Pedagogia ed identità. Le tesi di Hervé A. Cavallera

L’affezionato lettore de “il Borghese” sa che, da anni, l’eminente pedagogista dell’Università di Lecce, professor Hervé A. Cavallera, tiene sul nostro mensile una rubrica nella quale si occupa, con passione ed estrema competenza, dei problemi della scuola e del mondo accademico. I suoi articoli non si limitano alla realistica descrizione della situazione disastrosa in cui versano le istituzioni educative e formative del nostro paese, non sono semplici denunce del degrado della scuola contemporanea, ma sono latori di una pars construens che tende ad interpretare il processo formativo quale percorso verso l’acquisizione del valore. Lo stesso lettore ha ora l’opportunità di approfondire le posizioni teoriche alle quali Cavallera si richiama. Le può evincere dalle pagine dell’ultima fatica di questo studioso. Mi riferisco a Introduzione alla storia della pedagogia, da poco nelle librerie per i tipi dell’editrice La Scuola (euro 13,50).

In realtà si tratta della seconda edizione, rivista e ampliata, di uno studio pubblicato nel 1999 che riscosse consenso di critica e pubblico, tanto da meritare il X Premio nazionale di Pedagogia e Didattica, “Stilo d’Oro 1999”. Allora, a differenza delle attuali contingenze storiche, il dibattito pedagogico ferveva. L’ultimo ventennio ha visto un’accelerazione senza precedenti dei processi di globalizzazione economica del mondo, ai quali si è accompagnata un’altrettanto radicale omologazione esistenziale degli uomini, ridotti al rango di produttori-consumatori. Anzi, nell’ultimo periodo, la società ha assunto il volto della precarizzazione universale, e il suo abitante non è più l’uomo senza qualità di musiliana memoria, ma il suo diretto discendente, l’uomo senza Tradizione. Egli è il prodotto di un progetto scientemente pensato e realizzato dai potentati che guidano la società liquida, e che mira alla cancellazione definitiva della memoria storica. Un primo obiettivo in questo senso è stato conseguito destrutturando gli istituti che per natura dovrebbero trasmettere il sapere: scuola ed università. Da ciò la straordinaria rilevanza ed attualità del libro di Cavallera. Le sue tesi prendono avvio dalla constatazione della insopportabilità della situazione in cui viviamo, per uscire dalla quale è necessaria “la riappropriazione di una conoscenza corretta del processo storico…della tradizione e dei valori che essa testimonia” (p. 9). Disciplina principe in tale percorso non può che essere la storia della pedagogia, vale a dire la storia delle idee e delle pratiche che, nel corso dei millenni, hanno concorso a formare i valori che hanno differenziato le identità dei popoli.

Il lettore che ci segue non si spaventi. Il libro si struttura certamente attorno a contenuti scientifici ed accademici, ma il tratto che maggiormente lo connota è, a nostro giudizio, eminentemente “politico”. La fiducia nei processi formativi dell’autore è premessa indispensabile, in tale prospettiva, per l’ottenimento della periagoghé, del cambio di cuore, atto a propiziare un Nuovo Inizio comunitario. Per tale intendimento, il testo affronta lo sviluppo e la storia della pedagogia, in particolare italiana, vista la mai messa in discussione formazione attualista dell’autore. La disamina storica non è fine a se stessa, ma mira a tutelare il momento formativo della pedagogia, che non può essere modernamente ridotto a tecnica didattica o ad una descrittività riduttiva di procedure disciplinari. Al contrario! La storia della pedagogia di Cavallera ripropone e rivaluta la natura sapienziale dell’educazione, e ciò non solo è essenziale ma assume, nelle presenti contingenze, un tratto di estrema inattualità.

Al fine di esplicitare tale tesi, Cavallera attraversa i momenti salienti della storia pedagogica d’Europa, ricordando che la pedagogia dapprima è stata intesa come arte, successivamente come filosofia, ed infine come scienza. Mostra l’autore una certa qual empatia, una sorta di vera e propria partecipazione emotiva, quando descrive o riporta tesi da lui condivise. Come non cogliere la sua prossimità a Quintiliano e alla sua idea del maestro modello “Il maestro è un modello, non è uno scienziato. Una volta esplicitati i doveri didattici, l’elemento di fondo, alla base della sua professionalità, è la esemplarità” (p. 13). La pedagogia ha, comunque, una significativa relazione con il sapere filosofico, e ciò in quanto “…una impostazione pedagogica che non tenga presente il formativo nella sua natura deontologica e ontologica è piuttosto limitata”. La pedagogia, quindi, può dirsi scientifica quando in essa si evinca un effettivo superamento dell’opinione, ma anche in questo caso, come mostrato dai tre gradi di conoscenza di Spinoza, non è detto che rappresenti la verità. Inoltre, lo sviluppo storico della pedagogia presentato sinteticamente da Cavallera a beneficio del lettore, non ha prodotto un modello univoco. Anzi! Attualmente è possibile rapportarsi alla realtà pedagogica attraverso tre diverse discipline: la pedagogia generale, la didattica, la storia della pedagogia. A giudizio del nostro autore solo quest’ultimo approccio è in grado di garantire un adeguato livello di scientificità. A condizione che si tenga a mente il fondamentale insegnamento hegeliano “La stabilità non si può ritrovare nella parte, bensì nel tutto, ossia nella sistemazione, nella ricostruzione dell’organismo. Il vero è l’intero, aveva detto Hegel” (p. 28). Nel processo unificante, il molteplice storico vale in quanto è uno.

Cavallera, tra le altre cose, rileva il tratto umanistico della pedagogia, in quanto essa ha sempre avuto per oggetto l’uomo “…l’uomo che diventa valore e lo può diventare in quanto lo è potenzialmente” (p.32). Eccoci condotti di fronte al tema centrale del libro: il valore. Esso deve valere come punto d’orientamento irrinunciabile durante il cammino, ma anche quale meta, punto d’arrivo “Il che comporta il recupero di una dimensione affettiva e sapienziale che spesso è stata trascurata in una società attenta alla materialità anche culturale” (p. 35). Tale pedagogia inattuale si basa sulla sensibilità intesa quale disponibilità ed apertura inesausta all’altro “…è il sentire l’altro, la vita che rinasce a primavera, la frescura fascinosa del bosco in estate,…la fierezza di aver contribuito ad un’opera di interesse generale” (p.36). Un insegnamento siffatto è in grado di imprimere uno stile, il grande assente dalla contemporaneità. Esso nasce solo ed esclusivamente quando la cultura si fa vita, e si traduce, ogni qualvolta compaia tra noi, in testimonianza. E’ conseguimento di un livello più elevato di umanità.

E’ in atto, lo abbiamo ricordato, un tentativo di cancellare lo stile europeo e con esso quello italiano, la nostra identità è a rischio. Il libro di Cavallera lancia un pressante invito, da noi condiviso, al “…recupero della tradizione, per difendere il tempo da incauti cedimenti o da maligne seduzioni e ridare senso” (p. 164). Un libro che invita ad un’azione doverosa, necessaria e possibile.

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Giovanni Sessa è nato a Milano nel 1957 e insegna filosofia e storia nei licei. Suoi scritti sono comparsi su riviste e quotidiani, nonché in volumi collettanei ed Atti di Convegni di studio. Ha pubblicato le monografie Oltre la persuasione. Saggio su Carlo Michelstaedter (Roma 2008) e La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo (Milano 2014). E' segretario della Scuola Romana di Filosofia Politica, collaboratore della Fondazione Evola e portavoce del movimento di pensiero "Per una nuova oggettività".
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