Religiosità del Tirolo

Sul margine del sentiero vi è una grande croce, con una data ed una scritta sbiadita, di cui non ricordiamo con esattezza le parole tedesche, ma che diceva approssimativamente così: “Tu che vai, fermati un istante, guarda i ghiacci e i segni di Colui, che morì per la nostra redenzione, insegnandoci che la morte è la via verso la vita”.

Un’enigmatica leggenda vuole che il Santo Graal, la mitica coppa che raccolse il sangue del Cristo e simboleggiante la tradizione spirituale vivente dell’Occidente medioevale, dalla Spagna – dal Monsalvato di Salvatierra – si sarebbe trasferito dopo varie peripezie in Baviera, e infine in Tirolo.

In Innsbruck, nella “Cappella d’Argento” , fra le statue dei leggendari antenati dell’ultimo cavaliere “Europeo”, di Massimiliano I, si trova quella di Arthur, il re della Tavola Rotonda e, appunto, dei Cavalieri del Graal. Sia pure nella chiusura e nell’irrigidimento propria ad una realtà residuale, nel Tirolo sembra conservarsi qualcosa di questo oscuro retaggio. Le origini della razza prevalente, dinarìca e nordico-dinarìca, non sono chiare. Certo è che il cristianesimo deve aver ravvivato in essa una credità assai più remota, dandole la possibilità di protrarsi, trasformata, in un ulteriore periodo storico.

La presenza di alcuni simboli primordiali in forma cristianizzata, più che occidentale, deve avere questa origine.

E’ per esempio assai diffuso, nelle valli tirolesi ed anche in città, come Innsbruck e Lienz, una strana variante del crocifisso, che poggia sul geroglifo dell’Ariete, formato con trofei di caccia e che porta intorno al Cristo una aureola solare dello stesso tipo radiante delle religioni primordiali. Al sommo di case campestri, sempre fedeli ad un tipo caratteristico di stile, si trovano interessanti combinazioni del crocifisso con figure animali sintetiche, varie a seconda delle valli, le quali conservano con grande verosimiglianza arcaici simboli “totemici”. E così via.

Sono frequenti, in ogni caso, i segni di una religiosità che si stacca dal solito piano sentimentalistico o convenzionale e si porta direttamente al piano della sintesi spirituale.

Poco fa ne abbiamo indicato un esempio. Nell’Oetzal un sentiero che conduce fino ai ghiacci è, per così dire, ritmato dalle immagini della Via Crucis. Le varie stazioni si susseguano a lunghi intervalli, dalla “passione” fino alla resurrezione, là dove il mondo delle rocce finisce e si preludia quello dei ghiacci perenni.

Ciò, in una zona fuori dagli itinerari alpinistici più battuti, come un rito anonimo e silenzioso, ma pur saturo di vivente significato.

Nella zona del Gross-Glockner, in una gola ove scroscia in una turbinosa cascata il torrente generatosi da questa cima, vi è una piccola cappella con vari ex-voto. Uno di essi è rappresentato da medaglie al valore militare, con questa scritta: “A Dio devo il coraggio che mi ha conferito questo onore”.

Ci ricordiamo di una cerimonia celebrata, non sappiamo per quale occasione, nella chiesa di Prägraten. La chiesa aveva l’aspetto di un vero e proprio schieramento. A destra gli uomini, a sinistra le donne, gli uni e gli altri nei costumi tradizionali e in perfetto allineamento. Al centro, una specie di rappresentanza corporativo-militare, in piedi con bandiere e stendardi. Tutti accompagnavano il motivo dato da un organo, ma rinforzato da trombe con un effetto singolare, non privo, malgrado le stonature, di una certa grandiosità. Nel Tirolo non vi è gruppo di case, per remoto ed esiguo che sia, che non abbia la sua cappella e passo montano o punto panoramico che non abbia il suo crocifisso, costantemente rimesso a posto ogni volta che vento o tormenta lo abbiano abbattuto o portato via: quasi come un muto invito a trasfigurare ed integrare quello che, come semplice emozione estetica, può venire dalla contemplazione della natura nella forma superiore di un significato spirituale, per non dire di un simbolo illuminante.

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Originariamente pubblicato sul quotidiano Il regime fascista del 7 novembre 1936.

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