La civiltà antica? Una meraviglia. Anzi, sette

Dopo diversi anni dalla prima pubblicazione in italiano le edizioni Einaudi hanno recentemente riproposto, in una curata edizione economica, il saggio di Peter A. Clayton e Martin J. Price su Le Sette Meraviglie del Mondo.

Il libro espone in maniera piana e semplice come nell’immaginario del mondo antico alcuni monumenti ebbero una particolare rilevanza, al punto da assurgere, negli scritti di molti autori di diverse lingue, a simboli stessi della magnificenza dell’opera dell’uomo.

Nella maggior parte degli autori antichi l’elenco annoverava sette meraviglie: essendo primo, ossia non riducibile per divisione a unità più piccole, il numero sette ha caratteristiche simboliche di perfezione. Non a caso esso ricorre in molte leggende e miti dell’antichità a raffigurare successioni straordinarie, oggetti prodigiosi, difficoltà e perigli che gli eroi devono affrontare, e così via dicendo. Anche la città di Roma ebbe sette re e sette speciali oggetti sacri; come sette erano ritenuti i pianeti e i gradi celesti della perfezione; e non a caso nella Bibbia si legge che Dio si riposò dalle sue fatiche il settimo giorno, quello in cui la creazione era ormai perfezionata.

Il novero delle sette meraviglie del mondo fu definitivamente consacrato durante il Rinascimento, allorché sull’onda dell’entusiastica rivisitazione del mondo classico i filologi dell’epoca vollero stabilire una volta per tutte un elenco “canonico” dei monumenti più rappresentativi e citati. Vennero così incluse la Grande Piramide di Giza, a emblema anche di molte altre grandiose opere architettoniche egizie; i leggendari Giardini Pensili di Babilonia, che già durante l’epoca imperiale romana si erano perduti sotto le sabbie del deserto; la statua di Zeus a Olimpia, luogo ove convergevano alti ideali di perfezione fisica e religiosa; il tempio di Artemide a Efeso, sulle coste occidentali della Turchia, che fu distrutto dagli Ostrogoti nel terzo secolo della nostra era; il Mausoleo di Alicarnasso, sempre nell’attuale Turchia; il Colosso di Rodi, che crollò sui suoi stessi piedi in occasione di uno spaventoso terremoto, nel 226 a.C.; e infine il Faro di Alessandria, nuovamente in Egitto, i cui resti vennero individuati in mare nel 1994.

Gli eruditi umanisti non vollero includere monumenti del mondo romano, nonostante alcuni autori antichi avessero annoverato il Colosseo e/o il Campidoglio; questa scelta derivava dal fatto che le meraviglie, nelle intenzioni dei compilatori definitivi, dovevano essere rappresentative di epoche precedenti la massima ascesa della civiltà romana, e indicare così le vestigia di un mondo ancor più antico.

Peraltro dalla lettura dell’Appendice del libro, ove sono raccolte le fonti classiche sulle grandi meraviglie, emerge una storia di elenchi assai diversi, dal primo di Erodoto sino a Filone di Bisanzio e al Venerabile Beda. In un carme di Antipatro, poeta greco di Sidone, si legge l’elenco più simile a quello divenuto ufficiale: sei delle sette meraviglie vi sono catalogate (l’eccezione è il Faro di Alessandria). Vi furono comunque molte altre “Meraviglie dimenticate”, come le definiscono Clayton e Price; eppure quasi tutte, tanto queste quanto quelle “ufficiali e accettate” sono oggi crollate, o distrutte, o non esistono comunque più. L’eccezione sono le Piramidi di Giza, o più precisamente la Grande Piramide, eretta in onore di Cheope intorno al 2560 a.C.: essa è costantemente la prima nelle elencazioni, e la più antica di tutte le altre.

Sic transit gloria mundi, dicevano gli antichi Romani: il tempo tutto distrugge, uomini, istituzioni, imperi, monumenti, grandezze e prodigi. Osservando la grandezza e il declino delle antiche civiltà attraverso i monumenti più rappresentativi avvertiamo la sensazione che un giorno anche tutto ciò che ci pare grande e immutabile del nostro tempo e dei nostri edifici sarà distrutto dalla ciclica venuta di una nuova barbarie. Ma al contempo questa sensazione ci ammonisce sull’importanza di tramandare il ricordo e i valori del nostro passato, perché essi continuino a guidarci nei tempi futuri.

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Articolo pubblicato sul quotidiano la Padania il 6 gennaio 2004.

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Alberto Lombardo è stato tra i fondatori del Centro Studi La Runa e ha curato negli anni passati la pubblicazione di Algiza e dei libri pubblicati dall'associazione. Attualmente aggiorna il blog Huginn e Muninn, sul quale è pubblicata una sua più ampia scheda di presentazione.
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