Per una mitologia eroica del fascismo. Giuseppe Spadaro e la lettura qualitativa della storia

L’ultimo libro di Giuseppe Spadaro è originale. È, al medesimo tempo, testo di carattere storico in quanto discute il significato delle vicende che si dipanarono in Italia e in Europa durante il Ventennio, ma è, a differenza della saggistica storiografica propriamente detta, anche una costruzione fantastica. In quanto tale, la narrazione incontra la dimensione della possibilità, da intendersi in senso metafisico, entro i cui confini si sviluppano le vicende degli uomini. L’autore, avendo contezza di ciò, memore dell’insegnamento di Leonardo da Vinci, si lascia alle spalle la pesantezza della storia geometrica che, rispetto al fascismo, dottrina dei vinti, ha da tempo emesso, grazie ai suoi soloni, una condanna definitiva. L’autore recupera, al contrario, sulla scorta degli insegnamenti di uno dei protagonisti del racconto, Aniceto Del Massa, l’approccio qualitativo agli eventi, centrato sulla visione, in ultima analisi classica e tradizionale, dell’eterno presente. L’autore legge, il fenomeno fascista, quale mitologia eroica, sottraendolo alla collocazione temporale retroattiva, nel tentativo di proiettarlo verso un domani possibile. Lo fa nel volume, Una mitologia eroica del fascismo. Dialogo immaginario tratto dalle memorie di Aniceto Del Massa – Pino Romualdi – Marcel Déat, nelle librerie per i tipi di Solfanelli (per ordini: 335/6499393, edizionisolfanelli@yahoo.it, euro 17,00).

Il narrato è costruito sulle memorie dei tre protagonisti che Spadaro ipotizza essersi incontrati in “un istituto religioso a due ore di corriera da Roma” (p. 9). Aniceto Del Massa, che nel volume compare con lo pseudonimo utilizzato per i suoi scritti d’arte, quello di Pietro Gasti, si formò nella Firenze de La Voce e di Lacerba. Fu esoterista, partecipò al Gruppo di UR di Evola firmandosi come Sagittario, nonché biblista di vaglia, giornalista de La Nazione e della rivista Ignis di Arturo Reghini. Ha lasciato un numero considerevole di diari, compreso il taccuino da ufficiale del primo conflitto mondiale. Il secondo colloquiante è Plinio Romualdi, detto Pino, Capo di Stato Maggiore delle Brigate Nere, uno dei fondatori del MSI. Egli, in queste pagine, dà voce a Filippo Anfuso, sottosegretario agli esteri che, in tale funzione, accompagnò Mussolini in tutti gli incontri diplomatici a partire dal 1936, divenendone confidente. Marcel Déat fu inizialmente un acceso socialista francese che passò convintamente alla collaborazione. Dopo la guerra, con la moglie, fu ospitato in un convento in Piemonte. L’incipit dell’intenso ed animato dialogo tra i tre, muove dal suicidio dell’editore Formiggini, di origini ebraiche, che indirizzando la discussione sull’antisemitismo introduce il lettore al più ampio dibattito inerente i rapporti Mussolini-Hitler e il senso ultimo del fascismo italiano.

Precisa l’autore che, all’estrapolazione dei giudizi storico-politici, egli non perviene per dimostrazioni, ma per illuminazioni. Da ciò il tratto che, al lettore sprovveduto, potrebbe apparire rigidamente apodittico, delle affermazioni di Spadaro. Questi non ha alcuna intenzione, peraltro, di compiere apologia di fascismo. Semmai, le libere intelligenze, sono condotte a tanto dalle politiche dissennate che l’antifascismo ha messo in campo dal 1945 ad oggi! In questo contesto si prende, altresì, atto del fallimento del neofascismo, un “ingenuo tentativo ben presto inghiottito dalla palude parlamentare[…] giungendo agli esiti putridi del rinnegamento ideale e del grottesco finale” (p. 11). In questo senso, la necessità indicata da Romualdi di mantenere in vita, a fianco del MSI, la struttura parallela del “Senato”, con lo scopo di guidare idealmente e di selezionare la sua classe politica, con il senno di poi, si è dimostrata profetica. Ricorda Spadaro che il fascismo, con il processo di Verona aveva cominciato a processare pubblicamente se stesso, aprendo la strada alla successiva damnatio memoriae commutatagli dagli avversari. Dalla lettura si evince che gli errori del Regime e di Mussolini in prima persona ci furono, ma commessi nel perseguire “una visione strategica di grande portata” (p. 13). La figura del Duce emerge con le fattezze di un gigante sfortunato. Sfortunato perché costretto dagli inglesi e dai francesi all’alleanza con Hitler.

Allo scopo viene ricordato l’episodio dell’abbattimento il 7 agosto 1935 di un nostro aereo diretto all’Asmara su cui volavano il ministro delle Poste Luigi Razza, valente sindacalista, e l’esploratore Raimondo Franchetti che, in tal circostanza, persero la vita. L’attentato “opera dei servizi segreti britannici, fece fallire l’opera pacifica di penetrazione italiana, a cui si era dedicato Franchetti” (p. 149). Questi tentò di ricollocare sul trono etiope il legittimo imperatore Ligg Yasu V, tenuto prigioniero da Hailé Selassié con l’appoggio del clero copto e dell’Inghilterra. Il fatto di sangue ora menzionato fece fallire il Patto a Quattro e avvicinò l’Italia alla Germania. I rapporti di Mussolini con Hitler furono caratterizzati da svariati tentativi del primo di riportare alla ragionevolezza il secondo. Il tratto luciferino di Hitler lo indusse a blandire il Duce in modo teatrale, ma al solo fine di tutelare i propri interessi. Hitler non solo portò alla rovina l’Europa, ma disonorò “quel grandioso tentativo di frenare la decadenza, cui il fascismo si era dedicato con successo” (p. 15).

Come ha sostenuto lo storico francese François Furet “il fascismo mussoliniano è stato una dottrina e una speranza per milioni di persone” (p. 15). Ancor di più, e questa è forse la parte più rilevante delle tesi dell’autore, i Tedeschi privarono Mussolini e il fascismo, della fine eroica che avrebbero meritato: la resistenza ad oltranza nel ridotto valtellinese. Anfuso-Romualdi in queste pagine suggerisce che i Tedeschi ritennero il piano assolutamente irrealizzabile in quanto per loro la questione “era già risolta con l’abbandono di Mussolini e dei militari della Repubblica alle avanzanti truppe anglo-americane e ai partigiani” (p. 19). Insomma, tennero nascosta la loro resa alle autorità della RSI, ma non al CLN. Altri personaggi vengono demistificati nel racconto, a cominciare da Vittorio Emanuele III che, stando a quanto sostiene Italo de Feo, considerava il ventennale rapporto con Mussolini, errore non suo, in quanto a tale scelta egli era stato costretto dall’ampio consenso concesso dal popolo italiano al Duce.

A proposito di antisemitismo, Del Massa-Gasti rileva come tra i martiri fascisti risultassero numerosi ebrei e come una spinta alle Leggi sulla Razza fosse venuta da ambienti ecclesiastici. Ricorda, inoltre, la sua partecipazione al Centro per lo Studio del Problema Ebraico “Tutto il mio lavoro consisteva nell’impedire che pubblicassero sciocchezze” (p. 39). Insomma, nonostante gli errori, il fascismo eroico che emerge dalla lettura storica dei “santi maledetti” di Francia, gli scrittori collaborazionisti di cui Spadaro traccia un agile profilo e che operarono per un Nuovo Ordine Europeo, è meta cui tendere.

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Giovanni Sessa è nato a Milano nel 1957 e insegna filosofia e storia nei licei. Suoi scritti sono comparsi su riviste e quotidiani, nonché in volumi collettanei ed Atti di Convegni di studio. Ha pubblicato le monografie Oltre la persuasione. Saggio su Carlo Michelstaedter (Roma 2008) e La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo (Milano 2014). E' segretario della Scuola Romana di Filosofia Politica, collaboratore della Fondazione Evola e portavoce del movimento di pensiero "Per una nuova oggettività".
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