Unus Deus. Giuliano e il monoteismo solare

Richiesto di abbozzare un “ritratto” dell’Imperatore Giuliano, il teologo Sergio Quinzio fece ricorso ad una inedita e provocatoria analogia: paragonò infatti l’”Apostata” a Giovanni Paolo II, individuando nell’azione di entrambi il disperato tentativo di tenere in vita una religione ormai condannata a tramontare. “Se Giuliano mi avesse interpellato circa la possibilità della rifondazione della civiltà pagana, – scriveva il teologo – avrei dato la stessa risposta negativa che darei oggi se il Papa mi interpellasse circa la possibilità della rifondazione della civiltà cristiana” (1). Non solo: “proprio lo sforzo di restaurazione compiuto dal giovane imperatore contribuì allora a far definitivamente precipitare il paganesimo. E la cosa mi sembra puntualmente ripetersi, per quel tanto che nella storia si danno puntuali ripetizioni” (2).

Un parallelo altrettanto originale è stato prospettato da Jacques Fontaine, docente di lingua e letteratura tardolatina della Sorbona, nella conversazione con un giornalista che gli suggeriva un raffronto tra Giuliano e altri protagonisti della storia “con progetti abbastanza simili” (sic!) quali Hitler o Stalin. “Io – rispose Fontaine – lo affiancherei meglio, se si volesse, a Khomeini. Per il fanatismo, per il sentirsi investito da un ruolo divino, per il fatto di considerarsi un dio. E poi per la cultura. Per la violenza, il settarismo. Di Giuliano abbiamo descrizioni fisiche molto precise. Una, di Ammiano di Antiochia (la barba a punta, gli occhi magnetici, la figura ieratica), lo fa davvero molto assomigliare, anche nei tratti, all’ayatollah iraniano” (3).

La galleria dei personaggi storici ai quali Giuliano è stato paragonato nel passato viene così ad arricchirsi. Non sappiamo che cosa ne avrebbe pensato Stalin. Da parte sua, Hitler avrebbe probabilmente gradito l’accostamento, lui che più volte ebbe a manifestare la propria ammirazione per il grande “Apostata” (4).

Quanto a Khomeini, lasciando da parte le abusate banalità sul “fanatismo” e l’assurdità del “considerarsi un dio” (!), un discorso un po’ meno dozzinale avrebbe potuto considerare il carattere teocratico comune sia al progetto dell’Augusto sia a quello dell’Imam, per cui un riferimento all’azione restauratrice del monoteismo islamico avrebbe potuto attualizzare, se proprio era necessario farlo, il tentativo giulianeo di instaurare quello che qualcuno ha chiamato un “monoteismo di Stato” (5). Né tale operazione sarebbe stata scientificamente abusiva, dato che la parentela ideale fra la teologia solare antica e l’Islam è stata autorevolmente indicata da uno studioso del calibro di Franz Altheim, secondo il quale “i Neoplatonici (…) erano anche i battistrada di Maometto e del suo odio appassionato contro tutte le fedi che attribuivano a Dio un ‘compagno'” (6), mentre un celebre studio di Henry Corbin sulla dottrina dell’unità divina (tawhîd) nell’Islam sciita si apre con un richiamo alla letteratura fiorita negli anni Venti del Novecento intorno al “dramma religioso dell’Imperatore Giuliano” (7).

Eppure, è stato proprio Jacques Fontaine a riproporre, in rapporto alla religione che Giuliano officiò come pontifex maximus (8), il concetto di “monoteismo solare”, al quale hanno fatto frequentemente ricorso quanti hanno indagato le manifestazioni religiose dell’età imperiale. Secondo lo studioso francese, infatti, la forma che la tradizione greco-romana assume all’epoca di Giuliano è quella di “una sintesi di tutte le religioni e le teologie pagane, sotto il segno del monoteismo solare” (9); ovvero, se si preferisce il sinonimo usato da altri studiosi, di un ”enoteismo solare” definibile nei termini seguenti: “Giuliano vuole dimostrare a tutti che il dio Helios è l’unico, vero dio e che le numerose divinità romane altro non sono che ipostasi, ossia aspetti particolari, manifestazioni specifiche e settoriali dell’unica, suprema divinità solare” (10).

ALLA MADRE DEGLI DEI Monoteista o enoteista, la dottrina difesa da Giuliano è sintetizzata da diverse epigrafi coeve che proclamano l’unicità di Dio, nonché l’unità e unicità del potere imperiale (11); epigrafi che secondo Spengler possono essere tradotte solo così: “Vi è un solo Dio e Giuliano è il suo profeta” (12). La ricorrenza di questo tema, che “ha un’importanza centrale nella concezione politica di Giuliano” (13), ha indotto la Athanassiadi-Fowden a parlare addirittura di “ossessione per l’unità” (14) e a dare risalto al fatto che “Giuliano non abbia neanche concepito la possibilità di condividere il potere con un associato, ma si sia invece considerato l’unico vicario di Dio sulla terra” (15). Tale concezione politica trova la sua formulazione più antica in Omero, il quale fa dire a Odisseo: “Non è un bene la pluralità dei capi, uno solo sia capo” (16); Seneca espone lo stesso principio per l’Impero romano, dicendo che “è stata la natura a plasmare il Re” (17); e Filone Alessandrino aggiunge un corollario che stabilisce l’analogia tra politeismo e democrazia: “Dio è uno solo, e ciò contro i fautori dell’opinione politeistica, i quali non si vergognano di trasferire dalla terra al cielo la democrazia, che è la peggiore tra le cattive istituzioni” (18).

In fatto di “monoteismo solare”, Giuliano non inventò nulla, ma si limitò a perfezionare un processo di definizione teologica che era già in atto da tempo e che Franz Altheim riassume nei termini seguenti: “La storia dell’antico dio del sole, considerata a grandi linee, è quella di un progressivo raffinamento. Il culto, di origine beduina, si stabilisce in una città della Siria. Per la sua singolarità e la sua assolutezza mette a rumore il mondo occidentale, ne provoca la più appassionata ripulsa. Ma la sua rappresentazione letteraria, la filosofia neoplatonica, e, non ultima, la capacità assimilatrice della religione romana e della concezione romana dello stato, compiono il miracolo: dalla divinità di Elagabalo (218-222 d. C.), inquinata dalle orge e dalla superstizione orientale, nasce il più puro degli dèi, destinato ad unificare ancora una volta la religiosità antica” (19). Nel 274 d. C., sotto Aureliano, il monoteismo solare diventò la religione ufficiale dell’Impero Romano e il Sol Invictus venne riconosciuto come la divinità suprema: a Roma sorse uno splendido tempio dedicato al Sole, in onore del quale furono istituite feste periodiche, mentre venne creato un collegio di pontefici del dio Sole e si coniarono numerose monete con iscrizioni e simboli solari. In tal modo “il ‘monoteismo’, a cui il sincretismo severiano aveva indirizzato il paganesimo romano, trovò nel culto solare propugnato da Aureliano la sua affermazione più decisa ed efficace” (20), tant’è vero che nel muro dell’intransigenza cristiana si dovette registrare qualche fessura (21). All’epoca di Costantino acquisirono una considerevole importanza “le immagini monoteizzanti della religione di Helios: l’Apollo solare ed il Sol Invictus risaltano nei rilievi dell’arco di trionfo e nelle monete dell’epoca” (22). Mentre le figure degli dèi scomparivano pian piano dalle monete di Costantino, il dio solare s’imponeva sempre di più: “Sol Invictus (…) sopravvive anche più a lungo in tutto il territorio controllato da Costantino e in tutte le sue zecche (…) sembra che l’imperatore di persona avesse per il dio Sole una profonda devozione” (23). Nella burocrazia e nell’esercito, la religione solare aveva la sua massima diffusione: “il Sol Invictus e la Victoria erano gli dei militares dell’esercito di Costantino; altrettanto favore aveva la divinità solare nelle legioni di Licinio” (24).

G. Vidal, Giuliano Considerata in un quadro storico, la formulazione giulianea della teologia solare si colloca in una fase matura del neoplatonismo, nella quale i cardini dottrinali di questo movimento spirituale si trovano già definitivamente fissati e consolidati. Se il fondatore della scuola, Plotino (204-270), aveva riconosciuto nell’Uno il principio dell’essere ed il centro della possibilità universale, il suo successore Porfirio di Tiro (233-305) aveva fatto del neoplatonismo una sorta di “religione del Libro” (25); autore di uno scritto Sul Sole (26), Porfirio aveva dedicato alla teologia solare un trattato di cui sussistono importanti frammenti nei Saturnali di Macrobio (27). “Nella sua trattazione Porfirio non fa altro che applicare la metafisica platonica – che riconduce all’Uno ogni aspetto del cosmo – alle divinità più importanti del pantheon classico, rivelando come esse non siano altro che attribuzioni particolari dell’Unico, che dal punto di vista teologico viene a determinarsi come Sole, in quanto quell’’essenza’ spirituale sul piano cosmico si ‘appoggia’ all’astro del giorno (…) in quanto Apollo egli è splendore, salute e lucentezza (…) in quanto Mercurio poi, egli ‘presiede al linguaggio’ (Saturn., I, XVIII, 70), cosicché ogni attività viene ricondotta ad una presenza divina – ‘solare’” (28). Ma fu l’erede di Porfirio, il “divino Giamblico” (250-330), colui che con la sua dottrina “convertì (…) l’ultimo imperatore pagano alla sua eliolatria trascendente” (29). Dopo Giuliano, è possibile seguire la tradizione “solare” fino a Proclo (410-485), autore fra l’altro di un Inno a Helios (30), nonché al suo contemporaneo Marziano Capella, che con l’inno-preghiera di Filologia al Sole (De nuptiis, II, 185-193) ci ha lasciato un “documento notevole della ‘teologia solare’ del tardo neoplatonismo” (31), anzi, “l’ultima attestazione del sincretismo solare in Occidente” (32); infatti verso il 531, con la fuga in Persia dello Scolarca Damascio (470-544) e degli altri neoplatonici, la tradizione “solare” abbandonerà il mondo cristiano e continuerà la propria esistenza negli stessi luoghi dai quali si era irradiato, diffondendosi in tutta l’Europa, il culto di Mithra.

Note

(1) S. Quinzio, Come l’Apostata anche Wojtyla combatte contro il tempo in nome dell’antica religione, in Il Manifesto, 13 agosto 1992, p. 13.

(2) Ibidem.

(3) Imperatore e khomeinista, intervista con Jacques Fontaine di Sandro Ottolenghi, in Panorama, 7 giugno 1987, p. 143.

(4) A. Hitler, Idee sul destino del mondo, Edizioni di Ar, Padova 1980, I, pp. 68, 78, 223.

(5) G. Ricciotti, L’imperatore Giuliano l’Apostata, Mondadori, Milano 1962, p. 275.

(6) F. Altheim, Dall’antichità al Medioevo. Il volto della sera e del mattino, Sansoni, Firenze 1961, pp. 14-15. Cfr. F. Altheim, Storia della religione romana, Settimo Sigillo, Roma 1996, p. 237: “La rivelazione di Maometto si basava sull’idea di unità, sul principio che Dio non aveva ‘compagni’, e la lotta contro il [sic] shirk è rimasta uno dei pilastri fondamentali dell’Islam. Non diversamente si presentano le cose per i vicini e precursori neoplatonici e monofisiti, anche se la passione religiosa di Maometto diede un carattere più forte ai loro sentimenti ed alle loro aspirazioni”. Ma soprattutto si veda, di F. Altheim, Il dio invitto. Cristianesimo e culti solari, Feltrinelli, Milano 1960, dove la relazione fra teologia solare e Islam viene collocata sullo sfondo del progressivo affermarsi del monoteismo solare nella tarda antichità. (L’editore Feltrinelli non ha mai più ripubblicato questo studio di Altheim. Non sarà, per caso, per il fatto che Altheim fu politicamente scorrettissimo, essendo stato SS nel Terzo Reich e nazionalcomunista nella Germania Est?).

(7) H. Corbin, Il paradosso del monoteismo, Marietti, Casale Monferrato 1986, p. 3.

(8) J. Fontaine, Introduzione a: Giuliano Imperatore, Alla Madre degli dèi e altri discorsi, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, Milano 1990, p. lv.

(9) J. Fontaine, ibidem.

(10) S. Arcella, I Misteri del Sole. Il culto di Mitra nell’Italia antica, Controcorrente, Napoli 2002, p. 183.

(11) “Uno è Dio, uno è Giuliano basileus”, “Uno è Dio, uno è Giuliano Augusto”. Cfr. E. Peterson, HEIS THEOS. Epigraphische, formgeschichtliche und religionsgeschichtliche Untersuchungen, Vandenhoeck und Ruprecht, Göttingen 1926, pp. 270-273.

(12) Oswald Spengler, Il tramonto dell’Occidente, Longanesi, Milano 1957, p. 970.

(13) Augusto Guida, Un anonimo panegirico per l’Imperatore Giuliano, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1990, p. 127.

(14) Polymnia Athanassiadi-Fowden, L’Imperatore Giuliano, Rizzoli, Milano 1984, p. 205.

(15) P. Athanassiadi-Fowden, op. cit., p. 206.

(16) Omero, Iliade, II, 204.

(17) Seneca, De clementia, 1, 19, 2.

(18) Filone, Creazione del mondo, 171 (Filone di Alessandria, La creazione del mondo. Le allegorie delle leggi, Rusconi, Milano 1978, p. 146).

(19) Franz Altheim, Il dio invitto, cit., pp. 11-12.

(20) Marta Sordi, Il cristianesimo e Roma, Cappelli, Bologna 1965, p. 328.

(21) Nel 307, ad Alessandria, un cristiano compare davanti al funzionario imperiale. Rifiuta di sacrificare perché, dice, secondo le Sacre Scritture chi sacrifica agli dèi sarà sterminato, a meno che non si tratti del Dio Sole. E il rappresentante dell’imperatore gli risponde: ‘Immola dunque al Dio Sole’” (Louis Homo, Les empereurs romains et le christianisme, Les Belles Lettres, Paris 1931, p. 112).

(22) Lucio De Giovanni, Costantino e il mondo pagano, Associazione di Studi Tardoantichi, Napoli 1972, p. 19.

(23) Andreas Alföldi, Costantino tra paganesimo e cristianesimo, Laterza, Bari 1976, p. 49.

(24) L. De Giovanni, op. cit., p. 121.

(25) Nuccio D’Anna, Il neoplatonismo. Significato e dottrine di un movimento spirituale, Il Cerchio, Rimini 1988, p. 22.

(26) Lo scritto, perduto, è citato da Servio (Commento alle Ecloghe, V, 66) ed è forse da identificarsi col trattato Sui nomi divini; o, forse, faceva parte della Filosofia degli oracoli. Cfr. G. Heuten, Le “Soleil” de Porphyre, in Mélanges F. Cumont, I, Bruxelles 1936, p. 253 ss.

(27) Macrobio, Saturnalia, I, 17-23 (I Saturnali, a cura di Nino Marinane, UTET, Torino 1977, pp. 243-304).

(28) N. D’Anna, op. cit., pp. 49-50.

(29) Franz Cumont, La Théologie solaire du paganisme romain, in Mémoires présentés par divers savants à l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, XII, 2, 1913, p. 477.

(30) Proclo, Inni, a cura di Davide Giordano, Fussi-Sansoni, Firenze 1957, pp. 21-29.

(31) Martiani Capellae De nuptiis Philologiae et Mercurii liber secundus, Introduzione, traduzione e commento di Luciano Lenaz, Liviana, Padova 1975, p. 46.

(32) Robert Turcan, Martianus Capella et Jamblique, « Revue des Études Latins », 36, 1958, p. 249.

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