Su due romanzi dostoevskijani

i-demoniL’articolo è rivolto a chi conosce l’avvincente, per lunghi tratti insano (proprio per questo accattivante), intreccio di vicende caratterizzanti I demoni e a chi conosce quanto è narrato nelle Memorie dal sottosuolo. Svolgerò delle considerazioni su tali opere di Fëdor Dostoevskij.

Farò unicamente riferimento ad alcuni dei principali personaggi del primo dei due suddetti romanzi, parlando innanzitutto di Kirillov, in quanto esprime la visione del mondo avversata dal letterato russo, in fondo caratterizzante tutti (o quasi) i ‘demoni’ del romanzo. Se la vita è questione di mera felicità personale, tanto vale non vivere affatto. I protagonisti di cui sopra, temono il dolore e lo hanno in spregio. La soluzione più coerente del problema esistenziale, relativo alla concezione appena esposta, è allora quella di procurarsi una morte indolore, in modo tale da raggiungere la pace eterna, senza neanche indaffararsi per raggiungerla progressivamente.

In realtà, sia Šatov che Kirillov, tra i ‘demoni’, sono piuttosto dei ‘posseduti’. In entrambi c’è del buono, c’è della generosità, ma la follia li domina. Se Šatov è un fanatico slavofilo di idee esagerate, Kirillov, nella sua pazzia, crede, in modo contorto, di apportare del bene all’umanità. Il suo suicidio dovrà servire da esempio, avendo lo scopo di liberare l’uomo, indicandogli la via da seguire per la sua liberazione.

Stavrogin, più di ogni altro, incarna, a mio parere, la suddetta malsana veduta, essendo il personaggio – in realtà – più esangue di tutto il libro e non il più forte caratterialmente (come ad una lettura superficiale potrebbe risultare). Il suo radicale anticonformismo, ovvero la maggiore libertà di cui dispone rispetto ad ogni altra figura del romanzo, la sua mortifera noncuranza per tutto e tutti – certamente seducente – è anestetizzazione da ogni disagio esistenziale (anche di poco conto). Stepan Trofimovič Verchovenskij, al contrario, vive soltanto per delle frivolezze (tiene ad essere considerato un valido, brillante, nonché temuto dal potere, intellettuale liberale dissidente dalle nobili aspirazioni, suscitando per lo più il senso del ridicolo in chi lo conosce da vicino o anche per fama), trascurando tutto il resto: avverso al lavoro, nella vita non riesce a combinare nulla (ma lavorare pacificamente e onestamente è anche dovere verso gli altri!). Ha trascurato per tutta la vita suo figlio Pëtr Stepanovič, vive da parassita mantenuto a casa di Varvara Petrovna (la madre di Stavrogin, del quale – come il lettore sa – è stato il precettore), è dedito al vizio dell’alcol e a quello del gioco.

Pëtr Stepanovič, infine, al contrario di suo padre, è un simulatore che, per tornaconto, si fa passare anche da stupido pur di raggiungere le sue meschine ambizioni di potere.

memorie-dostoevskijCaratteristica di quasi ogni demone è che, per lo più, la gente non sembra né scorgerne la bassezza, né prenderli per pazzi. Sono personaggi irreali, in quanto ciò che di loro appare non corrisponde a ciò che essi sono. Le vicende di Stavrogin relative a sua moglie, la zoppa e demente Marija Lebjadkin, lo fanno apparire (perlomeno agli occhi di alcuni, come ad esempio della madre), un cavaliere magnanimo. Nei momenti in cui Stavrogin batte, preda di crisi, i pugni contro il muro, Dostoevskij pare esprimere un punto di vista per il quale, uno come Stavrogin, non può che essere mentalmente insano. La fine di quest’ultimo non potrà che essere il suicidio, non avendo motivi per cui vivere.

Se anche Stavrogin mostrerà, per ciò che si è appena concluso di dire, di aver conservato, nonostante tutto, un po’ di coscienza, chi né è del tutto privo è Pëtr Stepanovič, il più abbietto personaggio del romanzo. Se essere anche caratterizzati – potremmo dire – dalla ‘volontà di vivere’ è, per Dostoevskij, qualcosa dalla quale nessuno può umanamente prescindere, Pëtr sembra essere caratterizzato da una folle ‘volontà di potenza’, caratteristica di chi, nell’operare, è sempre indaffarato ad assomigliare a dio, facendone le veci. Avere tutto sotto controllo, tendere a dominare su tutto e tutti senza scrupoli, è il carattere di chi ha esaudito, o di chi aspira ad esaudire, ogni personale tornaconto. Pëtr Stepanovič, a capo di una criminale organizzazione socialista, intriga continuamente, uccide, tradisce i suoi compagni, li denuncia, crede illusoriamente di poter scatenare una rivoluzione in tutta la Russia per poter porsene a capo. Sebbene venga preso per un uomo astuto, dei suoi deliranti e demenziali progetti non ne realizzerà neanche uno. L’unica cosa che gli riesce, dopo aver scatenato il caos (l’intera sua organizzazione viene sgominata), è quella di fuggirsene, nella più piena noncuranza per tutto quanto ha commesso.

Anche Stepan Trofimovič interrogherà la sua coscienza prima di morire per una malattia che lo ha colpito, facendo riferimento alla parabola evangelica in cui, dall’indemoniato esorcizzato da Gesù, i demoni penetreranno in dei maiali che si andranno a gettare da una rupe. I maiali sono i vari demoni del romanzo, degli egoisti a cui non resta da fare altro che sparire dalla faccia della terra.

Cos’è, dunque, per Dostoevskij, che ci tiene in vita, che ci dà motivo di vivere, se non l’amore per gli altri? Chi ama non teme il dolore (e – per giunta – non è un millantatore di qualità che non possiede): sa che esso è richiesto per ogni autentico e disinteressato sacrificio.

Nonostante le Memorie dal sottosuolo siano state scritte alcuni anni prima de I demoni, sembrano curiosamente sviluppare alcune tematiche contenute nell’anzidetto romanzo. Nel romanzo breve Dostoevskij delinea infatti con maggiore precisione i tratti nichilistici dell’uomo moderno.

Quest’ultimo non è in grado di risolversi né per il bene né per il male, poiché la sua sviluppata ragione, la sua estesa consapevolezza, demolisce la fondatezza sia dell’uno che dell’altro. Tale uomo non può che risolversi per un’esistenza mediocre. Incremento di coscienza e pervertimento fanno poi tutt’uno, tanto che l’uomo moderno, da un lato proverà – nel fondo, inconsciamente – godimento per delle situazioni spiacevoli in cui viene volutamente a trovarsi e facendo ogni altro tipo di brutta figura, dall’altro finirà per pascersi delle sue astratte fantasie più che di ‘vita vissuta’. Più in generale perseguirà il proprio svantaggio, e anche per non essere una mera cosa che obbedisce a leggi, a necessità, per affermare cioè, sopra ogni cosa, la propria individualità, smentendo ogni statistica: l’uomo intelligente, in concreto, amerà massimamente ‘fare di testa propria’, non badando ad ogni ragionevole critica che gli potrebbe venire eventualmente mossa.

Concludendo, l’uomo moderno tende alla contemplazione, all’ascesi, all’immobilità (quando non a nuocersi).

L’uomo che storicamente lo precede è al contrario persona d’azione. Usando meno la testa, riesce meglio a conformarsi ad un principio (tendendo a non porlo in discussione), ad una norma morale, negativa o positiva che sia. È cioè più reificato, o comunque è più vicino  ad una condizione di tipo animalesco, rispetto all’uomo moderno.

Ma allora, avere del carattere, è davvero una stupida e superficiale prerogativa.

L’uomo pre-moderno (o anche – aggiungerei – l’ottimista uomo moderno degli inizi), è irreale e inautentico al pari dell’uomo ultramoderno, dell’uomo dalla mentalità nichilistica. Ancora una volta per l’intellettuale russo (ciò emerge dal suo romanzo breve), l’unica via d’uscita dalla condizione sopradescritta è il dono, la grazia, dell’amore, che nelle Memorie è offerta al protagonista dalla prostituta Liza (rifiuterà tale dono per continuare a starsene in una mortifera quiete nel suo cantuccio, vivendosene appartato. Non si salverà).

Ma tale grazia non può di certo venire concessa alla natura incorrotta e spensierata, all’uomo che non ha ancora conosciuto alcuna deviazione, a chi, dunque, non si è ancora reso individuo, ‘uomo’ nel senso più proprio. È solo grazie all’amore che può avere inizio per quest’ultimo un contro-movimento, un ritorno alla purezza e all’innocenza iniziali. Ciò da un lato. Dall’altro si tratta per costui di tornare a vivere davvero.

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Umberto Petrongari è nato a Rieti nel 1978. Laureatosi in filosofia presso l’Università degli Studi dell'Aquila, ha pubblicato per la casa editrice Aracne due saggi dal titolo: Il pensiero negativo di Julius Evola e il suo oltrepassamento (2013); Excalibur e la tradizione ermetico-alchemica (2014).

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