Psicopatici contro Degrelle

L’antropologia culturale conosce da sempre un fatto: in ogni epoca e presso tutti i popoli, la cultura umana, così come la stessa natura, sono strutturate per coppie di opposti: sole-luna, verticale-orizzontale, buono-cattivo, luce-tenebra, amore-morte, puro-impuro, etc. Tutti sanno che questa costante polarità è stata individuata come base di ogni religione: ad esempio, da Mircea Eliade, nel suo discorrere della fondamentale opposizione sacro-profano. Lo stesso cristianesimo, basta pensare all’Apocalisse di Giovanni, è dominato dalla coppia di opposti bene-male. È appena uscito un piccolo libro, Il secco e l’umido. Una breve incursione in territorio fascista, di Jonathan Littell (Einaudi), che appunto sui due opposti gioca il suo assunto: l’autore afferma che questo modo di intendere le cose è tipicamente “fascista”. E individua il “fascista-tipo” in Léon Degrelle, vedendo in ogni pagina dei suoi racconti di guerra l’opposizione tra ciò che è asciutto, e quindi per il “fascista” è giusto, sano e umano, e ciò che invece è umido, e che rappresenta l’oscuro, l’informe, il malvagio. Da una parte i tedeschi o i volontari valloni, eretti e verticali, dall’altra le masse bolsceviche, orizzontali e melmose. Questo, secondo Littell, testimonia la bassezza morale e la disumanità congenite del “fascista”. Littell era già noto per aver scritto un romanzo di mille pagine, intitolato Le benevole, pure pubblicato in Italia da Einaudi – in cui si narra la vita di un ufficiale nazista implicato in tutte le nefandezze possibili – e che fece rumore alla sua uscita: l’autore si segnalava come un virtuoso della descrizione trucida e del particolare rivoltante.

Noi osserviamo che, per il tipo di prosa, per le scelte lessicali e le ossessioni che la governano, la mente di Littell ha un vizietto: su di essa i nazisti fanno colpo. Il suo immaginario ne è saturo. Come spesso accade, si ripete in qualche modo la sindrome del “portiere di notte”: i nazisti sono cattivi e spietati… ma quanto mi piacciono! Questo il background psicopatico di certi antifascisti afflitti da inconfessabili complessi d’inferiorità. Così, adesso, Littell ha una nuova crisi di attrazione-repulsione per il “fascista”, e ci riprova con questo piccolo saggio sull’abiezione. La sua. Avvertiamo che siamo di fronte a un momento topico della mentalità progressista di ultima generazione, un vero capolavoro dello psicologismo post-freudiano: dire “il secco e l’umido”, nelle intenzioni dell’autore, significa parlare della nevrosi paranoide che connoterebbe ogni “fascista”. Infatti, per Littell il “fascista” non è un uomo normale, anzi non è neppure un uomo. Ma, secondo le più pedestri vulgate post-freudiane, è un torbido coacervo di paure, di angosce represse, di innominabili perversioni. Al cui vertice starebbero proprio l’odio e il terrore per ciò che è liquido, che nasconde la femmina, il diverso, l’oscuro.

Ma Littell stesso, secondo questa sua tipologia, rappresenta alla perfezione il “fascista” come lui si immagina che sia: ossessionato da una forma alla quale si sente opposto. Littell è perseguitato infatti dalla figura del “fascista”, questo è il suo trauma. Il “fascista” di Littell testimonia la demenza dell’analista: egli condanna chi odia il “diverso”, ma nello stesso momento crea un’antropologia criminale e depravata di questo stesso “diverso”, cioè lo imita. Littell odia il “fascista”, un “tipo” partorito dalle sue paure, e che spadroneggia nella sua fantasia. Ma ne scrive troppo e troppo visceralmente. Dietro, dev’esserci un complesso irrisolto dell’autore. Dietro, freudianamente, deve esserci certo qualche trauma patito nell’infanzia… Littell, vogliamo dire, è esattamente il “fascista” che descrive. Egli sfoga odio metafisico, de-umanizza Degrelle, lo addita al disprezzo, ne esige la condanna senza appello: messo in un campo di concentramento dalla parte degli sbirri, non si può dubitare che Littell sarebbe il più sadico e il più efficiente degli aguzzini.

In modo lampante, i suoi scritti presentano un fuoco persecutorio che è patologia allo stato puro. Non occorrono sofisticate analisi scientifiche sull’inconscia polisemia del linguaggio di Littell. Egli è nascostamente, ma chiaramente attratto da certi dettagli del mondo fascista, e senza volerlo lo rivela: ad esempio, l’omosessualità di Ernst Röhm, di cui accenna: e poi, il protagonista del suo Le benevole, che è un nazista pederasta… Ciononostante, il “fascista” immaginato da Littell ripudia l’omosessualità, dunque è un nevrotico, uno spostato mentale. Littel non si arresta alla contraddizione, va oltre, nei pascoli del suo infelice psicologismo: pederasta o no, il “fascista” è comunque un essere immondo, così deve essere. Per avere un’idea dello squilibrio psichico di questo nuovo campione dei salotti-bene della borghesia progressista che è Littell, leggiamo il seguente passo da Il secco e l’umido: «Il potere deterritorializzante dell’ano è davvero troppo corrosivo, la sodomia minaccia i limiti in un modo sostanziale, che il fascista non è in grado di tollerare… è un peccato che Degrelle non sia mai stato capace di aprirsi a questa forma di piacere: forse, per diventare un essere umano, gli mancava appunto solo una bella inculata…». Potrebbe essere espressa meglio di così la violenza del lessico e dell’ideologia da fogna di Littell? Non si attua qui una tetra dis-umanizzazione dell’Altro, una cieca intolleranza contro il “diverso”? Degrelle non è neppure un essere umano… almeno fosse stato pederasta, invece niente, tra tante depravazioni il capo rexista non ebbe neppure quell’unica virtù. Di tale specie è lo psicodramma in cui si dibatte lo scrittore, questa recentissima icona post-freudiana, questo seguace di successo di Guattari e di Deleuze, i guru della cosiddetta “antipsichiatria francese” che va tanto di moda…

La demenza dell’analista, dicevamo: «La campagne de Russie è innanzi tutto una grossa operazione di salvataggio dell’Io degrelliano… la scrittura permetterà a Degrelle di tenere sotto controllo le acque che sommergono la sua psiche…». Questa è la tesi di fondo del libello. Ma prendiamo qualche perla qua e là. Littell scrive che, dalle memorie di guerra di Degrelle intitolate La campagne de Russie (un libro in Italia conosciuto come Fronte dell’Est) si scopre ovunque la tara del “fascista”. Ad esempio, nell’episodio dei prigionieri russi che si cannibalizzano per fame. Ciò accadde veramente, e lo stesso Littell dice essere stato «certo una realtà, peraltro poco sorprendente viste le condizioni di detenzione». Ma a Littell non interessa la realtà. Il fatto che Degrelle descriva questa manifestazione dell’orrore, e che la deplori, diventa subito per Littell una prova d’infamia: ecco qua il depravato “fascista”, quello che prova ribrezzo di fronte a certe abiezioni nemiche. Il “fascista” Degrelle è sempre malato e patologico: quando narra l’orrido, quando descrive gli assalti animaleschi di certe soldataglie, quando cerca di separare la miseria, la bruttezza della morte al fronte, gli aspetti grotteschi dei cadaveri, dalla sua integrità, dalla sua voglia umana di uscire pulito da tanto abbrutimento. Il “fascista” è sempre per Littell un paranoico: «ciò che è in gioco, per il fascista, è l’integrità del suo corpo…». Ne deduciamo, secondo logica, che per l’antifascista l’integrità del corpo non sia un valore. E poi: «…il corpo è essenzialmente un sacco pieno di liquido… e, quando viene aperto, il liquido cola da ogni parte. E questo deflusso, questa liquefazione corporea, terrorizza il fascista…». E l’antifascista? Non si terrorizza davanti a questi spettacoli? Littell ce l’ha con il “fascista”, con il “maschio-soldato”, a tal punto da smarrire completamente il contatto con la realtà, da confondere il sano con l’insano, da parlare letteralmente a vanvera: siamo di fronte a un caso clinico. Il matto che dà del pazzo al sano. Di tal fatta sono gli “intellettuali” che vanno per la maggiore nel mondo alla rovescia dei progressisti. Prendiamo nota di questi sottomondi che ci vivono accanto. Essi sono la spia del disagio mentale che governa la tarda “democrazia”.

Non parleremmo tanto di questo autore bisognoso di amorevoli cure psichiatriche, se non fosse che rappresenta come meglio non si potrebbe la catastrofe mentale della cultura occidentale. Egli è un vero archetipo. Bisogna conoscerlo. Bisogna leggerlo. Bisogna vincere il naturale senso di nausea. Nelle sue pagine corre a valanga il male oscuro della nostra civiltà. Littell rappresenta con esattezza fotografica il risultato del lavoro di Freud, di Fromm, di Wilhelm Reich e dei loro innumerevoli seguaci: Freud è quello che diceva che la religione nasconde la nevrosi ossessiva… e oggi i suoi nipotini ci dicono che chi si tira fuori dal sudicio, dall’immondo, dall’abietto è un nemico, è un non-uomo. E il nemico è “il fascista”, entità apocalittica, epifania satanica, modello disumano del non-essere: non c’è in questi modelli un riverbero di antichi abominii biblici? E non è Littell un perfetto alienato “fascista”, secondo la sua fantastica tipologia di Degrelle? Poiché il “fascista” di Littell e dei suoi maestri non è affatto il fascista in carne ed ossa quale fu nella realtà, con la sua forza e le sue debolezze, ma quello che hanno forgiato i loro incubi notturni. Littell non è un caso isolato. Egli stesso, nel dar fondo al suo odio fobico, dice di essersi ispirato al libro di Klaus Theweleit Fantasie virili. Donne, flussi, corpi, storia. La paura dell’eros nell’immaginario fascista, uscito in Germania nel 1977 e parzialmente tradotto in Italia nel 1997 da Il Saggiatore. Il medesimo Theweleit, firmando una postfazione a Il secco e l’umido, si lamenta che all’epoca il suo libro non ebbe molto successo in Europa… ma in compenso andò meglio negli Stati Uniti. Sentite perché: «L’accoglienza più calorosa riservata al libro dagli storici statunitensi si spiega con il fatto che molti figli di ebrei rifugiatisi negli Stati Uniti per sfuggire alla Shoah vivono e insegnano nelle campus communities…». Sospettavamo qualcosa del genere. Adesso ce ne viene data diretta conferma. Il secco e l’umido è il documento di uno psicopatico, d’accordo, ma dobbiamo tenerne conto. Dietro a produzioni letterarie di questo tenore agisce un manicheismo morboso che ha ricadute nel quotidiano della nostra società. Questa mentalità patologica che devasta i tardo-progressisti la ritroviamo nell’attuale Sinistra terminale. Come ha rilevato giorni fa su Il Giornale Luigi Mascheroni: «A volte è vera intolleranza, ma più spesso si tratta di una emarginazione che veste i panni ancora più sudici del disprezzo o dell’indifferenza verso la cultura “di destra”». Libri come quello di Littell sono sintomi, sono «il deserto che avanza» profetizzato da Nietzsche.

* * *

Tratto da Linea del 10 luglio 2009.

Condividi:

3 Responses

  1. Albert88
    | Rispondi

    Le critiche letterarie che appaiono qui nel Centro Studi La Runa, sono sempre interessanti, puntuali, precise, direi utili. Anche la critica dello psicopatico pseudo-scrittore cui scrivo in calce, non si sottrae a questo lusinghiero giudizio. Tuttavia rimane una sola domanda alla quale non trovo risposta soddisfacente.
    Nell'eterogenesi dei fini odierna chiunque può essere catapultato agli "onori" della gloria letteraria. Certo, per esser investito della luce del successo politicamente corretto occorre entrar nelle grazie di qualche solito noto. Più semplicemente necesse est mettersi al servizio del debosciato pensiero unico e ragliare più forte degli altri. Tutto qui. Ma allora perchè intelletti capaci, come i critici dell'Associazione, indulgono nell'esplorare i meandri di un perdente come il liddel? Certo oggi nella realtà galleggiante dei media embedded, nella proposizione forzosa alle masse di una falsa "intellighenzia" mondialista, la Cultura è l'unica vera assente. E se ne sentono, pesantissime le conseguenze. Ora, gli Esseri Pensanti dovrebbero aver ben compreso questo concetto basilare. Per gli altri, pazienza. Ecco quindi a fortiori che mi sfugge il perchè della critica: Margherita ante Porcos, dicevano, nei tempi passati. Appunto.

  2. Wainer
    | Rispondi

    Conosco purtroppo il testo in questione, dall'originale nel 2008 a Bruxelles, e poi anni dopo da noi,
    non credevo ai miei occhi, un delirio legalizzato; anche se non ho potuto proprio acquistarlo.
    mi chiedevo se l'autore fosse un manhattiano psico-freudiano rincitrullito (per esempio),
    ricordo di due fatti narrati da Degrelle, un fante tedesco andato in coriandoli letteralmente, respirati dai commilitoni, colpito da un proiettile d'artiglieria, e un altro soldato, trovato evirato o castrato (sport siberiani…o russi): ebbene in questi due casi l'autore riesce a rigirare la frittata improbabilmente facendo "antifascismo"!! "eh sì, il maschio fascista ci tiene alla virilità" !!!!
    Oppure foto di valloni al bivacco (valloni che come legione autonoma hanno pagato gravi sacrifici nel 1941-42) affiancate da foto di prigionieri russi sotto custodia dei tedeschi (??)

  3. Wainer
    | Rispondi

    Questo uso di "fascista" alla URSS e Germania del 1968 per non scomodare l'ingombrante "socialista"…

    E' forse segno che gli "agenti letterari" (la gigantesca opera dei guardiani in atto da 60 anni) stanno cominciando a perdere colpi, un testo come questo sarebbe il modo migliore per smascherarli, anche se l'acquisto è a dir poco immorale!

    Non avevo letto il commento pecedente: purtroppo Littel NON è un "perdente" nel senso contingente.
    se non in un sito come questo, NESSUNO lo criticherebbe, e in tutte le librerie di regime dell'Occidente è quella la realtà. (ammiro il "coraggio" normale, 15 anni fa, della comunità degli storici (europei, diciamolo, tutti, Mommsen, Browining, anche "di regime") che hanno irriso addirittura, a un certo politologo improvvisato storico (Goldhagen) pesecondo cui un fucilatore (rappresentante tutta la sua nazione di 90 milioni di persone)che si rifiutava era solo un carnefice dallo stomaco debole

Rispondi a Wainer Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *