L’origine nordica della Tradizione: Omero nel Baltico

Felice Vinci, Omero nel Baltico“In realtà né Schliemann né tutte le successive ricerche, anche a Micene, a Tirinto e nel Pilo sabbioso, sono in questione, una volta accettata l’idea che, cambiata la situazione climatica nelle terre del Baltico, le popolazioni che fuggirono verso il sud in cerca di climi migliori, si portarono naturalmente dietro, come la loro lingua, le loro tradizioni e saghe e leggende e le situarono nella nuova terra, anche se la conformazione geografica era molto diversa”. Con queste parole Rosa Calzecchi Onesti, assai nota studiosa di materie classiche (sue sono, tra l’altro, celebri traduzioni di Iliade e Odissea edite da Einaudi) introduce il magistrale e davvero rivoluzionario studio di Felice Vinci Omero nel Baltico(Fratelli Palombi Editore), un volume che è giunto in assai breve tempo alla sua terza edizione.

Sulla scia dell’intuizione fornita dal mito già all’inizio di questo secolo un brahmino indiano aveva svelato su basi astronomico-matematiche, dunque “scientifiche” anche per i moderni, quella che aveva definito in un saggio estremamente significativo come la Artic Home of the Vedas, la dimora artica dei Veda, ossia di quel complesso di testi che notoriamente costituiscono il fondamento mitico e religioso dell’India aria. Tale saggio esercitò poi una notevole influenza su René Guénon, padre del tradizionalismo integrale, e per il tramite di Guénon venne conosciuto da Julius Evola, filosofo e pensatore “simbolo” del pensiero tradizionalista italiano ed europeo, che di Tilak e della tesi da questi sostenuta parlò anche nella sua opera principale, Rivolta contro il mondo moderno (1934). Guénon si soffermò ampiamente sulla origine iperborea della Tradizione Primordiale, fondando sul mito la sua ricerca, oltre che sulle tesi di un significativo personaggio legato all’esoterismo sette-ottocentesco, il Fabre d’Olivet. Ma, d’altronde, le tesi di Fabre d’Olivet e di Tilak non costituivano che un tassello di un ben più ampio mosaico: nel pensiero di Evola già confluivano infatti molte e diverse concezioni che sul tema dell’origine nordico-polare della Tradizione, o almeno della tradizione indoeuropea, avevano visto giusto. Di là da alcune posizioni piuttosto curiose, una simile intuizione è presente nell’opera di Hermann Wirth Der Aufgang der Menschheit (Jena 1928); l’indoeuropeistica, in specie del secolo scorso, (allora definita anche arianistica o indogermanistica) aveva influenzato ampiamente, a sua volta, simili vedute. Lavori e studî non solo in ramo filologico e linguistico (Schlegel, Bopp, Rask, etc.), quanto sul panorama razziale e delle migrazioni nell’antica Europa andavano moltiplicandosi sin dal Settecento (dal conte de Gobineau a Chamberlain, Vacher de Lapouge, Clauss, etc.). Tale influenza si trasmise ampiamente agli studî classici, sino al nostro secolo (si pensi a grandissimi del calibro dell’Altheim, o del Piganiol).

L’indoeuropeistica della seconda metà di questo secolo, seppur spesso allontanandosi per ragioni di ostilità preconcetta (valutando aprioristicamente il “mito nordico” come criptonazista) dalla tesi dell’origine nordica ha svolto concetti che al contrario si rivelano utili come materiale su cui ricostruire le tesi che il secondo conflitto mondiale pare avere “bandito” dagli studî accademici (oggi parlare di origine extra-africana della civiltà umana — o ancor più negare i dogmi evoluzionisti — risulta spesso più pericoloso che sostenere ardite tesi politiche). Ma i lavori e gli spunti ciò non ostante non mancano: un esempio assai significativo è quello degli studî iranistici del prof. Onorato Bucci, che ricollegano il mito dell’Ajrianem Vaejo dei testi sacri dell’antica Persia (in primis l’Avesta) alla sede di origine nordica. E tra le altre, appunto, va segnalata l’innovativa e rivoluzionaria tesi di Omero nel Baltico.

Le indagini hanno preso avvio da una attenta lettura di Plutarco: lo scrittore di Cheronea afferma, nel De Facie quae in orbis lunae apparet (nella trad. di Adelphi è Il volto della luna), che l’isola di Ogigia, la dimora della dèa Calipso presso la quale lungamente dimora Ulisse, si trovi nel Oceano Atlantico settentrionale, a cinque giorni di navigazione dalla Britannia. Da questa sorprendente affermazione tali e tante sono le concordanze e i precisi riscontri, nei dominî accennati, che lo studioso ha trovato, da riempire di dati e considerazioni il suo testo che conta quasi cinquecento pagine.

Sulla base di precisi e concordanti riscontri testuali, toponomastici, climatici, storici, mitici, linguistici ed appoggiandosi ad alcune tesi di studiosi e accademici (per esempio a quelle del Finley de Il mondo di Odisseo o a quelle del Nilsson, sull’origine nordica dei Micenei), Felice Vinci propone una collocazione nordico-baltica delle vicende narrate nell’Iliade e nell’Odissea, oltre che di alcuni miti greci. Il retaggio ancestrale, a suo avviso, sarebbe poi stato portato e trasferito nello scenario mediterraneo sulla base di una reiterazione storica del mito, con alcuni (più o meno marginali) adattamenti: e la migrazione, della quale anche il mito serba ricordo, sarebbe da ricollegarsi a una variazione dell’optimum climatico, dovuto al movimento di rotazione dell’asse terrestre e al conseguente mutamento della temperatura media del continente: le regioni nordiche avrebbero subito un irrigidimento climatico (che parebbe recentemente peraltro provato anche da alcuni studî di botanica).

A quanti alla tesi dell’origine nordica attribuiscono un valore non semplicemente storico ma radicale, assiale, metastorico, questo importante contributo di Felice Vinci risulterà certamente essenziale.

* * *

UN ALTRO STUDIO SULL’OPERA DI FELICE VINCI

Condividi:
Segui Alberto Lombardo:
Alberto Lombardo è stato tra i fondatori del Centro Studi La Runa e ha curato negli anni passati la pubblicazione di Algiza e dei libri pubblicati dall'associazione. Attualmente aggiorna il blog Huginn e Muninn, sul quale è pubblicata una sua più ampia scheda di presentazione.
Ultimi messaggi

8 Responses

  1. […] uno scritto intitolato L’Origine nordica della Tradizione: Omero nel Baltico a firma di Alberto Lombardo, ecco cosa si […]

  2. […] Ma dove si è svolta l’Odissea? Posted on 19/03/2010 by claudio6 Giorni fa leggevo un romanzo di Clive Cussler che, tutti sappiamo , trascura regolarmente i fatti reali per rendere più avvincenti i suoi lavori ,e mi sono visto citare una teoria, con tanto di nome del creatore, nella quale si asseriva che Iliade ed Odissea non si sono svolti nel contesto Mediterraneo ma altresì nell’Atlantico ed addirittura nei Mari Baltici. Certo che fosse una invenzione dell’autore ho consultato internet ed ho scoperto che vi sono parecchie teorie non solo attuali ma anche molto datate nel tempo che trovano riscontro nel contesto climatico e geografico abbastanza congeniale. Non so quanto siano attendibili, diciamo che è un mini Kolosimo, comunque sono letture interessanti, e se siete stati nell’Egeo come me, alcuni fattori climatici sono a favore di queste teorie. Se volete saperne di più https://www.centrostudilaruna.it/vinci.html […]

  3. Daniele Ventre
    | Rispondi

    Alle discussioni su Omero nel Baltico mi sono dedicato su questo sito e altrove, confutando in tronco le idee pseudoarcheologiche di Felice Vinci.

    Quello che ho scritto in merito si trova nella postfazione della mia traduzione dell'Iliade in esametri italiani, uscita nel 2010 e premiata nel 2011 dalla Fondazione Achille Marazza, la stessa che ha premiato Guido Ceronetti nel 2009 e nel 2007 da Giovanni Giudici. Questo credo sia garanzia di qualità dell'opera.

    Il link tramite cui verificare quanto affermo è il seguente.
    http://www.fondazionemarazza.it/web/media/press/c

    Quanto a Vinci, l'insostenibilità delle sue tesi non è questione di rifiuti ideologici preconcetti o di accuse di criptonazismo, ma di dati scientifici obbiettivi, che andrebbero controllati un po' meglio. Fra l'altro, preso com'è dalle sue fantasie norrene mal connesse, Vinci oblitera totalmente la questione della comune origine indoeuropea di figure eroiche come quella di Achille -un argomento quest'ultimo ben illustrato da un libro di Bernard Sergent (I Celti e i Greci, il libro degli eroi) da voi pure recensito su questo spazio.

  4. Musashi
    | Rispondi

    Ah ecco! il problema il cripronazismo!

    Meno male che qualcuno finalmente lo tira apertamente fuori e la ringrazio.
    Vede dottor Ventre,
    nessuno mette in dubbio la qualità della sua opera letteraria.
    ma la bellezza poetica nulla a che vedere con l'archeologia.

    Le ricordo comunque che vi è un'altra grande filologa, autrice di una traduzione se non altro più famosa della sua – visto che secondo lei l'essere traduttori di Omero è titolo di credito- mi riferisco a Rosa Calzecchi Onesti che invece ha più volte ammesso pubblicamente la'assoluta plausibilità storica delle tesi di Vinci.
    Del resto i greci, gli Ario-greci vengono dal Nord…

    ma il problema è che poi dopo bisogna ammettere l'esistenza di una Urheimat inoeuropea, un aryamen-vahejo, e questo non piace vero?

    Il problema è il "criptonazismo", meno male che qualcuno ha il coraggio di dirlo.
    I dati scientifici che andrebbero controllati un po' meglio?
    Bè alcuni la pensano come lei, altri studiosi, geologi, antropologi, filologi e archeologi cominciano (pur con la cautela che il mondo accademico richiede) ad ammettere le tesi di Vinci.
    Si tenga presente che nel mondo accademico l'ostracismo verso il nuovo o il politicamente scorretto è all'ordine del giorno…
    Lo sapeva bene Filippani-Ronconi, e lo so bene anche io, devo nascondermi dietro uno pseudonimo.

    E rammento che anche Schliemann prima del ritrovamento della" Troia" mediterranea fu visto come un parvenu dal mondo accademico….

  5. Alberto
    | Rispondi

    Non ho le basi per giudicare l'opera di Felice Vinci, ma avendo iniziato da poco a studiare il greco ho appreso che i Greci per un certo periodo non hanno avuto una parola per definire il mare, e questo sembrerebbe contrastare con la tesi dell'origine baltica (che pure spiegherebbe altre questioni, comunque).

  6. Musashi
    | Rispondi

    Tuttavia il fatto che il greco non avesse un parola per mare (cosa peraltro discussa e discutibile e degna di una seria considerazione che qui non si può se non solo accennare), costituirebbe però un ben maggiore scoglio anche per l'origine "mediterranea" della popolazione greca e del racconto omerico.

    Se i greci combatterono sotto le mura di Troia sulla costa della Turchia erano un popolo che il mare avrebbero dovuto vederlo e chiamarlo in qualche modo, no?
    non credo che questa osservazione sia dirimente: sia il contesto mediterraneo che quello baltico sono scenari bellici "anfibi".

    Si potrebbe supporre che la parola per mare "thalassa" in greco sia effettivamente derivata dalla componente pre-aria o pelasgica del mondo dell' Ellade, sostituendo eventuali altri termini precedenti.
    In effetti conosciamo così poco delle lingue micenee e di quelle pre-micenee che nulla possiamo inferire al riguardo.

    Del resto la tesi che i Micenei o i Dori avessero dovuto sopperire ad una mancanza della loro lingua per la parola "mare" è tesi vetusta che sa di "razzismo al contrario" verso i popoli indo-ari.
    Anzitutto è ben strano supporre questa carenza non solo linguistica ma umana, antropologica e tecnologica in una serie di popolazioni (acheo-doriche) le quali però, guarda caso, riuscirono in brevissimo tempo a diventare abili navigatori e a soppiantare la talassocrazia di civiltà ben più "marinare" (secondo la tesi corrente) quali quella minoica o la pelasgica "Troia"…

    E sarebbe ugualmente strano che fra tutti i popoli indoeuropei (dai celti ai germani, dai parsi agli ariani dei "veda") tutti conoscitori del mare, dell'esistenza dell'elemento marino, proprio gli ario-dori fossero all'oscuro dell'esistenza delle distese marine (e venissero pertanto da un 'entroterra remoto, fatto non impossibile ma assai improbabile specie se si ammette un'origine comune o almeno di "prossimità" fra i popoli suddetti).
    In sanscrito ad esempio "mare" è मीरा (pron. meera), di cui è palese la consonanza col latino "mare". Ugualmente i galli e i celti il mare lo chiamavano "mor". Essendo il sanscrito una lingua indoeuropea del "satem" (ramo "orientale") mentre il latino o il celtico lo sono del "kentom", è anzi altamente probabile che i popoli indoeuropei tutti venissero da una sede (nordica?) di sicuro prossima al mare o ad un oceano, e si servissero di una radice comune per definirlo.
    Poi vi è un discostarsi dalla radice comune.
    Il greco prese la parola, forse pelasgica, thalassa, ma potrei dire che anche il protogermanico prese quella alternativa di "see" che è differente dal comune proto-indoeuropeo.
    Influssi esogeni? probabile.
    Ma nessuno si sogna di dire che i Germani non conobbero il mare prima che qualche popolo forse non indoeuropeo insegnasse loro a dire "see". E del resto la localizzazione delle popolazioni germaniche nel corso della loro storia (origine scandinava mai contestata) non lascia dubbi al riguardo sulla profonda promiscuità dei popoli germanici con l'elemento marino….Nessuno lo contesta anche se poi i Germani hanno abbandonato la comune radice indoeuropea per "mare", che invece conservarono i latini, i celti, e gli indo-iranici. Semplice differenziazione lessicale.
    Chissà perchè dunque solo gli xanthoi achaioi di Omero, i Biondi Achei, non avrebbero dovuto conoscere il mare come i loro fratelli (o cugini) germani?
    E' un'argomentazione che francamente non regge.

  7. Musashi
    | Rispondi

    Salve Alberto avevo inserito delle riflessioni sulla tua osservazione, mi sa però che si sono perse..

  8. Andrea Ricci
    | Rispondi

    Ho assistito sabato 6 luglio a Gaeta alla presentazione del libro di Felice Vinci, da semplice curioso. Una tesi affascinante, spiegata con abilita’ oratoria, con dimostrazione di cultura e di passione per la ricerca, e con una infinita’ di riscontri; veramente convincente. Al momento delle domande del pubblico ho chiesto a Vinci, senza alcun intento polemico, su quali aspetti si appuntassero le critiche alla sua teoria. Vinci ha risposto con chiarezza e rispetto: un altro punto a favore della persona e del suo lavoro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *