra 50 anni “il Bel Paese dove il sì suona” non sarà più lo stesso, non sarà più quello che siamo abituati a conoscere almeno da un migliaio di anni, tutto sarà diverso e potranno verificarlo soltanto quelli che sono nati a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, non noi certamente, ma questo non ci esime dal preoccuparci, che è l’unica cosa che possiamo permetterci di fare, le decisioni essendo nelle mani di altri. Infatti, rebus sic stantibus, cioè se non cambieranno le tendenze socio-politiche in atto, l’Italia sarà quella tratteggiata dall’ISTAT, e nessuno realisticamente può pensare che le tendenze cambieranno a meno di una catastrofe di qualsiasi tipo essa sia, diciamo uno shock nazionale di qualsiasi genere ma talmente forte e profondo da ribaltare le mentalità e invertire quel che sembra un inevitabile corso degli eventi.

Noi che abbiano vissuto gli anni Sessanta possiamo renderci conto come l’Italia sia cambiata nell’oltre mezzo secolo che abbiamo alle spalle, non ci saremmo mai immaginati certi cambiamenti sul piano sociale, morale, tecnologico che hanno modificato la nostra vita quotidiana (la politica invece nella sostanza non è cambiata di una virgola), quindi non è facile pensare a come sarà la vita del 2065, ma volendo essere realistici si può dire che l’Italia come popolo con certe sue caratteristiche non ci sarà più, anche se forse rimarrà una “nazione italiana”. Il motivo è semplice e lo hanno indicato già in molti ben prima della indagine ISTAT: stiano man mano perdendo, e forse abbiamo già perso, il senso della nostra identità, della nostra comunità. Mentre in altri Paesi esso è ancora forte, a noi non frega più nulla. Mi riferisco non solo alla classe politica ma proprio alla gente comune che alle nostre caratteristiche, alle nostre tradizioni, alla nostra cultura e addirittura alla nostra religione non fa più alcun caso e cede di fronte alla demagogia aggressiva di politici, intellettuali, giornalisti,  addirittura preti. E non parliamo della nostra storia che ufficialmente  inizia solo nel 1945…

Un terzo di stranieri regolari in Italia vuol dire stravolgere la nostra identità nazionale in un quadro socio-culturale in cui nessuno la vuole difendere se non gruppi sparuti. Di questi quasi venti milioni previsti nel 2065 ovviamente non tutti avranno una cittadinanza italiana che peraltro si moltiplicherà se verrà approvato il demenziale jus soli  che vorrebbe introdurre il PD (è automaticamente cittadino italiano chiunque nasce sul suolo italiano di qualunque provenienza esso sia). E cittadini italiani senza aver assimilato la nostra cultura e i nostri valori lo sarebbero solo di nome e non di fatto. Costoro quindi si potranno organizzare anche in un partito politico che avrà una rappresentanza in Parlamento. Gli unici in grado di poterlo fare sono i musulmani che hanno una ferrea identità religiosa e culturale: la nascita di un partito islamico non è una pura fantasia e già sono usciti negli anni scorsi tre romanzi di Pierfrancesco Prosperi presso Bietti che descrivono una Italia simile (La moschea di san Marco, 2007; La casa dell’Islam, 2009; La terza moschea, 2015). Non si fa un partito dei romeni in Italia, anche se attualmente sono la comunità straniera più numerosa con 1 milione e 250mila presenti, ma uno islamico mutinazionale che si basa sulla religione e difende le sue innumerevoli richieste specifiche, questo sì.

Inoltre, non si dimentichi che prima il ministro Alfano ex democristiano e ora il ministro Minniti ex comunista caldeggiano l’“accoglienza diffusa”. Vale a dire i migranti non chiusi in centri speciali, ma accolti da tutti, sparpagliati nei nostri borghi, paesi, cittadine e metropoli in proporzione ai loro abitanti. Una misura (non si sa ancora se obbligatoria o facoltativa) che insedierebbe in ogni angolo d’Italia nuclei di profughi, in genere famiglie, alcuni dei quali di passaggio verso il Nord Europa, ma molti altri no, che diverrebbero stanziali e creerebbero comunità piccole e grandi per ogni dove. Un primo passo verso quei quasi venti milioni fra mezzo secolo.

Un popolo che dimentica e nega di fatto le sue tradizioni è destinato a scomparire sia fisicamente che culturalmente, disciolto in un pappa indistinta. Dopo l’ultimo dato sul calo delle nascite nel 2016 uno psicologo intervistato al TG2 ha detto suppergiù: Qui non si tratta tanto e solo di disagio economico che impedisce agli italiani di fare figli, altrimenti non si spiegherebbe come mai le famiglie degli immigrati che si trovano in situazioni precarie come e peggio delle nostre facciano due o tre figli. Qui si tratta di non avere più il senso della propria identità nazionale. E così è. Proiettata nel futuro questa carenza, che si accentuerà sempre di più, concorrerà anch’essa ai risultati previsti dall’ISTAT.

Certi dati fanno venire in mente quella Operazione Sostituzione evocata da alcuni scrittori francesi per cercare di spiegarsi tanto entusiasmo da parte di alcuni ambienti per il continuo arrivo non regolato di immigrati africani e mediorientali. Come se si volesse appunto “sostituire” la popolazione della smidollata Europa con quella di altra provenienza. Pare assurdo, ma il dubbio rimane. Anche di recente il “sultano” Erdogan ha evocato la famosa frase attribuita a Ben Bella secondo cui non è con le armi ma con il ventre delle loro donne che i musulmani ci conquisteranno. Ma non mi fossilizzerei sull’aspetto islamico, in quanto il più appariscente, dato che esiste quello generale di una immigrazione clandestina non solo incontrollata ma non palese.

Dei cinesi qualcuno si preoccupa? No, dato che ufficialmente sono poco più di 200mila, e perché operano sottotraccia e non sembrano dare troppi problemi e i panni sporchi se li lavano in famiglia, ma con la loro etica familistica e lavorativa sotto certi aspetti ci faranno le scarpe: basta vedere come e quanto aprono negozi e conquistano spazi, spesso interi quartieri di città senza clamori, e quanto i loro figli sono bravi e svegli nelle nostre scuole. Non hanno Allah dalla loro parte, ma Confucio.

La decadenza italiana è colpa nostra e dei governanti che hanno imposto scelte folli e scellerate. Basti pensare a quella scolastica che ci ha ridotto agli ultimi gradini europei (qui si parla del complesso e non delle eccellenze dei singoli). La scelta ministeriale è quella di rendere sempre tutto più facile ed elementare, come ha denunciato Ernesto Galli  della Loggia. Tutti promossi, niente esami, materie semplificate, nessuna selezione, nessuna meritocrazia, ammessi anche con la media del 5, niente compiti a casa. Ovviamente che i nostri ragazzi nel futuro verranno messi sotto da chi si dà da fare e non perde cinque o sei ore al giorno immerso nella rete digitale, non ci dovrebbe meravigliare. E questo è solo un piccolo esempio dei molti motivi del nostro progressivo degrado.

Ecco perché questo studio statistico invece di essere analizzato e discusso a fondo dopo ventiquattro ore è stato dimenticato. Fa comodo così. Doveva essere il contrario, ma se lo si fosse fatto avrebbe significato mettere in discussione lo status quo e a nessuno di Lorsignori interessava farlo perché sarebbero stati costretti a trarne le conseguenze e invertire la tendenza.

La Storia giudicherà questi loschi personaggi, questi cialtroni della vita. Ma quale storia di quale domani? Quella di una Italia Kaputt?

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Originariamente pubblicato su Il Borghese.

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Giornalista, vicedirettore della cultura per il giornale radio RAI, saggista ed esperto di letteratura fantastica, curatore di libri, collane editoriali, riviste, case editrici. E' stato per molti anni presidente, e successivamente segretario, della Fondazione Julius Evola.

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