Per bere alle fonti di Allah. Le radici escatologiche del fondamentalismo islamico

isfahan-moscheaCome ogni altra “Religione del Libro”, che, cioè, si rifà apertamente all’insegnamento biblico, anche nell’Islam l’importanza dell’assunto escatologico è notevolissima.

Prima, però, di affrontare direttamente l’argomento, appare necessario chiarire alcuni punti fondamentali del credo mussulmano, dal momento che, negli ultimi anni, a seguito della ricorrente insorgenza di vicende di cronaca internazionale che hanno avuto per protagonisti fondamentalisti islamici, molto è stato scritto su questa religione, ma non sempre a proposito o su basi attendibili, con il rischio di far passare la fede di oltre un miliardo di esseri umani (solo il 20% dei quali si concentra in quelli che, tradizionalmente, sono conosciuti come paesi arabi[1]) come una sorta di cieco fanatismo dai tratti retrivi e violenti: solo una visione più oggettiva di un culto che poggia su fondamenta filosofiche ben lontane dalla follia (e dalla disperazione) dei proclami farneticanti di qualche falange oltranzista ci può permettere di inserire il discorso escatologico islamico nel suo più corretto contesto.

Il termine arabo “Islam” significa letteralmente “sottomissione”: i credenti, conseguentemente, accettano di sottomettersi, in un certo senso di arrendersi completamente al volere di Dio (Allah). Egli è visto come l’Unico Dio, creatore, reggitore e salvatore del mondo. La volontà di Dio a cui l’uomo deve sottomettersi è stata resa nota attraverso il Corano (“Qur’an“), rivelato al messaggero divino Maometto (“Muhammad”), l’ultimo della schiera dei grandi profeti che comprende Adamo, Noè, Mosè, Gesù e molti altri ancora. Questa è l’essenza ultima dell’Islam e, non a caso, per essere considerato un “vero credente” è sufficiente avere la certezza della verità espressa nella semplicissima formula del credo (“Shahadah“): “Non vi è altro Dio al di fuori di Dio e Maometto è il profeta di Dio[2].

Henry Corbin, L'immaginazione creatrice. Le radici del sufismo
Henry Corbin, L’immaginazione creatrice

Naturalmente, da questo nucleo fondamentale, già dalla sua nascita nel VII secolo, l’Islam ha sviluppato una serie di corollari che comprendono elementi riguardanti, ad esempio, la fede negli angeli, la rivelazione divina delle Scritture, la santità dei Profeti e il Giudizio Universale e una serie di doveri del fedele, condensati nei cosiddetti “Cinque Pilastri”: la menzionata professione di fede, la preghiera cinque volte al giorno, l’autotassazione a favore dei poveri (“Zakat“), il digiuno diurno nel mese del Ramadan e il pellegrinaggio alla Mecca (“Hajj“) almeno una volta nella vita[3].

Ma come è nata e si è sviluppata questa fede dall’impressionante capacità missionaria?

Le radici dell’Islam si possono comprendere solo a partire dalla loro contestualizzazione nella cultura di riferimento da cui sono sorte. La Mecca, al tempo della nascita di Maometto era abitata dalla tribù dei Quraysh ed era un grande centro mercantile e di culto, con templi di tutte le divinità del pantheon islamico: la presenza del santuario che conteneva la “pietra nera” (una pietra caduta dal cielo), la “Ka’bah” garantiva sicurezza e pace per chiunque giungesse in città per commerciare e, per questo, i mercati fiorivano.

Le divinità più venerate dell’Arabia pre-islamica erano di matrice astrale, in particolare per quanto riguarda la triade del dio della luna (“Ilah“), della dea del sole e del dio associato al pianeta Venere: il primo, evidentemente originato da una variante del culto babilonese del dio Sin, era a capo di tutti gli altri dei e proteggeva le città e dal suo culto Maometto prenderà il termine Allah (“Al Ilah“), elevandolo al grado di dio unico.

Tra i mercanti che visitavano frequentemente la Mecca, vi erano anche numerosi Ebrei e Cristiani e, certamente, il pensiero del Profeta venne fortemente influenzato da entrambi i gruppi, a partire dal collegamento che egli sviluppò (pur sincretizzando il messaggio torahico con l’occultismo proprio delle religioni arabiche) tra la propria predicazione e quella biblica e dalla rivelazione comunicatagli, a suo dire, dall’arcangelo Gabriele[4].

All’inizio della sua predicazione, comunque, Abu al-Qasim Muhammad ibn ‘Abd Allah ibn ‘Abd al-Muttalib ibn Hasim (questo il nome completo del Profeta) fu aspramente contestato dai suoi concittadini (che, probabilmente, temevano che la radicalità del suo messaggio potesse mettere in pericolo i commerci cittadini) e, nel 622, dovette rifugiarsi nella non lontana città di Medina (con la cosiddetta “Hijrah” o “Egira”, dalla quale gli islamici iniziano il computo degli anni del loro calendario), dove il suo messaggio venne accolto molto più favorevolmente, iniziando a diffondersi in tutta la penisola araba[5].

E’ già da questo periodo iniziale che l’Islam comincia ad acquistare  il suo tratto fondamentale di religione che si esprime sia negli aspetti spirituali che in quelli temporali della vita e che tende a regolare non solo il rapporto tra uomo e Dio ma anche quello tra uomo e uomo, fornendo norme comportamentali pubbliche, religiosizzando ogni istanza sociale e codificando legalmente il governo dello stato sulla base della morale religiosa. E’ da questa sorta di dualismo che si sviluppa uno dei concetti più spesso mal interpretati dell’Islam, la “Jihad”, con non significa tanto guerra santa offensiva, come molti pensano, quanto necessità missionaria di diffondere la legge divina ovunque e di difenderla con ogni mezzo[6].

E’ a partire da tale visione che, dopo la morte di Maometto nel 632, l’Islam si spande nell’arco di un secolo dalla Spagna all’India. Durante tali movimenti di conquista, agli Ebrei e ai Cristiani viene assegnato uno status speciale in quanto comunità che accolgono le Scritture (“ahl al-Kitab“, “popoli del Libro”) e, di conseguenza, “dhimmis“, “protetti”, sebbene anch’essi dovessero pagare una speciale tassa, la “jizyah” come non islamici (che, per altro, portò alla conversione di molti non disposti a pagarla). L’espansione continuerà nel XII secolo in Cina, in Asia Centrale, e verso la Turchia e l’Africa sub-sahariana grazie alla predicazione dei mistici sufi e, nel XIV secolo, con l’arrivo di mercanti mussulmani, in tutto il Sud-Est Asiatico[7].

Matthew Gordon, Capire l'Islam
Matthew Gordon, Capire l’Islam

Uno dei tratti essenziali che emergono durante il periodo dell’espansione è la teoria che qualunque terra sia presa dall’Islam, sia per questo motivo santificata e, se successivamente persa, debba essere riportata sotto la legge santa: da ciò derivano gran parte dei problemi che tormentano ancora oggi il Medioriente, ma, di per sé, non si tratta tanto di una legge fondamentale coranica, quanto solo di una derivazione posteriore[8].

Di fatto, la dottrina mussulmana si basa su quattro fonti principali: il Corano, la “Sunnah” (tradizione), la “ijma” (il consenso della comunità) e lo “ijtihad” (il pensiero individuale).

Il Corano (dalla parola araba che significa “recitazione”) è, come detto, visto come il Verbo di Dio reso noto a Maometto attraverso l’arcangelo Gabriele. Il testo si divide in 114 sure (capitoli), le prime delle quali (rivelate a Maometto mentre ancora alla Mecca) hanno carattere etico e spirituale, mentre le ultime si incentrano sulla legislazione sociale e i principi politico-morali della comunità dei credenti.

La Sunnah comprende tratti di legislazione tribale pre-islamica e fatti, detti ed esempi legati al Profeta: sei libri di “Hadith” (detti di Maometto), scritti nel IX secolo, sono considerati particolarmente autorevoli dai Mussulmani sunniti, mentre gli Sciti osservano una differente tradizione, legata ai detti e agli atti anche dei più stretti congiunti e successori del Profeta.

La ijma rappresenta la legge islamica standard e, a partire dal X secolo è “chiusa”, nel senso che non è consentita alcuna nuova interpretazione legale né del Corano né della Sunnah, la qual cosa, rendendo il sistema fortemente conservatore, ha virtualmente eliminato il senso dello ijtihad (cioè della visione e interpretazione individuale)[9].

L’elemento più caratterizzante e più costantemente ripetuto nel Corano è il rigorosissimo monoteismo: Dio è uno e unico e anche il Trinitarismo cristiano viene completamente ripudiato. Allah è ovunque, ma non risiede in niente e nessuno, è il solo creatore e reggitore dell’universo e ogni creatura è testimone del suo dominio e della sua unità, è giusto, caritatevole, maestoso e ha plasmato ogni cosa, parte del tutto universale, con una propria natura definita e limitata (la limitatezza di ogni creatura contrapposta alla infinitezza del Creatore è uno dei punti più fondamentali della teologia coranica)[10]. Secondo il Corano, Dio ha creato due specie viventi apparentemente parallele: gli uomini plasmati dal fango e i “jinn” plasmati dal fuoco. I secondi, sebbene più responsabili e ragionevoli degli uomini, sono più proni al male ed è per questo che il Libro Sacro è indirizzato al genere umano, affinché possa servirgli da guida.

Nonostante ciò, comunque, anche l’uomo è una creatura fragile e vacillante, ribelle, pieno di orgoglio e che si ritiene autosufficiente. Proprio l’orgoglio è visto come il peggior peccato umano, perché genera l’incapacità di capire la propria limitatezza e la superbia di ritenersi simili a Dio, tentando di violarne l’unicità: la vera fede, allora, sta soprattutto nel comprendere di essere solo cera nelle mani di Dio e nell’essere proni alla sua volontà. Persino l’essere che divenne poi Satana, originariamente era  stato onorato da Dio con una posizione di rilievo nel creato, ma, rifiutandosi di onorare Adamo e, anzi, cercando di indurlo nel peccato, disobbedì alla volontà di Dio per eccessivo orgoglio e venne condannato in eterno. Anche se peccatori, in ogni caso gli esseri umani possono sempre pentirsi e ritornare “veri credenti” (che si contrappongono agli infedeli, o “kafir“), perché Allah è sommamente misericordioso e sempre pronto a perdonare chi si pente sinceramente, gli si sottomette e si conforma ai suoi insegnamenti, espressi attraverso i profeti (che sono esseri completamente umani che hanno accolto in toto gli insegnamenti divini), gli angeli o l’ispirazione celeste[11].

Sempre sulla linea della umiltà richiesta al fedele si pone anche la dottrina islamica relativa all’accumulo di ricchezze: se tale accumulo avviene dimenticando i diritti dei poveri, chi si arricchisce può subire le più dure punizioni sia in questa vita che nell’aldilà, dal momento che la cupidigia viene indicata nel Corano come una delle maggiori cause di decadimento morale della società. Più in generale, la missione ultima della comunità dei fedeli deve essere quella di “favorire il bene e proibire il male”, in modo che “non vi sia inganno e corruzione” sulla terra: anche su questa base deve essere letta la dottrina della vera jihad, il cui senso è, secondo il credente, quello di portare la giustizia dell’Islam nelle società del mondo perché ogni popolo conosca Allah e ogni essere umano possa, di conseguenza, convertirsi, ma mai quello di acquisire potere per fini terreni, tanto che la setta Kharijita, che intendeva la jihad come una guerra continua di conquista di territori da annettere alla “terra dell’Islam” venne, per questo e per le sue pretese ugualitarie (chiunque fosse pio poteva, secondo i suoi appartenenti, porsi a capo dell’Islam, mentre gli Sciti ritengono che tali guide debbano venire dalla famiglia del Profeta e dai discendenti di suo genero Ali e i Sunniti dai Quraysh, la tribù del Profeta), distrutta durante le guerre intramussulmane dell’VIII secolo[12].

Titus Burckhardt, La chiave spirituale dell’astrologia musulmana secondo Mohyiddîn Ibn ‘Arabî
Titus Burckhardt, La chiave spirituale dell’astrologia musulmana secondo Mohyiddîn Ibn ‘Arabî

Da tali guerre, i Sunniti emersero vincitori, forse anche grazie alle loro idee più moderate: essi, infatti, sono forti sostenitori della tolleranza e ciò ha certamente permesso a più sistemi di pensiero di coesistere al loro interno, sebbene numerosi teologi sunniti pongano una forte enfasi sul concetto della onnipotenza divina, a scapito del libero arbitrio, in una concezione notevolmente deterministica (ancora più forte nell’ala mistica Sufi) che, in alcuni casi, è arrivata anche all’accettazione della tirannia.

Contrapposti ai Sunniti, gli Sciti, probabilmente influenzati dalla Gnosi e da concezioni vetero-iraniche, vedono nella figura dei loro capi religiosi (“imam“) una sorta di manifestazione metafisica di Dio: gli imam (lungo la storia, al di la di recenti pretese di stampo politico, ne sono stati riconosciuti una dozzina) sono infallibili e sono in grado di rivelare ai fedeli il vero significato nascosto del Corano, diventando il tramite preferenziale tra uomo e Dio. A differenza dei Sunniti, gli Sciti hanno adottato la dottrina della libertà della volontà umana nella scelta tra bene e male e hanno dato un ruolo di primo piano all’idea di sofferenza e passione per la fede (si pensi, a tale proposito alle processioni di auto flagellanti che ogni anno ricordano la morte violenta del figlio di Ali, Husayn, per mano degli Omayyadi nel 680)[13].

Le differenze di interpretazione tra queste due ali maggioritarie dell’islam sono comprensibili alla luce di una certa vaghezza propria del Corano in relazione alle vie che possono portare alla salvezza umana nella vita di ogni giorno, in questo differendo notevolmente sia dall’Israelitismo che dal Cristianesimo e pur concordando con le altre due Religioni del Libro nell’indicare nella compassione, nella comprensione del prossimo e nella tolleranza una via preferenziale per accostarsi a Dio. Tale comunanza è facilmente spiegabile sulla base della presunta derivazione vantata dall’Islam dalla storia biblica: sebbene senza alcuna base storica, infatti, i mussulmani affermano che il “loro antenato” Ismaele e non Isacco fosse l’erede reale di Abramo e che Gesù (chiamato “Isa”), nato da una vergine e senza peccato, sia stato l’ultimo grande profeta prima di Maometto, che abbia compiuto miracoli e predicato il volere di Dio (sebbene il suo Vangelo sia poi stato distorto dai Cristiani), che dopo che qualcuno aveva preso il suo posto sulla croce sia asceso al cielo, che abbia promesso di mandare un nuovo redentore, concretizzatosi nel Profeta e che (ma non si tratta di una dottrina condivisa da tutti), un giorno, tornerà per aiutare nel giudizio dei vivi e dei morti[14].

Questa ultima idea ci conduce, finalmente, all’analisi dell’escatologia islamica.

In piena consonanza con la tradizione biblica, alla fine dei tempi si avrà la resurrezione dei morti e il giudizio finale di ciascuno in relazione alle sue opere: coloro che verranno condannati, bruceranno nel fuoco infernale, che divorerà le loro carni e i loro cuori, mentre coloro che saranno benedetti conosceranno i piaceri, sia fisici (“S’assomiglia il Giardino promesso ai timorati di Dio a qualcosa sotto la quale scorrono i fiumi, e i suoi frutti saranno perenni, e la sua ombra. Questa sarà la Dimora Finale di quelli che temono Iddio…[15] e, se caduti per l’Islam, i fedeli saranno presi in cura da 40 vergini, le “huri“) che spirituali (dati dalla vicinanza di Dio) del paradiso (“janna“)[16].

Se queste credenze sono proprie e riconosciute da tutti i gruppi islamici, sicuramente la tradizione escatologica più ricca è quella degli Sciti, molti dei quali, come accennato, vedo in Isa colui che giudicherà gli esseri viventi con (o, secondo alcune fonti essendo il) “Mahdi”.

Quella del “Mahdi” è una delle figure più tipiche dell’Imamitismo scita, ma è ben presente anche nella tradizione sunnita. Costui, il cui nome significa “il ben consigliato”, sarà un Imam di incredibile forza e saggezza che, secondo la tradizione scita, “discenderà nella Terra Santa, in un posto chiamato Afiq, con una lancia tra le sue mani; egli ucciderà con essa al-Dajjal [la versione islamica dell’Anticristo] e si recherà a Gerusalemme per la preghiera del mattino. Qui l’imam cercherà di cedere il suo posto a Isa, ma quest’ultimo rifiuterà e pregherà dietro di lui, secondo la Sharia [Legge Santa] di Maometto. Poi, egli ucciderà un maiale, distruggerà la croce e ucciderà tutti i Cristiani che non credono in lui. Quando al-Dajjal sarà ucciso, tutte le Genti del Libro crederanno in lui e formeranno una unica comunità che si sottomette al volere di Dio. Isa, a questo punto regnerà rettamente e dopo quarant’anni morirà e verrà sepolto a Medina di fianco a Maometto e tra Abu Bakr e Omar[17].

Come accennato, la tradizione mistico-escatologica mussulmana è pressoché concorde nell’assegnare sia a Isa che al Mahdi un ruolo fondamentale nella “qiyama“, la resurrezione finale, probabilmente sulla base del versetto coranico: “Egli [Isa] è un annuncio dell’Ora.  Non dubitatene e seguitemi, questa è la retta via[18], che potrebbe far intendere che la discesa di Isa durante il periodo di governo del Mahdi porterà al compimento finale.

Nello sviluppo del ruolo escatologico del Mahdi nella tradizione scita, comunque, come visto, si pone una grande enfasi nel ruolo superiore del Mahdi che, come imam e discendente di Maometto, verrà seguito da Isa, ma, curiosamente, nella tradizione successiva al X secolo, i loro ruoli vengono spesso mescolati e confusi[19]. D’altra parte, ciò è comprensibile alla luce del fatto che alcuni esegeti sunniti, certamente in contrapposizione allo Scitismo, riportano una tradizione secondo la quale il Profeta avrebbe detto: “Non vi è altro Mahdi, se non Isa, il figlio di Maria[20], con ogni probabilità per minare le speranze chiliastiche scite e minimizzare l’importanza attribuita dal gruppo rivale alla figura del Mahdi, opponendo a tale credenza la mancanza di qualunque menzione coranica di tale figura messianica.

In effetti, tra gli Sciti la speranza nell’avvento del Mahdi (che, lo si ripete ancora, è comunque propria anche di molti gruppi sunniti) ha un ruolo davvero preponderante a livello escatologico. Leggiamo quanto riporta l’islamista Abdulaziz Abdulhussein Sachedina a tale proposito: “Nelle tradizioni scite, la funzione di uccidere al-Dajjal è riservata al Mahdi. In una antichissima storia si riporta che Ali abbia risposto ad una domanda sul Dajjal, descritto come un uomo con un occhio solo, fiammeggiante come la stella del mattino al centro della fronte, su cui è impressa, leggibile per letterati e illetterati, la scritta ‘Questo è l’infedele’ e il cui avvento sarà anticipato da tempi di estrema durezza. Egli apparirà su un asino e il suo richiamo sarà udito da un capo all’altro della terra, quando annuncerà alla gente di essere il loro creatore e signore. Coloro che quel giorno lo seguiranno saranno nemici di Dio e saranno riconoscibili perché indosseranno qualcosa di verde sul loro capo. Dio li farà perire in un luogo chiamato Afiq , in Siria, tre ore dopo l’alba di venerdì, per mano di colui dietro il quale Isa pregherà. Dopo la sua morte [del Dajjal] accadrà un grande evento, la rivoluzione del dodicesimo Imam, che avrà inizio dalla zona di Safa, nel recinto della Qaba. Da quel momento in poi nessun pentimento verrà più accettato. Il ruolo di al-Dajjal alla fine dei tempi è quasi identico a quello di Satana, così come spiegato dalle fonti tradizionali, perché egli tenterà la gente dando loro cibo e acqua, che saranno scarsi in quei tempi. Si riporta che il Profeta abbia detto che dai tempi di Noè non vi sia stata nessuna Umma [comunità di fedeli] che non abbia temuto al-Dajjal e le sue tentazioni; ogni profeta ha ammonito la sua comunità contro questo tentatore. L’episodio dell’insorgenza di al-Dajjal è spesso stato interpretato come una sorta di test per distinguere i veri credenti di Dio da quelli falsi[21].

Titus Burckhardt, L'arte dell'IslamUn altro brano che ci può far comprendere come quella del Mahdi sia una figura non confinata al solo Scitismo ma, pur con accenti differenti, propria di tutte le correnti islamiche è il seguente, tratto da The Islamic Understanding of Death and Resurrection di Jane Idleman Smith e Yvonne Yaybeck Haddad, che, a loro volta, citano un lavoro precedente di Ahmad Galwash[22]: “E’ risaputo (e generalmente accettato) da tutti i Mussulmani di ogni epoca che, alla fine dei tempi, un uomo dalla famiglia del Profeta farà senza dubbio comparsa e rafforzerà la religione e farà trionfare la giustizia. I Mussulmani lo seguiranno ed egli otterrà dominio su tutte le terre islamiche . Sarà chiamato il Mahdi e, subito dopo di lui apparirà l’Anticristo e, con lui, tutti i segni dell’Ora finale, così come stabilito nella tradizione, la Sahih. Dopo il Mahdi, Isa scenderà e ucciderà l’Anticristo, oppure Isa scenderà con il Mahdi e lo aiuterà a uccidere l’Anticristo e poi seguirà il Mahdi nella preghiera[23].

Come è possibile notare, il quadro, nato dalla fusione di tradizioni  e filoni teologici differenti, non è chiarissimo, ma la sequenza risulta più o meno comune a tutti i gruppi religiosi: sebbene, infatti, il Corano non presenti una marcata impronta messianista o millenarista, già a partire dalla fine del VII secolo numerosi testi della Hadith contengono visioni riguardanti un’era messianica[24].

Con molte probabilità, il messianismo originale doveva essere riferito a Isa, con una ripresa neotestamentaria che fonda le sue radici nell’ascesa al cielo del “penultimo profeta”[25], ma già a metà del VII secolo il titolo di Mahdi comincia a circolare nelle comunità islamiche, collegato a figure politiche e religiose eminenti.

E’ possibile che, dalla mescolanza delle due figure, l’immagine messianico-millenarista abbia cominciato a sedimentarsi, raggiungendo una più chiara formalizzazione durante la rivoluzione Abbaside (740-749): è, infatti, in questo periodo che comincia a circolare sempre più frequentemente l’idea che il Mahdi sorgerà a est, nella regione del Khorasan (fra l’odierno Iran orientale e l’Afghanistan), solleverà un esercito, marcerà lungo la pianura iranica fino all’Iraq e, dopo aver purificato i domini islamici, stabilirà il suo regno messianico. E’ impossibile non notare come questo scenario rifletta da vicino la salita al potere degli Abbasidi e sia stato utilissimo per legittimare politicamente e religiosamente (dobbiamo ricordare che nell’Islam i due termini sono praticamente sinonimici[26]) la loro rivoluzione[27]. In contrasto con questa visione, la figura di Isa, intoccabile perché menzionata dal Profeta, doveva assumere un ruolo più defilato e, di conseguenza, Egli diventa colui che abbatterà il Dajjal e che aprirà la strada all’era messianica mahdita, pur essendo spiritualmente inferiore al Mahdi stesso. La variante scita, in sostanza, ha una valenza altrettanto politica, servendo ad avvalorare, con l’idea che il Mahdi sia il dodicesimo Imam, la validità della pretesa di una guida spirituale dell’Islam che debba derivare direttamente dalla famiglia di Maometto, idea che dall’874[28] risulta perdente e minoritaria all’interno del mondo mussulmano, e la profezia di una vendetta di tale Imam contro tutti coloro che avevano perseguitato i veri credenti sciti.

Al di là delle differenze dogmatiche tra Sciti e Sunniti, va comunque sottolineato come per entrambi il periodo messianico non sarà eterno: i Sunniti ritengono che durerà tra i cinque  e i nove anni, mentre gli Sciti credono possibile una durata compresa tra i venti e i quarant’anni (in alcune versioni si arriva, però, a parlare di trecento anni[29]). Per tutti, comunque, tale intervallo di tempo, che aprirà la strada al Giudizio Finale, avrà le tipiche caratteristiche messianiche di palingenesi, restaurazione del diritto ed eliminazione del peccato[30].

Non è, dunque, ancora una volta, affatto strano che, a partire dagli Abbasidi (747-1258), un gran numero di dinastie sia sunnite che scite abbiano utilizzato pretese e slogan messianico-millenaristi per giustificare il loro dominio. Così, tutti i primi sette governanti abbasidi assunsero titoli messianici e diffusero l’idea che il loro governo fosse il regno messianico promesso[31]. Dopo di loro (e, in alcuni casi, contemporaneamente a loro), altri regnanti si appropriarono dell’idea messianica, manipolandola: la maggior parte di essi utilizzarono il concetto tradizionale secondo il quale ogni cento anni Allah invia un “mujaddid”, un rinnovatore per  rendere attuale la sua religione, e utilizzarono apertamente tale idea, nata come spirituale, per legittimarsi politicamente[32].

Orüç Güvenç, Musiche mistiche dell'Islam. La danza cosmica dei sufi. Con cd audioNell’899, i cosiddetti Sciti Settimani (cioè coloro che accettavano solo i primi sette Imam come discendenti diretti della famiglia di Maometto), poi noti con il nome di Ismailiti, proclamarono il loro regno messianico in Africa settentrionale e la dinastia da essi fondata, i Fatimidi, dopo essersi spostata in Egitto e aver fondato Il Cairo (nel 969), entrò in competizione per il dominio sul mondo islamico con gli Abbasidi, pur abbandondo, nel tempo le sue pretese mahdite[33].

Quando, nel 1258, gli Abbasidi persero il potere per mano dei Mongoli, il sistema di auto legittimazione millenarista si sparse per tutto il Medioriente, prendendo forme diverse, per lo più strettamente legate all’idea di rinnovamento religioso. Un buon esempio in tal senso è dato dalla dinastia Safavide (1499-1736) che convertì la Persia allo Scitismo sfruttando le attese spasmodiche che accompagnarono l’anno 1000 islamico (equivalente all’anno cristiano 1591-92), per poi, una volta passata la data fatidica, annientare fisicamente la setta più strenuamente millenarista, quella dei Kizilbashiti[34].

Un altro paradigma largamente utilizzato per legittimare il proprio potere in senso messianico fu quello della “stabilità e giustizia universale”, come fece la dinastia ottomana (circa 1300-1918), in particolare sotto Solimano il Magnifico (1520-1566), non a caso detto anche Solimano il Legislatore[35], o come, seppur in modo più marginale, fece Timur il Grande (noto come Tamerlano, 1336-1405) che, addirittura, si rifece ad oracoli astrologici e calcoli astronomici per assumere il titolo chiaramente messianico di “Sahib-i Qiran” (“Signore della Congiunzione Favorevole”), poi parzialmente ereditato dai suoi successori turchi e persiani, che si fregiarono del titolo di “inviato dal cielo”[36].

Naturalmente, non tutti i “millenaristi” ebbero successo e alcuni dei maggiori fallimenti di pretesi messia sono tra le pietre miliari della storia islamica: la rivolta messianica di Muhammad al-Nafs al-Zakiyya, un discendente di Maometto, a Medina nel 762 (rivolta che, per altro, ebbe certamente un suo ruolo nella formazione dell’idea del Mahdi) o le pretese salvifiche per il popolo siriano legate alla figura del Sufyani, un discendente del califfo Mu’awiya bin Abi Sufyan (602-680), sono solo alcuni esempi in questo senso[37].

Nonostante questi fallimenti, comunque, l’idea di un’epoca messianica presieduta dal Mahdi  continuò a prosperare, divenendo, tra l’altro, uno dei maggiori temi letterari e sociali dell’islam contemporaneo: non è un caso che idee millenariste riguardanti l’anno islamico 1400 siano state espresse ancora nel 1979 in relazione alla rivolta messianica di Muhammad al-Qahtani e Juhayman al-‘Utaybi alla Santa Moschea della Mecca e alla rivoluzione islamica in Iran[38].

Il fatto è che il tema apocalittico è, da sempre, un tema di grande potenza, nell’Islam come in ogni altra religione: la fede in una fine del mondo imminente cambia la gente e le dà la forza di una convinzione assoluta che Dio sia a fianco del credente, la presenza di uno scopo definito e l’impeto per superare ogni avversità. Tutti e tre questi elementi sono presenti in ogni vero gruppo apocalittico e, notoriamente, la loro unione può essere molto pericolosa. Il fatto è che tale unione non è caratteristica solo dell’Islam. Certo, l’Islam è una religione con forti componenti escatologico-apocalittiche e sicuramente la spinta all’islamizzazione del mondo prima del Giudizio Universale è stata una molla fondamentale nella spettacolare espansione della religione mussulmana nel corso dei secoli, ma tutte le religioni più importanti hanno avuto fortissime caratterizzazioni in questo senso.

Massimo Campanini, Il Corano e la sua interpretazione
Massimo Campanini, Il Corano e la sua interpretazione

Se vogliamo comprendere l’Islam radicale, fondamentalista (che, lo si ricorda, è ben diverso dall’Islam moderato, che accoglie il senso della jihad come precedentemente osservato), non è tanto alla storia che ci dobbiamo rivolgere, quanto alla sociologia religiosa legata all’apocalisse. Per molti Mussulmani, quello che stiamo vivendo oggi è una specie di mondo sottosopra, i cui valori sono completamente rovesciati, sviati anche nelle terre dell’Islam dai missionari dell’età colonialista e dalla colonizzazione culturale e in cui la Legge di Dio deve essere ristabilita per mezzo di una guerra apocalittica[39].

La percezione più comune è che Dio stia provando la fede dei singoli in attesa della “battaglia finale” e se anche questa idea rimane latente nella maggior parte dei credenti, essa assume un carattere preponderante nei gruppi più fortemente radicali[40]: eventi come le guerre arabo-israeliane, la questione afghana e le Guerre del Golfo vengono sempre più viste come passaggi del periodo pre-apocalittico e, in queste condizioni, diventa facile attribuire la denominazione di “al-Dajjal” a questo o quel paese o personaggio politico ostile. Non è affatto un caso che tutti i movimenti più estremisti si rifacciano continuamente alla predicazione apocalittica e distribuiscano materiale evidentemente millenarista.

Purtroppo, si tratta, ancora una volta, come lungo tutto il corso della storia, come in praticamente tutte le religioni, di una strumentalizzazione a fini politici di temi che trovano il loro fondamento, la loro ragion d’essere, nei più profondi e reconditi meandri dell’animo umano.

Purtroppo, la storia ci ha insegnato che tali strumentalizzazioni politiche, artigliandosi alle paure più profonde, alle speranze più inespresse, finiscono solo per addormentare la ragione, divenendo causa delle tragedie più immani.


[1] Fonte: www.adherents.com

[2] J.L. Esposito, What Everyone Needs to Know about Islam, Oxford University Press 2002, p.19

[3] Ivi, pp. 26-51 passim

[4] M.Sicker, The Pre-Islamic Middle East, Praeger Publishers 2000, passim

[5] S.H. Nasr, Islam: Religion, History, and Civilization, HarperOne 2002, pp. 42 ss.

[6] A. Sita, The True Meaning and Implications of Jihad, IUniverse 2002, pp. 26 ss. e passim

[7] K.Armstrong, Islam: A Short History, Modern Library 2002, pp.106 ss.

[8] A. Sita, Citato, pp.83-87

[9] I.Goldziher, A.Hamori, B. Lewis, Introduction to Islamic Theology and Law, Princeton University Press 1981, pp. 21-47 passim

[10] Ivi, p. 71

[11] Ivi, p. 78

[12] H. Laoust, Les schismes dans l’Islam: Introduction a une Etude de la Religion Musulmane, Payot 1977, pp.163-165

[13] Ivi, pp. 53 ss

[14] J. Ankerberg, E.Caner, The Truth About Islam and Jesus , Harvest House Publishers 2009, passim

[15] Corano, Sura XIII:35

[16] J. Idelman Smith, Y.Yazbeck Haddad, The Islamic Understanding of Death and Resurrection, Oxford University Press 2002, pp.29 ss

[17] Riportato in: A.J. Quinnell, The Mahdi, Mass Market Paperback 1983, pp.78-79

[18] Corano, Sura XLIII:61

[19] A.J. Quinnell, Citato, pp.97-98

[20] Ivi, p. 101

[21] A. A. Sachedina, Islamic Messianism: The Idea of Mahdi in the Twelfth Shei’ism, State University of New York Press 1981, pp.31-32

[22] A. Galwash, The Religion of Islam, Hafner Publishing 1940, pp.106-107

[23] J.Idleman Smith,Y.Yaybeck Haddad, Citato, p. 68

[24] M. Hisham Kabbani, The Approach of Armageddon? An Islamic Perspective, Islamic Supreme Council of America 2003, pp.16-17

[25] Corano, Sura III:55

[26] N. Ayubi, Political Islam: Religion and Politics in the Arab World, Routledge 2003, p.28

[27] W.F. Tucker, Mahdis and Millenarians, Cambridge University Press 2008, pp.68-79

[28] Anno dell’ascesa dei Samanidi sunniti in Persia

[29] D. Cook, Studies in Muslim Apocalyptic, Darwin Press 2003, pp.209-210

[30] W.F. Tucker, Citato, passim

[31] Ivi, pp.31-39

[32] Ivi, pp.63 ss.

[33] Ivi, pp.84 ss.

[34] Ivi, pp.92 ss.

[35] Ivi, pp.111 ss.

[36] Ivi, pp.132 ss.

[37] Ivi, pp.157 ss.

[38] N. Ayubi, Citato, pp.184-193

[39] D.M. Haugen (a cura di), Islamic Fundamentalism, Greenhaven Press 2007, pp.38-40

[40]Ivi, pp.38-40

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Nato a Londra nel 1968 ma italiano di adozione, si laurea a 22 anni con il massimo dei voti in Lettere Moderne presso l'UCSC di Milano con una tesi sui rapporti tra cultura cabbalistica ebraica e cinematografia espressionista tedesca premiata in Senato dal Presidente Spadolini. Successivamente si occupa di cinema presso l'Istituto di Scienze dello Spettacolo dell'UCSC, pubblicando alcuni saggi ed articoli, si dedica all'insegnamento storico, ottiene un Master in Marketing a pieni voti e si specializza in pubblicità. Dal 2003 si interessa di storia e simbologia religiosa: nel 2006 pubblica Il Graal è dentro di noi, nel 2007 Non per mano d'uomo? e nel 2009 L’anima e la svastica. Nel 2008 ottiene, negli USA, "magna cum laude", un dottorato in Studi Religiosi a cui seguono un master in Studi Biblici e un Ph.D in Storia della Chiesa, con pubblicazione universitaria della tesi dottorale dal titolo Nicea: what it was, what it was not (2009). Collabora con riviste cartacee e telematiche (Hera, InStoria, Archeomedia) e portali tematici, è curatore della rubrica "BarBar" su www.storiamedievale.org e della rubrica "Viaggiatori del Sacro” su www.edicolaweb.net. Sito internet: http://www.lawrence.altervista.org.

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