Potenza del mito indoeuropeo

Giorgio Locchi è stato un saggista molto importante per la Nouvelle Droite francese, la sua influenza si è radicata con efficacia negli scritti di Faye e De Benoist per esempio, fondandone il fulcro vitale del loro pensiero. Come spesso accade, a una straordinaria profondità di pensiero e chiarezza dello scrivere non ha corrisposto il meritato riconoscimento del pubblico e per anni i suoi saggi sono stati appannaggio di una ristretta cerchia di attenti e appassionati lettori.

La collezione di suoi saggi editi ed inediti sta giungendo al pieno completamento solo negli ultimi anni, grazie all’opera di Stefano Vaj, instancabile curatore e ricercatore di quanto scritto dal filosofo italiano trapiantato in Francia. Nel 2005 SEB pubblica la fondamentale raccolta Definizioni. I testi che hanno rivoluzionato la cultura non-conforme, che ripropone in tutta la loro attualità ed efficacia filosofica i numerosi ed essenziali saggi scritti nel corso degli anni da Locchi.

In questi giorni il Settimo Sigillo pubblica una nuova fondamentale raccolta di articoli inediti o dimenticati dal tempo, ancora una volta curata da Stefano Vaj. Prospettive Indoeuropee riunisce quattro saggi che spaziano dalla linguistica alla struttura tripartita della società indoeuropea fino alle polemiche antropologiche più attuali per gli anni in cui furono scritte. Il piglio dell’autore è vivace, netto e come sempre profondo e stringente. Locchi sceglie attentamente le parole e costruisce il suo pensiero senza sbavature né sovrabbondanze inutili.

Tralasciato lo specialismo accademico, abbandonato il citazionismo necessario nella sua opera fondativa Wagner Nietzsche e il mito sovrumanista (consultabile online), Locchi in poche pagine imprime una sterzata decisiva al suo pensiero, chiarendo ulteriormente quanto gli articoli finora pubblicati dicevano tra le righe o accennavano soltanto.

Il senso profondo di quanto il lettore affronterà in queste dense paginette sta tutto nell’attualità del mito indoeuropeo, attualità di un passato linguistico, civilizzatore e fondativo che, volenti o nolenti, prolunga la sua efficacia nei popoli che ancora oggi parlano lingue di derivazione indoeuropea. Il fatto che gli studiosi abbiano scoperto una lingua indoeuropea evidenzia senza ombra di dubbio che c’erano degli uomini che la parlavano e la utilizzavano per esprimere la propria percezione del mondo. Una visione del mondo, della vita e dell’uomo che secondo Locchi si esprime con evidenza nella struttura soggetto-oggetto della frase.

La concezione indoeuropea era dunque attiva, sovrana e tendeva ad accordare alla figura maschile il ruolo fondante della comunità. Ancora, la tripartizione della civiltà indoeuropea, divisa in sacerdoti, guerrieri e lavoratori, si esprimeva a livello linguistico ed era naturalmente la messa in pratica di una percezione in cui i soggetti agenti della società proteggevano e curavano coloro i quali avevano affidato nelle loro mani la propria sicurezza e libertà.

La visione indoeuropea era gerarchica e verticale ma si esprimeva sul piano storico in tutta la sua efficacia, dispiegandosi orizzontalmente nella tridimensionalità temporale che include passato e futuro nell’atto sovrano presente. Il riferimento di Giorgio Locchi non è casuale e il suo rievocare con tale forza e profondità l’eredità indoeuropea ha precisamente una funzione polemica, attualizzatrice e volontarista.

«La scoperta della storia al di là del muro della scrittura, quella delle radici indoeuropee delle civiltà “classiche”, appare in effetti come una risposta al bisogno di un’epoca di crisi, ormai incapace di immaginare e volere un avvenire storico (se non in una prospettiva puramente escatologica) senza avere preventivamente ritrovato un nuovo passato, e, con esso, una nuova possibilità di autentica scelta» (p.87). Le popolazioni indoeuropee hanno dunque dato una risposta efficace alla crisi che aveva colpito il mondo del “secondo uomo”, avviando la rivoluzione neolitica e mutando drasticamente il corso della storia.

Alle condizioni di vita mutate, l’uomo indoeuropeo ha risposto con l’atto storico, con l’assunzione di responsabilità e il primato dell’azione volontaria. Ecco quindi che proprio dal gesto creatore, dalla nascita dell’utensile in quanto espressione dell’unione di pensiero e mano, si origina una concezione nuova e rivoluzionaria dell’uomo. Ciò che vi è di attuale in questa ricostruzione consiste nella perenne attualità del passato, a cui si può scegliere di rifarsi per trovare nuove risposte alle sfide future.

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Tratto da Linea del 26 gennaio 2011.

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Nato nel 1984 a Belluno. Specializzando in Filosofia con una tesi su Oswald Spengler e Martin Heidegger. Collabora con il Secolo d'Italia, Letteratura-Tradizione e Divenire, rivista dell'Associazione Italiana Transumanisti. Ha tradotto e curato il saggio di Guillaume Faye su Heidegger, Per farla finita col nichilismo.

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