Sull’origine della visione economica in René Guénon

«La stessa vita economica si compone di un corpo e di un’anima,
e fattori interni morali, ne hanno sempre determinato il senso e lo spirito.
Tale spirito […] va distinto dalle forme di produzione, distribuzione e
organizzazione dei beni, esso può variare e, a seconda dei casi,
dà al fatto economico una portata e un significato del tutto diverso.
Il puro “homo oeconomicus” è una finzione oppure è il prodotto
di un’evidente specializzazione degenerativa. […] In essenza, si tratta dunque di tornare alla normalità,
ossia di ripristinare la naturale dipendenza del fenomeno economico
da fattori interni, morali, e di agire su tali fattori»
(J. Evola, Gli Uomini e le Rovine)

Nel novero degli autori della cosiddetta Tradizione, a partire dal suo moderno teorico René Guénon, si nota una quasi totale assenza di studi sull’economia, il che appare alquanto curioso considerando che una delle critiche principali rivolte dagli studiosi della Tradizione al mondo moderno, riguarda proprio la sua esasperata “quantificazione”, il suo portare tutto al numero, alla quantità: un Entzauberung weberiano. E nella struttura sociale, delle tre tradizionali sfere, è proprio quella economica ad essere per sua stessa natura, almeno in parte, quantitativa. È Rodney Blackhirst ad aver fatto notare, attraverso la rinomata rivista tradizionale Sacred Web (Sacred Web n.14, 2004), nel suo articolo Capitalism, Tradition and Traditionalism, come nel mondo tradizionale non sia stato solitamente approfondito lo studio del capitalismo, forma economica della modernità, mentre vi siano stati alcuni studi
critici sul socialismo (1).

il-regno-della-quantita-e-i-segni-dei-tempiMa come si può spiegare tale assenza, tra gli studiosi della Tradizione, di una approfondita analisi del summum bonum economico? La visione guénoniana di una tradizione puramente metafisica, basata sulle verità del mondo dei princìpi, ha senza dubbio influito sull’assenza di studi, nell’ambito tradizionale, delle sfere sociali “orizzontali” e puramente “fisiche”, definite da Guénon “profane”, quali le sfere economica, politica, giuridica e scientifica. Scrive Guénon: «Dal momento che tutto ciò che è di ordine esclusivamente umano non può, proprio per tale ragione, essere legittimamente qualificato tradizionale, non può esistere, per esempio, una «tradizione filosofica», o una «tradizione scientifica», nel senso moderno e profano della parola; né, ovviamente, può esistere una «tradizione politica», per lo meno in luoghi dove manchi completamente un’organizzazione tradizionale, com’è il caso del mondo occidentale attuale». E ancora: «Fra tutte le cose più o meno incoerenti che oggi si agitano e si urtano, fra tutti i «movimenti» esteriori, di qualunque genere siano, non è dunque assolutamente il caso, dal punto di vista tradizionale o anche semplicemente «tradizionalistico», di «prender partito», come si usa dire, perché ciò significherebbe soltanto lasciarsi ingannare, e, considerato che in realtà sono sempre le stesse influenze ad esercitarsi dietro tutte queste cose, intervenire nelle lotte volute da esse e da esse invisibilmente dirette equivarrebbe propriamente a fare il loro gioco; in queste condizioni, il semplice fatto di «prender partito» corrisponderebbe di per sé, per quanto inconsciamente, ad un atteggiamento veramente antitradizionale» (R. Guénon, Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, Adelphi, Milano 2010, pp.208- 210).

Ora, per quanto sia ben chiarito da Guénon, nei suoi scritti, cosa non è Tradizione, non ci pare esserlo altrettanto cosa è Tradizione (2). Se è vero infatti che è tradizionale, nella visione guénoniana, ogni pensiero, parola ed azione riconducibile alla conoscenza dell’intelletto puro (nous, spirito) e che riguarda, quindi, i princìpi o Idee, non è tuttavia esplicitamente espressa la modalità per distinguere, con certezza, quale conoscenza sia effettivamente riferibile a tale piano intellettuale puro e quale non lo sia. Egli inoltre considera come tipicamente tradizionale la possibilità del superamento dell’Essere, nel Non-Essere: fatto quest’ultimo che contraddistingue il pensiero tradizionale rispetto al pensiero filosofico, secondo Guénon. Il che è alquanto discutibile: vi sono pensieri che Guénon riterrebbe tradizionali, quali quello tomistico, che fanno coincidere l’Essere con l’Infinito; così come all’opposto vi sono visioni filosofiche che indagano esplicitamente l’Infinito oltre l’Essere, si pensi ad esempio alla tendenza romantica verso l’Infinito tipica dell’idealismo tedesco.

la-filosofia-della-libertaD’altra parte, se si può essere d’accordo con Guénon sulla assenza di una conoscenza metafisica pressoché totale nelle scienze naturali e sociali del mondo moderno, e della estrema ed irrazionale quantificazione in un ambito quale quello delle scienze sociali, per loro natura qualitative in quanto fondate su fattori psicologici e relazionali, ciò non significa tuttavia che non si possa, o non si debba, analizzare queste stesse sfere “profane” da un punto di vista tradizionale, quindi da un punto di vista metafisico (3). È questa analisi che è mancata, è ciò a cui ci riferivamo all’inizio dell’articolo e che è stato sottolineato, in una certa misura, da Blackhirst; un’analisi pratica, basata su una teoria realmente metafisica. Ma la domanda che vogliamo porci è la seguente: può esistere una metafisica, dei princìpi a priori, sulla sola base dei quali si può effettivamente governare in modo giusto, secondo il summum bonum, la società umana del nostro mondo fenomenico? John Stuart Mill, il cui pensiero in merito è espresso, nella sostanza, anche da Rudolf Steiner (in primis nel suo testo filosofico La Filosofia della Libertà) ma anche dalle tradizioni filosofica e scientifica nel loro complesso, ebbe a dire: «la tesi secondo la quale le verità esterne alla mente possano essere conosciute […] indipendentemente dall’osservazione costituisce […] il grande sostegno intellettuale delle false dottrine e delle cattive istituzioni» (J.S. Mill, Autobiografia, Laterza, Roma-Bari 1976, p.176).

In sostanza, per Mill, la metodologia corretta per le scienze sociali non può prescindere dall’osservazione, e quindi dalla storia. In tal senso la sua visione metodologica è in netto contrasto con quella tradizionale guénoniana. La visione “negativa” di Guénon riguardo al manifestato è da ricercarsi, a nostro avviso, nella sua personale interpretazione della metafisica orientale, che egli considera tradizionale in senso generale, e nello specifico del concetto di Non-Essere. Il Non-Essere (o Zero metafisico) è per Guénon superiore all’Essere, e tuttavia non ancora Infinito. Questo stato metafisico tra l’Essere e l’Infinito è in qualche modo problematico, razionalmente parlando. La logica sottostante alla definizione di un Non-Essere non Infinito, ma tuttavia sovraontologico, appare in netto contrasto con la logica dell’ontologia classica occidentale, risalente all’Essere di Parmenide (4). È d’altra parte, quella di Guénon, una concezione non propriamente vedantica del Non-Essere: nelle Upanishad, il Non-Essere è Brahman Nirguna o Parabrahman, l’Assoluto o l’Infinito, l’Essere uno non qualificato e non determinato, e non una sua derivazione complementare all’Essere; e l’Essere in sé è Brahman Saguna, Īśvara, prima determinazione qualificata (5). In modo analogo, Plotino, forse il massimo esponente della metafisica tradizionale occidentale, non pone alcuno stato metafisico tra l’Uno e l’Essere (6).

rene-guenonLa considerazione di un Non-Essere distinto dall’Infinito, ma tuttavia superiore all’Essere, è il fondamento di ogni nichilismo metafisico ma anche di un nichilismo logico-gnoseologico escludente una parte della Realtà intera, o trascurante come secondaria una parte della Realtà intera. Quest’ultimo caso è quello di Guénon, nei riguardi del manifestato: laddove si ponga un Non-Essere non Assoluto come superiore all’Essere, l’Essere ed ogni sua manifestazione non possono che venir percepiti, consciamente o meno, come originanti dal “nulla”, il che rende essi stessi partecipanti del “nulla”. La maya indù, velo tra Brahman e manifestato, diviene di fatto in Guénon velo tra Non-Essere e manifestato, apparenza di Non-Essere, apparenza di “nulla”, per quanto egli affermi il contrario (vedi nota 5). Per Plotino, diversamente, il non essere non è uno stato metafisico henologico bensì un modo di intendere la materia nel suo essere indifferenziata: non essere come modalità non ontologica opposta all’Uno.

È questa concezione del Non-Essere l’origine metafisica, a nostro avviso, della assenza di studi delle scienze sociali e naturali nell’ambito tradizionale moderno di stampo guénoniano. D’altro canto, proprio per l’assenza del concetto henologico di Non-Essere, l’Occidente ha visto nascere nel suo seno le forme di analisi scientifica, tipicamente e necessariamente di stampo razionale filosofico. Filosofia che è ben lungi dall’essere basata su una forma di «razionalità inferiore»: si deve piuttosto considerare la filosofia occidentale secondo lo schema aristotelico e tomistico che suddivide l’intelletto in intelletto agente o attivo ed in intelletto possibile o passivo, dove se il primo è da riferirsi alla definizione di intelletto puro di natura spirituale, il secondo è l’intelletto filosofico o ratio filosofica, che sulla prima forma di intelletto si deve basare per natura, essendone l’affermazione razionale. Se ciò non avviene, il pensiero cade nell’irrazionale, nella forma-pensiero somatica (7).

In tal senso, si può parlare correttamente di una tradizione filosofica, di una tradizione economica e di una tradizione politica. La specifica concezione metafisica del Non-Essere come stato sovraontologico, presente in Guénon e seguita nel mondo tradizionale, crea una enorme frattura nella percezione intuitiva del collegamento tra la “fisica” del mondo reale e la metafisica. Determinare i princìpi metafisici, ed esporli in modo razionale, non può che essere un atto filosofico. Laddove la filosofia ha proprio il compito di rendere razionali tali princìpi spirituali che di per loro, se non accordati con le osservazioni della realtà materiale e fisica, rimangono razionalmente indeterminabili.

Nel suo testo principale, già citato in precedenza, Guénon fa alcuni accenni all’ambito economico. Dapprima quando parla dell’alienazione a cui conduce l’industria moderna, lontana dalla sacralità del mestiere inteso in senso tradizionale (8); successivamente, nel capitolo dedicato alla degenerazione della moneta. In questa seconda parte Guénon pare non cogliere la natura più profonda della moneta, il che appare comprensibile considerando quanto detto sopra circa la frattura tra “fisica” e metafisica nella sua visione. Sin dai tempi dell’Etica Nicomachea di Aristotele, per lo meno, è chiaro che la moneta è innanzitutto unità di misura o, più precisamente, (unità di) misura del valore. Se è vero da un lato che la sua funzione di pura misura del valore è oramai del tutto inesistente, non essendo essa oggigiorno che una pura fiat money, sganciata da ogni connessione con l’economia reale, tuttavia la moneta non ha mai avuto alcuna funzione qualitativa, come pare invece sostenere Guénon: è sempre e solo stata usata come misura del valore, e di un valore dei beni e dei servizi, valore che è per definizione quantitativo. La qualità è casomai intrinseca non alla moneta, ma a ciò che viene prodotto e scambiato con tale moneta. La moneta è una pura misura quantitativa. Ciò non toglie che, effettivamente, è storicamente provato che la casta sacerdotale sia stata, in epoche passate, associata all’emissione della moneta; ma tale fatto, tuttavia, non ha nulla a che fare con la natura qualitativa della moneta, bensì piuttosto con questioni di ordine morale: tale casta era considerata moralmente quella più affidabile a garantire la giusta emissione monetaria. È lo stesso Guénon ad affermare nel prosieguo del testo, tuttavia contraddicendosi con quanto affermato in precedenza, che il problema della degenerazione non riguarda la moneta in sé, ma piuttosto il metodo di valutazione della “stima” applicata agli oggetti o ai soggetti che essa misura: «…si è comunemente arrivati a «stimare» un oggetto solo attraverso il suo prezzo, considerato unicamente come una «cifra», una «somma», o una quantità numerica di moneta; per la maggior parte dei nostri contemporanei, in effetti, qualsiasi giudizio su un oggetto si basa quasi sempre esclusivamente sul suo costo. Abbiamo sottolineato il termine «stimare» a causa del duplice significato che gli è proprio, qualitativo e quantitativo; oggi il primo significato è stato perso di vista, oppure, che è poi lo stesso, si è trovato il modo di ridurlo al secondo, ed è così che non soltanto si «stima» un oggetto secondo il suo prezzo, ma anche un uomo secondo la sua ricchezza».

Dopo aver giustamente profetizzato la caduta continua del potere d’acquisto della moneta, ma non per la caduta qualitativa della stessa, come egli riteneva, bensì per il mancato controllo della sua emissione, sganciata dall’economia reale, il Nostro prevede la dissoluzione totale «poiché la quantità pura si trova propriamente al di sotto di ogni esistenza». È quantomeno singolare anche questa concezione della quantità pura come «regno sub-esistenziale», dato che lo stesso Guénon sostenne la visione pitagorica e neo-platonica del Numero come essenza di tutte le cose. Non è forse piuttosto, tale regno sub-esistenziale, il regno dell’assenza di qualità o di “verticalità”? D’altra parte questo doppio uso del concetto di numero, come Ente metafisico e come “qualità” della materia indifferenziata, è conseguenza della concezione del Non-Essere come opposto all’Essere, e diverso dall’Infinito: l’esistenza di una tale diade principiale rende logicamente giustificabile la manifestazione di diadi secondarie, da essa derivanti, costituite non da due enti (qualità-quantità, essenza-sostanza, purusha-prakriti, ecc.) bensì da un ente e da un non-ente, quali appunto il Numero inteso come Ente metafisico ed il numero inteso come quantità pura sub-esistenziale.

La concezione guénoniana della non-dualità non è d’altra parte tipicamente tradizionale: nell’Advaita Vedanta, in particolare, la non-dualità riguarda il rapporto tra Atman e Brahman, tra Sé individuale e Assoluto, da intendersi come la possibilità che il proprio Sé superiore si possa unire a Brahman, divenendo uno con Lui poiché, metafisicamente, vi è sempre stato immerso. Tale concezione della non-dualità non coincide con quella guénoniana riguardante, invece, il rapporto tra Essere e Non-Essere; dove peraltro, come detto, questo Non-Essere non è inteso come l’Assoluto o l’Infinito, ma come una sua derivazione, tuttavia antecedente e complementare all’Essere. Ci pare altresì logicamente forzata l’affermazione di una complementarità tra Infinito e Possibilità totale (unente quest’ultima il Non-Essere e l’Essere), la seconda costituente il lato passivo del primo: l’Infinito non potendo in alcun modo essere né complementare, né lato attivo di alcunché. Due concetti, peraltro, associati da Guénon rispettivamente ai termini Brahma e Shakti che indicano, piuttosto, l’Essere e l’Intelletto nella loro forma macrocosmica.

l-uomo-e-il-suo-divenire-secondo-il-vedantaPuò apparire inappropriato, se non fuorviante, anche l’uso dei termini individualità e personalità effettuato da Guénon, laddove egli stesso ammette che il termine personalità derivi dal latino persona, ossia “maschera”, e tuttavia lo usi sovente come sinonimo di Sé. Rifacendosi in parte alla terminologia tomista, egli afferma che «Invece dei termini «Sé» e «io», è possibile anche usare quelli di «personalità» e di «individualità», con una riserva tuttavia, poiché il «Sé», come spiegheremo più avanti, può essere ancora qualche cosa di più della personalità. I teosofisti, che sembrano essersi divertiti ad ingarbugliare la loro terminologia, attribuiscono alla personalità ed alla individualità un senso esattamente inverso a quello in cui vanno correttamente intese: essi identificano la prima con l’«io» e la seconda con il «Sé». Al contrario, prima di loro, anche in Occidente, ogni qualvolta una distinzione è stata fatta fra queste due parole, la personalità è sempre stata considerata superiore all’individualità, ragione per cui diciamo che questo è il loro rapporto normale, ed è vantaggioso conservarlo. La filosofia scolastica, in particolare, non ha ignorato tale distinzione, ma non sembra averle conferito il suo pieno valore metafisico, né averne tratto le profonde conseguenze che vi sono implicite; ciò d’altronde accade frequentemente, anche quando essa presenta somiglianze notevolissime con certi aspetti delle dottrine orientali. In ogni caso, la personalità, intesa metafisicamente, non ha niente in comune con quello che i filosofi moderni chiamano sovente la «persona umana», che in realtà è soltanto l’individualità pura e semplice; del resto, solo questa, e non la personalità, può essere propriamente chiamata umana» (R. Guénon, L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta, Adelphi, Milano 1992, pp.27-28). Eppure il termine individuus risale a Cicerone, che così tradusse l’ ἄτομος (átomos) greco, l’ente indivisibile e originario, e che contrapponeva a dividuus (9). Anche tale uso dei termini da parte di Guénon contribuisce, a nostro avviso, alla sua visione “profana” riguardo ad ogni forma di interazione materiale: se l’individualità è l’”io empirico” allora l’individuale, in quanto “interesse del singolo individuo”, può essere facilmente percepito esclusivamente nella sua declinazione egoistica.

È per tale fraintendimento metafisico che la visione guénoniana della moneta viene ridotta al mero e profano aspetto di mezzo di scambio: che è in effetti una delle funzioni della moneta, ma secondaria rispetto a quella di misura del valore; la moneta intesa come puro mezzo di scambio è una moneta priva della sua radice metafisica concettuale, che è la moneta in quanto misura del valore, ed in tal senso risulta desacralizzata. Se vista solo come mezzo di scambio, la moneta viene intesa di fatto come un bene qualsiasi, un mezzo come un altro usato al fine dello scambio. È tale visione che può far pensare ad una “caduta di valore” della moneta, quando in realtà essa stessa è ciò che misura il valore, ha cioè una funzione puramente quantitativa. Se è vero, infatti, che la moneta odierna non è una corretta misura del valore, dato l’enorme (e molto più ampio rispetto ai tempi di Guénon) divario tra quantità di moneta e valore dell’economia reale, ciò tuttavia non toglie che la moneta in sé sia una misura della quantità, e che di per sé non abbia nulla di qualitativo insito nella sua natura; si può al limite parlare di caduta della qualità della modalità della sua emissione, ma non della moneta in quanto tale (10).

Questa frattura tra metafisica e mondo reale, presente in Guénon e causa della sua presa di distanza dai fenomeni profani, è ben espressa da Massimo Scaligero allorché, riferendosi a Guénon, afferma che «nella costituzione interiore dell’uomo moderno è presente la frattura che gli fa apparire la Tradizione come un esteriore corpus dottrinario-rituale e non come una corrente di vita superumana nella quale gli sia dato immergersi per re-vivere: nell’uomo moderno vive l’errore che separa il trascendente dal mondo dei sensi, così che egli percepisca questo come privo di Divino». E ancora: «La percezione dei sensi non è nulla di mayico o di illusorio: essi agiscono giustamente, l’uomo ne fa un uso «sensuale»» (M. Scaligero, L’opera e il pensiero di René Guénon, 1950¹¹).

Appare paradossale che il principale critico novecentesco della modernità dia egli stesso l’impressione, secondo la lettura di Scaligero da noi condivisa, di inciampare nella frattura tipica del mondo moderno, facendola trasparire dalla sua stessa visione tradizionale che finisce per essere, di fatto, dualistica. E che non è la Tradizione vivente proposta da Scaligero, sulla base dell’insegnamento steineriano, Tradizione quest’ultima che include anche il mondo fenomenico della modernità come parte della Realtà degna del Divino, senza condannarlo attraverso prese di posizione apparentemente ortodosse: ciò spiega l’attenzione che Steiner dedicò anche a discipline “profane”, quali l’economia, in numerose sue conferenze.

«The strength and adaptability of genuine traditions is not to be confused with the “invention of tradition”. Where the old ways are alive, traditions need be neither revived nor invented»
(E.J. Hobsbawm, The Invention of Tradition)

Note

1 In Italia, meritano un approfondimento a parte le incursioni nella “metafisica economica” dell’economista Luigi Amoroso e del suo allievo Giuseppe Palomba.

2 «The term traditional is perhaps even more vague than modern. It is generally understood in contrast to modern. Whatever was deeply ingrained in society prior to modernization is traditional. Indirectly, the traditional is understood in terms of European history, since the traditional is defined in contrast to the modern, which in turn can only be understood with reference to European culture. To call a non-Western society traditional is therefore to claim that it is similar in important ways to Europe before the Reformation. In contrast to modernism, traditionalism could be used to designate any movement of resistance to modernization, or the view that pre-modern societies are superior to modernized societies. In this sense, one speaks not of traditionalism per se, but of Catholic traditionalism, Russian traditionalism, etc. Since it would be extremely implausible to advocate an absolute traditionalism, i.e., the thesis that modernity is always worse than whatever it replaces, Coomaraswamy and Guénon introduced the notion of authentic traditions as those rooted in divine revelation. They claimed that there were common features to be found across pre-modern societies, whether aboriginal, Christian, Islamic, Hindu, Taoist or Buddhist. It is the common features of these societies that are called tradition, and the advocacy of these features over those of modern societies is Traditionalism. Thus, traditionalism includes a thesis of a specific form of religious pluralism, that all the authentic religious traditions are divinely inspired and are at the innermost core the same, as well as a cultural thesis that asserts that the cultural institutions of societies dominated by authentic tradition are justified as reflections of Tradition. Both of these theses are dubious» (H.M. Legenhausen, Why I am not a traditionalist, tratto dall’indirizzo internet http://www.religioscope.com/pdf/esotrad/legenhausen.pdf/; cfr. anche H.M. Legenhausen, Islam and Religious Pluralism).

3 «Nothing can be retained solely for the reason that it is traditional, and nothing can be rejected solely because it is modern, whether in doctrine, economics, social institutions, forms of cultural expression, or whatever. Consider computerization. Dr. Nasr condemns this as modern and untraditional. No doubt there is much about computer use that clashes with Islamic aims and values. To a large extent, however, it is unavoidable. On the other hand, there is much in computer use that serves Islamic aims, e.g., accessibility to information and facilitation of research, not to mention the more specifically Islamic applications, such as Islamic software, Islamic internet groups and magazines, searchable databases of ahádíth, etc.. Traditionalist reasoning is valuable when it points out aspects of modern culture and technology that conflict with Islamic principles in ways that would ordinarily pass without notice» (ibid.).

4 «…Orbene io ti dirò, e tu ascolta accuratamente il discorso, quali sono le vie di ricerca che sole sono da pensare: l’una che “è” e che non è possibile che non sia, e questo è il sentiero della Persuasione (infatti segue la Verità); l’altra che “non è” e che è necessario che non sia, e io ti dico che questo è un sentiero del tutto inaccessibile: infatti non potresti avere cognizione di ciò che non è (poiché non è possibile), né potresti esprimerlo.… Infatti lo stesso è pensare ed essere» (Parmenide, Sulla Natura, II, III).

5 È Guénon stesso ad affermare, d’altra parte, che la sua concezione del Non-Essere è una sua propria invenzione per quanto “ispirata” da una concezione orientale che tuttavia, come accennato nel nostro testo, ha ben altro significato: «Per designare ciò che è pertanto al di fuori e al di là dell’Essere, siamo costretti, in mancanza di ogni altro termine, a chiamarlo Non-Essere; e tale espressione negativa, che per noi non è in alcun modo sinonimo di «nulla» – come nel linguaggio di certi filosofi – oltre ad essere direttamente ispirata dalla terminologia della dottrina metafisica estremo-orientale..» (R. Guénon, Gli stati molteplici dell’Essere, Adelphi, Milano 2012, p.39). Ci pare altresì fuorviante l’associazione fatta da Guénon tra il suo concetto henologico e quindi macrocosmico di Non-Essere ed il concetto taoista wou-wei che è tipicamente inteso come “assenza del sé” ossia come liberazione completa o Nirvana, tradotto talvolta come “non agire”, che è invece un concetto squisitamente individuale e microcosmico: «Nel Non-Essere, l’assenza di costrizione non può che consistere nel «non agire» (il wou-wei della tradizione estremo-orientale)» (ibid., p.145).

6 Tuttavia anche in Plotino la seconda ipostasi dell’Essere è riferita simultaneamente a Logos e ad Intelletto, il che può generare qualche fraintendimento; inoltre, l’Uno di Plotino non è da confondersi con l’Uno di Guénon, che è in realtà usato come sinonimo dell’Essere o Zero affermato.

7 «[…] la definizione espressa dallo Hegel sull’essere la Filosofia “…la considerazione esoterica di Dio…” […] ha tutto in comune invece con quanto Evola stesso ha poi perseguito ed indicato come Via iniziatico-solare, di natura platonico-apollinea, per la riacquisita consapevolezza dell’autentica natura dello spirito in quanto realtà Divina trascendentemente immanente che è come dire la realtà dell’Individuo Assoluto. Allora è d’uopo affermare, senza alcun timore, che sia in Evola che in Hegel, riappare, in piena modernità, il senso e il significato greco della Filosofia, strumento per il conseguimento del Risveglio, che è la rinascita, dopo la caduta, in quanto anamnesi di ciò che si è sempre stati e non lo si è saputo (ignoranza come avidyā), quindi come riconquista di un sapere che coincide con l’essere in senso ontologico. Talché essa è Scienza Sacra in senso eminente e quindi autentica Tradizione, avente ad “oggetto” solo ed esclusivamente il Divino, che è la Verità in quanto essenza e dell’uomo e del Mondo, come Cosmo; è Sapere per pochi, è gnosi, è Teosofia, conoscenza di Dio che si rivela, nel percorso iniziatico-filosofico, come Teofania, significando ciò il rammemorare la consapevolezza quale Sapere, aldilà ed oltre sia il Mito che il Simbolo (livelli di conoscenza sapientemente riconosciuti, sia da Evola che da Hegel, inefficaci ai fini della scienza, in relazione allo stato intellettivo-noetico puro che è l’apollineo), che il Dio è “oggetto” da superare, da negare, per “osare” essere Lui! Tale identificazione, sia in Hegel che in Evola, è la stessa autoconoscenza del Sé che è l’Assoluto nella sua natura solare, in totale estraneità, pertanto, ad ogni confusione panteistica e ad ogni vedantino acosmismo spirituale» (G. Casalino, Evola ed Hegel: il concetto di Filosofia, consonanze e divergenze, relazione tratta dall’indirizzo internet http://www.fondazionejuliusevola.it/ DocumentiConvegni/Alatri_2010/relazione_Casalino.pdf).

8 Si può notare una qualche assonanza tra la visione economica di Guénon e quella dei fisiocratici francesi del XVIII° secolo riguardo alla critica nei confronti dell’attività industriale, così come in merito alla predilezione per una società guidata da uno o pochi “spiriti illuminati”.

9 La dicotomia ciceroniana usata dai teosofi ci pare ripresa, tra gli altri, anche da R. Steiner, O.M. Aivanhov e R. Assagioli nel loro definire i termini individualità e personalità, in un modo sostanzialmente opposto a quello guénoniano. La dicotomia usata da Guénon non è tuttavia da confondersi con i concetti di persona e di individualità di origine tomista, laddove il primo termine indica «un individuo sostanziale..ed è di natura razionale» (S.Tommaso d’Aquino, Commentum in quattuor libros Sententiarum, liber III, dist. VI, q1, a1, sol. I; 1254-56), e l’individualità, come si intende dalla definizione, una sua proprietà. Pare che Noële Maurice-Denis, la studiosa tomista che Guénon conobbe nel 1915, avesse affermato, riferendosi a Guénon: «Certo la sua ignoranza, la sua incomprensione del Cristianesimo erano totali» (cfr. M.-F. James, Ésotérisme et christianisme. Autour de René Guénon, 1981).

10 Ci riferiamo alla modalità di emissione a debito (moneta-debito) sia del dollaro americano, valuta di riserva internazionale dell’economia moderna post Bretton Woods, sia delle altre principali valute nazionali. Pare che tale modalità di emissione risalga, per lo meno, ai tempi dell’antica Babilonia.

11 Tratto da www.liberopensare.com.

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