Una farsa olocaustica

Franco Cardini, L'invenzione dell'Occidente Più di una trentina d’anni fa venne proiettata in Italia una pellicola romena intitolata I Daci; il regime nazionalcomunista di quegli anni incoraggiava anche nel cinema una produzione che mirasse a celebrare la formazione del popolo romeno e le sue successive vicende storiche.

Da allora, se ben ricordiamo, dalla Romania non è più arrivato qui da noi nessun prodotto cinematografico, nonostante nel paese danubiano non abbiano scarseggiato, nell’ultimo trentennio, registi di buon livello.

Tra questi non rientra affatto Radu Mihaileanu, il quale però ha capito come va il mondo (smecher! direbbero i suoi concittadini con un prestito linguistico d’origine yiddish) e ha trovato la maniera per garantirsi un successo che non avrebbe certamente conseguito, qualora avesse coltivato il filone dell’epica nazionale. Le scolaresche italiane non sarebbero state deportate in massa nelle sale cinematografiche per assistere a un film su Traiano, Decebalo, Stefano il Grande o il Maresciallo Antonescu.

Perciò Mihaileanu ha fatto un film, Train de vie, ispirato all’epica ufficiale dell’Occidente: quella olocaustica. La vicenda che fa da sfondo al film è nota, perché i giornali ovviamente non sono stati avari di recensioni e di segnalazioni; anzi, nel 2003, in occasione di quella nuova festa nazionale italiana che è la Giornata della Memoria, Train de vie è stato anche inserito in alcuni programmi televisivi.

La storia comunque è la seguente. Nell’estate dell’anno cinquemila e rotti dalla creazione del mondo, cioè nel 1941 dell’era volgare, dunque all’epoca della dittatura instaurata dal generale Ion Antonescu in seguito all’espulsione dei legionari dal governo, l’esercito tedesco sta deportando tutti gli ebrei dalla Romania, naturalmente “in gas” (per dirla nell’italiano di Primo Levi). Immaginate che bolletta catastrofica, visto che erano più o meno ottocentomila gli ebrei che tra il XIX e il XX secolo avevano invaso la Romania.

In una imprecisata località di questa pseudoromania ammannita agli spettatori occidentali (ché in Romania Train de vie non hanno osato proiettarlo), lo scemo del villaggio suggerisce una via di salvezza: deportiamoci da soli e andiamo in Palestina in treno. E la Palestina, a quanto si apprende dai dialoghi curati da Moni Ovaia, è un luogo disabitato, un deserto che aspetta solo l’arrivo dei sionisti per poter essere trasformato in giardino.

L’idea dello scemo dello shtetl è accolta con entusiasmo dal rabbino e dagli altri saggi, perché per bocca degli scemi, dice il rabbino stesso, parla il dio degli ebrei. E così gli ebrei del villaggio si mettono al lavoro e in quattro e quattr’otto fabbricano un treno nuovo di zecca. La maggior parte della popolazione dello shtetl salirà sui vagoni posteriori, mentre sulle lussuose carrozze anteriori saliranno gli ebrei che si sono travestiti da SS. Li guida il bravo Mordechai, che si è tagliato la barba, si è travestito da colonnello SS e in poche ore ha imparato a parlare un tedesco perfetto: Die deutsche Sprache gut und schnell, come promettono alcuni corsi di lingua tedesca. Col suo tedesco impeccabile e una dialettica che farebbe invidia a un talmudista, Mordechai riesce a mettere nel sacco gli ufficiali tedeschi che ai posti di blocco vogliono controllare quello strano convoglio, il quale non è registrato né negli orari ferroviari né nelle liste dei “treni segreti”. I tedeschi, d’altronde, oltre ad essere delle bestie feroci, sono anche dei bestioni imbecilli, sicché il treno riesce a raggiungere la frontiera sovietica.

Qui gli ebrei si imbattono in un gruppo di zingari che, minacciati anche loro di sterminio dalle belve naziste, hanno avuto la stessa idea degli ebrei e si sono travestiti da deportatori e da deportati per potersene andare… in India. A questo punto ebrei e zingari fraternizzano e viaggiano insieme sul medesimo treno, finché arrivano tutti (o quasi) a destinazione.

La storia, in sé, è una vera e propria farsa, condita col tipico umorismo di un cabaret jiddish; si è detto, d’altronde, chi è l’autore dei dialoghi. Tra le profonde riflessioni teologiche, affidate per lo più allo scemo del villaggio, ci limitiamo a citare questo capolavoro di dottrina: “Che importanza ha che Dio ci sia o non ci sia? Ci siamo mai chiesti se esiste l’Uomo?” A parte i witz di questo genere, lo spettatore ricava alcuni messaggi di tipo storico-politico; uno dei quali consiste nella già riferita tesi sionista circa la Palestina.

Ma il messaggio principale che la storia intende trasmettere riguarda la deportazione degli zingari e degli ebrei della Romania ad opera dell’esercito tedesco.

Ora, per quanto riguarda gli zingari, alcuni anni fa avemmo il modo di intervistare, nella sua “cancelleria” di Bucarest, Sua Maestà Ion Cioaba I, al quale è succeduto il figlio Florin, attualmente assiso sul trono zingaresco. Ebbene, il vecchio Ion Cioaba, che aveva rappresentato gli zingari presso una commissione dell’ONU, dichiarò che i suoi sudditi dovevano ringraziare Antonescu se non erano stati internati nei campi di concentramento tedeschi, perché il Conducator li aveva arruolati per il lavoro coatto, mandandoli a costruire fortificazioni sul fronte orientale.

Quanto agli ebrei, vale la pena di riferirsi ad una fonte non certo sospettabile di velleità “negazioniste”: l’ebreo di Romania Radu Ioanid, direttore del Registro Nazionale dei Sopravvissuti dell’Olocausto. Da un’intervista che Radu Ioanid ha accordata a un giornalista ebreo, Andrei Cornea, e che è stata pubblicata sul n. 6 (9-15 febbraio 1994) del periodico in lingua romena “22” (finanziato dalla Fondazione Soros), risulta una situazione molto diversa da quella che Train de vie vorrebbe suggerire. Secondo Ioanid, sotto il governo di Antonescu “gli ebrei furono mandati in distaccamenti esterni di lavoro, furono privati di ogni diritto civile, furono depredati e spesso maltrattati, deportati da una zona all’altra, ma non furono sistematicamente sterminati”. Ebbero luogo alcuni pogrom, tra i quali quello descritto da Malaparte in Kaputt, ma si trattò delle azioni spontanee di una popolazione esasperata da decenni di sfruttamento. In ogni caso, nel periodo della dittatura di Antonescu i tedeschi non effettuarono deportazioni di ebrei dai territori dello Stato romeno.

Il film di Mihaileanu, che ci mostra una Romania nella quale l’unico esercito esistente è quello tedesco, insiste dunque su una menzogna che da alcuni anni a questa parte viene diffusa a vari livelli allo scopo di esercitare un ricatto nei confronti della Romania. Infatti alcuni anni fa gli ambienti sionisti presentarono al governo di Ion Iliescu una salata richiesta di riparazioni di guerra, rivendicando il 60% dei beni immobiliari dei grandi centri urbani! Simultaneamente, un gruppo di parlamentari del Congresso statunitense ingiunse al presidente della Romania di dichiarare Antonescu “criminale di guerra”.

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