Renato Ricci e lo squadrismo di sinistra

La figura di Renato Ricci appartiene a quel novero di fascisti “minori” di cui sarebbe augurabile una più approfondita conoscenza presso il grande pubblico. Al fine, se non altro, di correggere una volta per tutte la vulgata resistenziale che ha appiccicato allo squadrismo l’etichetta di “servo del padrone”, dedito alla brutale violenza e composto da energumeni. Questo ritornello comunistoide resiste all’usura del tempo, nonostante che, ormai da un pezzo, la storiografia sostanzialmente abbia messo a posto le cose, stabilendo la natura non di rado anticapitalista, rivoluzionaria e antiborghese dello squadrismo in generale, e di quello toscano in particolare. Non occorre ricordare, poi, che allo squadrismo aderirono come veri militanti attivi alcune personalità culturali di gran rilievo: pensiamo a Malaparte, Maccari, Rosai, Gallian, Marinetti… ciò che fa dello squadrismo una singolare combinazione tra impegno culturale e attivismo politico, quale non si rintraccia in alcuno dei movimenti politici coevi. Quanto poi all’uso della violenza, ognuno sa, ma i comunisti più degli altri, che le rivoluzioni non si fanno con le buone maniere. E, in ogni caso, tutti sanno ugualmente che quella fascista è stata la rivoluzione meno sanguinosa degli ultimi due secoli a livello mondiale. Renato Ricci, in questo contesto, si presenta come una figura radicale, ma equilibrata di capo, di organizzatore e di fedele esecutore dei principi del Fascismo delle origini, mantenendo inalterate le sue posizioni per tutto l’arco della sua vicenda politica. Fino alla Repubblica Sociale quando, messo a capo della Guardia Nazionale Repubblicana, cercò di interpretare anche in quell’estrema stagione gli ideali movimentasti e “di base” delle origini.

Recentemente è uscito il libro di Giuseppe Zanzanaini Renato Ricci. Fascista integrale (Mursia) che tuttavia, lo diciamo subito, non rende un buon servizio storiografico. Ritagliato passo passo sul ben più consistente lavoro di Sandro Setta Renato Ricci, dallo squadrismo alla Repubblica Sociale Italiana, pubblicato nel 1986 da Il Mulino ed esaurito da tempo, di cui segue scolasticamente le argomentazioni, spesso usufruendo dei medesimi concetti e addirittura delle stesse parole, il testo di Zanzanaini si presenta come un’occasione perduta. Modesto lavoro di taglia-e-incolla, di facile assemblaggio, spoglio di nuove interpretazioni, di una sua angolazione, di originali prospettive, si riduce a un sunto, neppure sapientemente condotto, dello studio di Setta. Di cui costituisce, diciamolo con franchezza, la brutta copia. Dispiace, perché con questo genere di iniziative di nessun rilievo scientifico si getta al vento la possibilità di fare alta divulgazione, recando a un più vasto pubblico, con opere possibilmente di livello, i risultati delle acquisizioni più serie ed elaborate, altrimenti destinate a rimanere nella chiusa cerchia degli specialisti. Forse l’incauto autore è stato attratto da Ricci in quanto anch’egli nativo di Carrara… ma è una troppo esile motivazione, per dar corpo a qualcosa di appena accettabile. E dispiace di più, trattandosi, nel caso di Renato Ricci, di una personalità storica generalmente trascurata, meritevole invece di più attenta considerazione.

Combattente e legionario fiumano, Ricci è nel primo dopoguerra il tipico rappresentante dell’Uomo nuovo su cui il Fascismo cercherà di ritagliare il carattere nazionale italiano: dinamico, giovane, entusiasta, fermo nei principi e saldo nel carattere. Così è stato descritto da amici e avversari. Giunto relativamente in ritardo – in virtù della sua militanza fiumana – al Fascismo, Ricci fondò il Fascio di Carrara nel maggio del 1921 con appena una decina di altri giovani. E subito si trovò coinvolto nella spirale di violenza che caratterizzò tutto il dopoguerra italiano. Il problema se, sul terreno della violenza, il Fascismo sia stato il primo ad agire, oppure abbia solo reagito a un predominio socialista, è stato da tempo risolto: il “biennio rosso” non fu rose e fiori, non fu una stagione pacifista e umanitaria, ma lo scatenamento razionale di un programma pre-rivoluzionario, in cui intimidazione, sopruso, violenza e sovente esecuzione del “nemico di classe” erano cronaca quotidiana. Quando Setta ricorda che Ricci, nella Carrara accesamente “rossa” del 1921, al suo esordio come leader della piccola formazione squadrista locale, reagì sparando insieme ai suoi camerati contro un nucleo di anarco-socialisti che avevano appena assassinato un brigadiere della Finanza, causando la morte di un socialista, ha già detto tutto: a Carrara come ovunque, il Fascismo prese le armi contro il sovversivismo, ma soltanto dopo che questo aveva dato ampia prova della sua determinazione a non fermarsi di fronte alle iniziative più irreparabili. Anzi, le cronache del tempo registrano che fu proprio Ricci a fare opera di mediazione, ad esempio «invitando alla tolleranza» un gruppo di repubblicani e socialisti, decisi a interrompere un comizio tenuto dal Blocco Nazionale a Marina di Carrara. Secondo una pratica di violenta intolleranza che la “sinistra” evidentemente ha nel suo gene, dato che, allora come oggi, ad esempio nei confronti di un Giampaolo Pansa, quando a parlare è qualcuno che non piace lo si interrompe con la forza e lo si estromette con metodi tutto fuori che “democratici”.

Poco dopo questo episodio, ecco la seconda iniziativa del Fascio carrarese: dopo la bastonatura di un fascista da parte degli anarchici, alcuni squadristi che si recavano «per rappresaglia» verso il circolo anarchico locale «vengono accolti a colpi di rivoltella da una cinquantina di anarchici», innescando l’inevitabile reazione… e dopo pochi giorni, ancora il ferimento da arma da fuoco di un fascista provoca la riposta degli squadristi… e la “devastazione” di Fosdinovo, di lì a poco, da parte degli squadristi, non fu che una risposta all’uccisione il 15 giugno del fascista Procuranti… e così via, fino ai ben noti fatti di Sarzana. Qui si ebbe uno degli episodi che meglio si prestano alla contestazione della vulgata antifascista: i carabinieri aprirono il fuoco contro i fascisti che si erano recati a manifestare in favore di Ricci, detenuto per un precedente scontro con i “rossi”, e da cui si era salvato solo grazie al fermo. Risultato: quattro fascisti uccisi e numerosi feriti, cui si aggiunsero altri dieci fascisti ammazzati da una turba di popolani imbestiati. Setta precisava che questi fascisti, aggrediti di sorpresa mentre rientravano da Sarzana, «trovarono la morte a volte in maniera atroce, dopo torture e tremende mutilazioni». Questo sinistro episodio rimase a lungo nella memoria dei fascisti e degli antifascisti: e molte orrende violenze commesse reciprocamente dalle due parti anche all’epoca della guerra civile 1943-45, traevano origine proprio da quel genere di imbarbarimento dello scontro che si palesò a Sarzana. Nei modi voluti dai “democratici”, che aizzarono quel popolaccio al quale i fascisti – come dunque documenta la storia – non fecero che rispondere per le rime.

E tuttavia, lo squadrismo di Ricci fu quanto di più popolare si possa immaginare. Il Fascio di Carrara fu la punta di lancia contro la concentrazione di potere dei “baroni del marmo”, che in città faceva il bello e il cattivo tempo. Setta ha puntualizzato che il Fascismo carrarese dimostra sin dall’inizio «di saper coinvolgere, in termini di consenso, aliquote non irrilevanti di operai del marmo, strappandole al tradizionale anarchismo». L’unico atto politico di attacco al prepotere grande-capitalistico della zona, rappresentato dalle poche famiglie di magnati del marmo, fu lo sciopero fascista del novembre 1924, gestito da Ricci coi toni dell’intransigenza e passando all’azione in maniera molto più concreta di quanto anarchici, repubblicani o socialisti – tradizionalmente egemoni nella zona – avessero mai fatto. Il discorso tenuto da Ricci al teatro Politeama di Carrara il 23 novembre 1924 – con Mussolini al potere – è tipico della coscienza politica del fascismo “di sinistra”, deciso a scrollarsi di dosso la taccia malfamante di essere al servizio del padronato, agrario o industriale. Esso dimostra che quel tipo di interpretazione è falsa oggi, così come era falsa allora. Ricci denunziò «la politica degli industriali, tesa in passato a servirsi dello squadrismo allo scopo esclusivo di difendere la propria “prepotenza feudale”, ed ora ostile al fascismo per la sua volontà insospettata di difendere le masse operaie». Si trattò insomma, come ha puntualizzato Setta, di «un ennesimo attacco contro l’egoismo degli industriali colmo, nonostante la ribadita fede nel principio della collaborazione, di toni classisti, fino all’aperta minaccia di occupazione delle cave…». Il socialismo apuano non si azzardò mai a compiere un atto così radicale nei confronti del padronato… Ma fu forse un’iniziativa isolata di Ricci? Niente affatto. Il PNF erogò sussidi in danaro a favore dei lavoratori, e il capo dei sindacati fascisti, Rossoni, si schierò a lato degli scioperanti. L’episodio rimase negli annali del fascismo rivoluzionario, e fornì anche in seguito un concreto esempio di lotta sociale fascista. Durante il Regime, Ricci fu come noto l’organizzatore dell’Opera Nazionale Balilla, che portò solidarismo, aggregazione, igiene, miglioramento sociale alle masse popolari, e durante la RSI, in qualità di comandante della GNR, che era su base volontaria, si scontrò con Graziani, che volle il malaugurato esercito di leva: fonte prima, come gli storici ricordano, del fenomeno della renitenza che ingrossò le file dei partigiani. Un esercito politico, come Ricci voleva, al contrario, anche se piccolo, avrebbe garantito tenuta ideale, efficienza e combattività, anziché fornire – coi famigerati “bandi Graziani” – manovalanza partigiana a getto continuo. Ricci, per la verità, vide giusto in più occasioni. Se non fu un’aquila politica, fu uomo onesto e convinto delle sue idee, per le quali si espose dal 1921 al 1945. Caso non frequentissimo, conveniamone, di politico fedele ai propri ideali. Anche solo per questo, la sua figura meriterebbe un inquadramento storiografico più degno della sciatta e superficiale rievocazione.

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Tratto da Linea dell’11 settembre 2009.

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