Polizia ideologica

“SCALFARI, FASCISTA, SEI IL PRIMO DELLA LISTA!”

Visto come stanno andando le cose in Italia, ma anche negli Stati Uniti, non si sa a chi ci si debba rivolgere per un parere, se ad un politologo, ad un sociologo o ad uno psichiatra. Io propenderei per quest’ultimo, perché non siamo più nei confini della razionalità che sono stati abbondantemente superati. Siamo ad una patologia ideologica, ad un delirio politico i cui meccanismi mentali soltanto uno psichiatra potrebbe spiegare.

Il 28 ottobre 2017, et pour cause, un tizio dell’ANPI ha lanciato uno slogan-ultimatum: “Tolleranza zero nei confronti del  fascismo!”.

Detto e fatto. Ecco due notizie uscite proprio il 28 ottobre.

La prima è che l’ANPI di Prato ha protestato contro le “voci” che indicavano come una pista ciclabile in città sarebbe stata intitolata a Fiorenzo Magni (1920-2012), un campione al pari di Bartali e Coppi, in quanto si è scoperto in base al libro di uno storico locale che era “un fascista convinto”. Ipotesi smentita subitissimo dal sindaco pidino che apprezza il ciclista ma condanna il “fascista”.

La seconda è che sull’ultimo Micromega viene presentato lo studio di un altro storico che si occupa senza troppa originalità degli intellettuali sotto il fascismo e rivela che Eugenio Scalfari era un fedelissimo e che collaborava a riviste giovanili del regime sin dal 1941-1942, quando aveva 17-18 anni. Non è affatto una novità, ma offre il destro all’intellettuale italiano più giacobino che ci sia e direttore della rivista, Paolo Flores d’Arcais, di scrivere che “nella vita democraica la verità è un bene più prezioso e irrinunciabile dell’affetto e della riconoscenza” (il Flores ha infatti collaborato a diverse testate diretta da Scalfari).

Come si dovrebbero definire questi episodi se non come delirio persecutorio? Come sindrome paranoide? Nessuna delle due “rivelazioni” infatti è tale. Si sapeva già tutto prima senza l’ausilio di specifici studi, che peraltro su Scalfari esistevano già da anni e anni e di cui l’interessato se n’è sempre fregato e che tutta l’intellighenzia ha sempre snobbato. Sino ad ora.  Infatti è la prima volta che certe “accuse” giungono dalla sinistra più intransigente, mentre in precedenza erano giunti “da destra”. E quindi ci si deve chiedere perché rispuntino di nuovo adesso e non per un anniversario “fascista” particolare, non nel 2012, non nel 2015, per non andare indietro nel tempo: nel 1972, non nel 1995. O per il compleanno di Scalfari, che cade in aprile.

Che sta succedendo? perché lo svilupparsi di questa sindrome che non solo vede “fascisti” dappertutto, ma vuole condannare anche i “fascisti” d’antan poi diventati importanti e famosi senza che mai fosse loro rinfacciato alcunchè? Veramente certi intellettuali e politici vedono “il nemico alle porte”? O pensano in tal modo, con questa demenziale intransigenza ex post, di porre un argine alla rimonta che i partiti “nazionalisti”, “xenofobi”, di “ultradestra”, “sovranisti” stanno attuando in tutta Europa sulla spinta della crisi economica e della immigrazione incontrollata? Io penso che ottengano l’effetto contrario, tanti sono gli eccessi, le esagerazioni e le assurdità che fanno e dicono. Troppo palesi, troppo smaccate.

Ripeto: perché certi anatemi, certe voglie di pulizia ideologica  emergono soltanto ora? Perché c’è gente, non certo gli ultimi stupidi arrivati, che soltanto oggi giunge al punto di dire che si devono abbattere i monumenti e le architetture del fascismo definiti nel 2017 e non nel 1945 genericamente e assurdamente “simboli di odio” o “simboli dell’aggressione fascista” cone addirittura il palazzo della Civiltà dell’EUR? Uno psichiatra dovrebbe farne uno studio approfondito con gli strumenti clinici della sua professione e spiegarcelo per bene e magari indicarci anche un antidoto e una cura contro tanto odio e tanta aggressione per la tranquillità di tutti.

Il caso di Scalfari è il più grottesco. Il famoso giornalista che essendo nato nel 1924 ha 93 anni e scrive ogni domenica una lenzuolata illeggibile su La Repubblica, non ha mai nascosto di essere stato “fascista” in gioventù, se non addirittura “fascistissimo”, come ha detto di recente a Paolo Guzzanti (Il Giornale, 29 ottobre). Negli anni Quaranta gli italiani erano quasi tutti fascisti, specie quelli nati poco prima o durante il Ventennio. Rare le eccezioni fra coloro che poi diventeranno famosi, come ad esempio un Italo Calvino che fu compagno di classe di Scalfari. Gli intellettuali e i giornalisti erano tutti “fascistissimi” (innumerevoli libri in proposito), anche quelli che poi sarebbero diventati i ”grandi giornalisti” dell’Italia “democratica”, da Bocca a Montanelli a Biagi. Anche il “papa laico” della sinistra, Norberto Bobbio, lo fu, scrisse lettere al Duce per essere avanzato di grado, non fu tra la dozzina di docenti universitari che non volle giurare fedeltà al regime, come ormai si sa. Perché Flores d’Arcais non lancia una bella campagna di denuncia contro Bobbio allo scopo di fare una volta per tutte pulizia ideologica nella sinistra italiana? Una volontà purificatoria tipica dei giacobini. E perché mai nei decenni precedenti nessuno ha mai pensato di farlo (eccetto la destra) nei confronti di tutti quelli che prima furono fascisti e poi divennero democristiani e soprattutto comunisti sotto le ali accoglienti di Togliatti che non storceva il naso come il direttore di Micromega? Che cosa c’è oggi di diverso da allora per mutare atteggiamento? È un mistero doloroso che dovrebbe essere spiegato in modo chiaro e approfondito.

Idem per tutti quegli sportivi che furono “fascisti” per convinzione o opportunismo e che per questo motivo nel dopoguerra non furono mai denunciati, attaccati, ostracizzati, ma lo sono soltanto adesso. A quando una campagna di denuncia contro Piola o contro Nuvolari?

Il fatto veramente grave, che è un corollario di quanto sta accadendo, è che ormai l’accusa ideologica (che vale solo per il fascismo e mai per il comunismo) è prevalente su qualsiasi altro aspetto, caratteristica o valore di una personalità. Puoi essere un importante letterato, puoi essere un premio Nobel, puoi essere un famoso scienziato, un grande atleta eccetera, ma se sei stato “fascista” non vali più nulla. Solo per le tue idee, non perché tu abbia commesso dei crimini, ed in fondo sono proprio questi i presupposi su cui si basa la famigerata Legge Fiano ferma in  Senato. Ma essere “fascista” per gli alfieri di questa campagna di pulizia ideologica vuol dire essere “corresponsabili morali dei crimini nazifascisti”, ma mai nessun intellettuale comunista viene considerato da politici e giornalisti corresponsabile morale dei crimini comunisti e degli oltre cento milioni di morti in tutto il mondo prodotti da questa “ideologia della liberazione”.

A quando dunque una campagna “di verità” promossa da Paolo Flores d’Arcais ad esempio contro Guglielmo Marconi o Luigi Pirandello? Cosa lo frena dal farlo?

Il problema è che, ripeto, la “verità” di cui il direttore di Micromega si atteggia a intemerata vestale in precedenza non era importante come oggi e non era stata fatta valere, anche se già si conosceva. Essa invece può venire usata come arma strumentale per far fuori avversari di ogni genere, anche nelle guerre fratricide all’interno del partito giacobino, ma può essere, come penso, pure una sindrome generalizzata dovuta alla insicurezza della sinistra in questi tempi per lei incerti, un modo di ricompattare su un fronte unico – l’antifascismo – forze altrimenti divise su tutto e che hanno soltanto questa posizione in comune.

Il capofila, il Torquemada di questa Santa Inquisizione ideologica,  è ovviamente l’ANPI, “ente morale” dall’aprile 1945, di cui oggi fa parte appena un tre per cento di veri ex partigiani 85-90enni comprese le “staffette”, e per il 97 per cento da chi ne “condivide i valori”. Un “ente morale” che si comporta come fosse un Commissariato, una Prefettura, una Questura, un Tribunale cercando di imporre, e spesso purtroppo riuscendovi, il proprio diktat su questo o quest’altro, contro manifestazioni, cerimonie, presentazioni di autori e libri, conferenze, film, spettacoli teatrali, intitolazioni, premi eccetera. Cioè, in genere  espressioni pubbliche del pensiero, come previsto dalla Costituzione. Diktat ovviamente settario, appunto “partigiano”, come il voler impedire a Noli (Savona) che venisse apposta una targa in ricordo di Giuseppina Ghersi, una ragazzina tredicenne stuprata e poi fucilata il 30 aprile 1945, quindi a ostilità  concluse,  in quanto “spia dei fascisti”. Questi dunque i “valori” partigiani: un odio senza confini. Un episodio obbrobrioso e ripugnante di  aguzzini partigiani. Se si arriva a queste spudorate aberrazioni, e si cede ai suoi ricatti, evidentemente  i ”valori morali” dell’ANPI sono povera cosa e i  “partigiani” del XXI secolo non hanno più nulla da dire e difendere. Assecondare i loro diktat (magari facendo marcia indietro totale o parziale su decisioni già prese) non è obbligatorio se chi si vede aggredito dall’ANPI pensa di avere le proprie buone ragioni e non ha paura di sfidare la piazza e l’opinione dei giornali più conformisti.

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Giornalista, vicedirettore della cultura per il giornale radio RAI, saggista ed esperto di letteratura fantastica, curatore di libri, collane editoriali, riviste, case editrici. E' stato per molti anni presidente, e successivamente segretario, della Fondazione Julius Evola.

  1. fabio
    | Rispondi

    Interessante l’articolo di Gianfranco De Turris e foriero di innumerevoli riflessioni sul tempo che stiamo vivendo. Non ho nè risposte nè ricette da proporre a proposito ma credo che in buona parte si tratti del fatto che questo paese non ha mai fatto veramente i conti con la propria storia. Del resto è anche opportuno affermare che i conti con la storia si fanno quando ci si attrezza adeguatamente per poterli fare, cioè, si cresce, o almeno, si tenta di crescere culturalmente. Continuare a mantenere in piedi un dualismo ideologico per il quale da una parte stava tutto il bene e dall’altra tutto il male è ottuso, falso e, soprattutto, facile; le banalizzazioni non richiedono nè acume nè cultura. Alcuni intellettuali, Pansa, per citarne uno, hanno provato a proporre altre chiavi di lettura della storia contemporanea con libri come “Il sangue dei vinti” ma abbiamo visto quali siano state le reazioni da parte di una certa sinistra. Quanto a Flores D’Arcais, di cui non ne ho mai apprezzato il pensiero e le posizioni, non credo sia la persona giusta dalla quale aspettarsi un barlume di obbiettività rispetto ai temi in questione. Il fascismo molto spesso viene tirato in ballo a vanvera, costituisce l’invocazione di chi non ha argomenti politicamente validi per sostenere il confronto con i grandi problemi dell’attualità e, non di meno, sa poco anche del comunismo. Siamo in un’epoca di improvvisati che rimasticano argomentazioni vecchie e semplicistiche ma comode. A mio modesto giudizio la sinistra attuale ha un disperato bisogno di rispolverare il vecchio fascio perchè solo così riesce a ritrovare un minimo di identità, l’unione contro qualcosa o qualcuno è l’unico argomento che, oggi, tiene o tenta di tenere insieme questa cosa che si chiama PD e quant’altro. Per vent’anni la sinistra italiana ha confuso la “Politica” con la guerra a Berlusconi. La sinistra ha perso la sua identità ma la sua natura rimane quella inscritta nel DNA dell’ideologia comunista che non è riformista ma di lotta e rivoluzionaria. Se la sinistra perde il nemico di turno si accanisce contro se stessa, come un sistema immunitario impazzito. Può darsi che anche questa sia una semplificazione ma quello che sta accadendo nel PD tra ex rottamatori ed ex rottamati dà da pensare. Il fascismo, per il quale non ho nessuna simpatia, è parte integrante della nostra storia, che ci piaccia o no e, come tale, è da considerarsi come un parto della nostra cultura, nel senso antropologico del termine. Renzo De Felice, grande studioso del fascismo, affermò che il più grande lascito del fascismo è stato l’antifascismo( perdonatemi l’eventuale imprecisione letteraria). L’italiano ha semplificato, piegato alle proprie convenienze e sostenuto in maniera squilibrata, violenta e irrazionale il primo come il secondo. Personalmente, sono portato a pensare che se in questo paese vige ancora un barlume di democrazia (lo dico sapendo quanto sia discutibile sostenerlo) è grazie solo all’architettura costituzionale imbastita dai Padri Costituenti della nostra Costituzione. Se è vero che Essa limita la prassi decisionistica del Parlamento e dell’Esegutivo è altrettanto vero che tale equilibrio fondato proprio sui limiti ci mette al riparo da cose peggiori. In una Nazione nella quale il senso della collettività e della Cosa Pubblica è così scarso (vedi livelli di corruzione) ci andrei piano con la manica larga del potere. A me, ad esempio, non sembra opportuno che un Presidente del Senato in carica fondi partiti e/o si schieri nell’agone politico come sta avvenendo adesso. Per concludere: l’anti politica è anche figlia della mancanza di cultura, tuttavia, la politica ufficiale condotta da ignoranti, nani e ballerine è già, di per sè l’antitesi della politica.

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