Quando Gundam ci insegnò che il nemico non è mai il male assoluto

Chi si recasse a Tokyo vi vedrebbe, nel bel mezzo di un giardino pubblico, una statua bianca con un torace blu e rosso, alta diciotto metri. Gli ignari penseranno alla rivisitazione futuribile di un samurai. Glielo faranno pensare soprattutto il volto incorniciato da un elmo inconfondibile, e le due spade incrociate sul dorso. Non può che essere il temibile guerriero della tradizione nipponica, ma non è così: è un omaggio a quello che, nonostante i suoi «colleghi» forse più noti e famosi in Occidente, viene considerato in Giappone il più popolare e amato personaggio degli anìme (i cartoni animati) nipponici. E cioè Gundam, il vero emblema degli automi antropomorfi la cui incredibile saga internazionale è iniziata nel 1972 con Mazinga, Goldrake (1974) e Jeeg (1975) (tutti creati da Go Nagai).

Erano i robot giganti: alti tra i 12 e i 25 metri, pesanti fra le 25 e le 32 tonnellate, guidati da giovani che s’innestano nella loro testa, combattevano contro le invenzioni di scienziati pazzi come il Dottor Hell, o malvagi imperi sotterranei come quello di Jamatai, in una mescolanza di superscienza e supermagia. Ogni episodio è autoconclusivo e segue, in sostanza, sempre l’identico schema. Storie per bambini e ragazzi che, all’epoca, rinverdivano in chiave fantastica e tecnicizzata il mito medievale dell’eroe senza macchia e senza paura che combatteva contro mostri, maghi, dèmoni, re crudeli. Questa volta però rivestito di un’armatura diventata ipertecnologica e con armi avveniristiche. Il tutto rivisitato secondo l’imperitura tradizione culturale giapponese, che si rifaceva ai samurai e alla sua tradizione mitologico-religiosa.

Erano i «robottoni», furoreggiavano all’epoca con fumetti, giochi e pupazzi, ma soprattutto con le loro colonne sonore vendutissime nei 45 giri e che ancora si ricordano con nostalgia, insieme a frasi passate alla storia: chi non ha mai sentito almeno una volta «Alabarda spaziale!», «Pugni atomici!», «Doppio maglio perforante!», «Missile centrale!» (nel Grande Mazinga fuoriusciva dal… basso ventre). Ma le cose non furono così semplici. Infatti, poco dopo il loro arrivo in Italia (1980) esplose la polemica: da un lato le «associazioni dei genitori» che accusavano di violenza i «robottoni» e dall’altro la denuncia di propagandare una visione quasi «fascista», dato che il samurai, eroe solitario guidato dall’etica dell’onore, si propone paternalisticamente come un difensore del popolo, sottraendogli la sovranità. Sciocchezze ideologizzate.

Erano gli anni Settanta-Ottanta, oggi i robot giganti hanno compiuto e superato i trent’anni, e una piccola ma agguerrita casa editrice, la Iacobelli, sita nei Castelli Laziali, in quel di Pavona di Albano, ha creato una illustratissima e documentatissima (ancorché impaginata in modo un po’ caotico) collana dedicata a questi personaggi, di cui sono usciti i volumetti dedicati a Mazinga e Jeeg Robot di Alessandro Montosi, e Gundam di Davide Castellazzi.

L’apparizione di Gundam segnò una svolta epocale per questi personaggi. Yoshiyuki Tomino, che lo creò nel 1979, in un’intervista ha affermato: «Volevamo aggiungerci la fantascienza e una trama più complessa delle altre». Ecco le prime differenze fra lo stile Mazinga e lo stile Gundam: i riferimenti fantascientifici sono esplicitamente tratti dalla science fiction di un grande scrittore oggi quasi dimenticato, Robert A. Heinlein, e da suoi due romanzi Fanteria dello spazio (1959) e La Luna è una severa maestra (1966) che, benché fossero stati accusati di essere militaristi e di destra, vinsero il «Premio Hugo» come migliori romanzi dell’anno. Quindi, la trama: non episodi autoconclusivi e ripetitivi nella scaletta delle sequenze, ma una lunga vicenda a seguire che narra la «Guerra di un Anno», cioè quella delle colonie, mondi artificiali in lontane orbite circumterrestri, e il pianeta di origine, con personaggi psicologicamente complessi e un intrecciarsi di vicende.

Ma il lato più interessante, impegnativo e nuovo della saga di Gundam è che nell’anno 0079 dell’Universal Century (cioè, il 2124) non c’è un Male Assoluto e un Bene Assoluto, ma un mondo pieno di sfumature dove tutti e due i contendenti hanno, come dice Davide Castellazzi, «i loro scheletri nell’armadio». Gli eroi e i coraggiosi ci sono – e vengono riconosciuti come tali – sia nella Federazione Terrestre sia nel Principato di Zion, così come i traditori e i paurosi. E gli assi delle due fazioni, Amuro Rei e Char Aznable, hanno entrambi i loro pregi e difetti. Insomma, c’è umanità e c’è pure (incredibile a dirsi) una spiegazione delle motivazioni di una parte e dell’altra, e anche i personaggi più antipatici si dimostrano mariti e padri amorevoli.

Così, lo scontro fra i robot giganti come il terrestre Gundam guidato da Amuro, e nelle diverse versioni dai suoi amici, da un lato, e gli Zack, i Guf, i Gock di Zion dall’altro, non è tanto fra mostri d’acciaio, quanto solo uno scontro fra guerrieri delle stelle che guidano armature futuribili quasi fossero loro estensioni corporee. E proprio come gli antichi samurai hanno un codice d’onore che, indipendentemente dalla parte in cui militano, cercano di rispettare. Non sempre, a causa d’imprevedibili contingenze o di scatti umorali, ma almeno hanno un punto di riferimento, mentre combattono una guerra spaziale con milioni di morti. La guerra spaziale dei samurai del futuro.

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Tratto da Il Giornale dell’11 marzo 2010.

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Giornalista, vicedirettore della cultura per il giornale radio RAI, saggista ed esperto di letteratura fantastica, curatore di libri, collane editoriali, riviste, case editrici. E' stato per molti anni presidente, e successivamente segretario, della Fondazione Julius Evola.

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