Benito Mussolini fanatico discriminatore a tutti i costi

Giorgio Fabre, Mussolini razzista. Dal socialismo al fascismo: la formazione di un antisemita La storiografia contemporanea dispone sovente di ampi mezzi e molto tempo da perdere: solo così si spiega il fatto che non di rado vengano utilizzate dettagliate ricerche d’archivio, pedanti analisi di corrispondenze, lettere, telegrammi, biglietti, al fine di riempire alcune centinaia di pagine per dimostrare la tesi confezionata a priori. E’ il caso di Giorgio Fabre, Mussolini razzista. Dal socialismo al fascismo: la formazione di un antisemita (Garzanti), in cui l’autore, un esperto in “accanimento storiografico”, uso a spulciare finanche i foglietti d’appunti e le più futili telefonate di routine, opera instancabilmente nel tentativo tenace di scoprire, tra le pieghe della storia, sensazionali rivelazioni note da decenni. In questi casi, per altro, vige il principio che maggiore sarà la risonanza di simili raccolte di trascurabile documentazione, se la si abbinerà al Fascismo che, come noto, costituisce uno dei punti di forza dell’editoria, un argomento di sicura presa che, come si dice, “tira” come pochi. Ai tempi di Mussolini giovane – e fino a qualche decennio fa – l’esistenza di un diffuso “antisemitismo” sia popolare che intellettuale era cosa normale, facente parte di un sistema di cultura in base al quale gli ebrei erano visti generalmente con sospetto, a volte con fastidio, ma mai con odio ideologico. In alto e in basso,tra i cattolici come tra i socialisti, in Italia come in tutta l’Europa occidentale ed oltre, l’ebraismo veniva vissuto come una fonte di disagio, come un corpo estraneo, un elemento di disturbo del quale si rimarcava sempre il fatto che costituisse corpo chiuso, una comunità fortemente solidale all’interno, ma non leale verso le nazioni che l’accoglievano. Sono ben conosciuti gli stereotipi sull’ebreo subdolo, sul banchiere internazionale, sull’avido strozzino. Questa cultura diffusa – di origini antichissime – era molto viva non tanto tra gli oscurantisti filo-ecclesiastici, ma proprio tra i progressisti, tra gli illuminati fautori del “sol dell’avvenire”: sappiamo, ad esempio, che l’antisemitismo ideologico è nato tra gli intellettuali positivisti e neo-illuministi di fine Ottocento.

Marx, se pure ebreo egli stesso, ha lasciato pagine di insuperata virulenza contro gli ebrei, e antisemiti radicali furono quasi tutti i maggiori esponenti europei del vecchio socialismo, da Proudhon a Bakunin, da Blanqui a Herzen. E poi non dimentichiamo che parlare di “razza” e di “sangue”, prima del 1945, era cosa non infamante, ma corrente, e diffusa tra antisemiti e non, tra razzisti come tra democratici, tra divulgatori come tra scienziati. Partire dunque dal Mussolini socialista, per verificarne le occasionali sfuriate contro gli ebrei, all’epoca ovunque comunissime, e cercare di farne la rivelazione che il Duce era un fanatico discriminatore fin da giovane, e che dunque le leggi del 1938 non furono occasionate dalle circostanze storiche, ma venivano da lontano, è operazione che si qualifica da sola come storiograficamente inconsistente ed eticamente fraudolenta. E questo è proprio ciò che fa il Fabre, il quale applica una regola oggi tassativa: tacciare di “antisemita” chiunque critichi gli ebrei o anche un solo ebreo. Mussolini sfidò Treves a duello nel 1914? Ecco qua l’antisemita!

L. Parente, F. Gentile, R. M. Grillo (cur.), Giovanni Preziosi e la questione della razza in Italia. Atti del Convegno di studi (Avellino-Torella dei Lombardi, 30 novembre-2 dicembre 2000) Con questi metodi, Fabre va a frugare tra le pieghe di articoli e discorsi e trova tracce minute, minutissime, di occasionali atteggiamenti ostili di Mussolini, magari fin dal 1908, verso questo o quel personaggio ebreo, e ne fa un fragilissimo atto d’accusa di antisemitismo. Anche perché è lo stesso Fabre che, contestualmente, analizza la situazione dell’epoca, che era tutta orientata verso una superficiale, bonaria, ma costante antipatia per l’ebraismo e, parallelamente, da un senso naturale di orgoglio di stirpe, ciò che oggi è minacciosamente definito “razzismo”. Un tiepido e generico “razzismo”, a cavallo del Novecento, era diffuso ovunque: Leonida Bissolati, capo socialista e primo direttore dell’Avanti!, scrisse in gioventù articoli in cui inneggiava alla “superiorità dell’ariano sulle razze inferiori”; Giosuè Carducci esaltava i “valori ariani”; il sociologo Enrico Morselli affermava il principio della “superiorità della razza bianca”; in D’Annunzio è tutto un parlare di “razza italica”; persino il codice penale liberale, emanato per la colonia eritrea, tutelava la “nostra supremazia etnica e politica” con blande misure discriminatorie verso gli indigeni, e nel 1908 venne firmato senza problemi dal liberale Giolitti; nel 1906 Alcide De Gasperi pronunciava discorsi contro i “capitalisti ebrei”, e anche Cesare Battisti ebbe espressioni simili; e, ancora, il famoso giornalista Scarfoglio e l’insigne studioso Maffeo Pantaleoni si scagliarono, durante la Prima guerra mondiale, tra molti altri, contro la “barbarie giudaica”; Arturo Labriola, nel 1916, espresse ammirazione per il guru del razzismo europeo, Houston Stewart Chamberlain; il giovane Gobetti scriveva nel 1918 che la formazione dello Stato di Israele avrebbe favorito, mandando via gli ebrei dall’Italia, la “pace sociale” interna; e, nel frattempo, il positivista e progressista Lombroso (tra l’altro, ebreo) esponeva la sua nota teoria sui caratteri somatici ereditari, base e fondamento del razzismo novecentesco…

Eppure a nessuno è mai venuto in mente, in questi casi, di lanciare l’accusa marchiante e inespiabile di razzismo. Per Mussolini, invece, si usa un altro metro. L’accusa portata agli ebrei, anche nel suo caso, ma in misura minore di molti altri, era quella generica di essere di incerta affidabilità come italiani, di avere troppo potere economico, di costituire una casta separata… allora queste cose potevano esser dette e venivano dette, liberamente, in tutti gli ambienti: cattolici, liberali, socialisti, democratici, nazionalisti, esattamente come accadeva ovunque in Europa: da Maurras al socialista tedesco Dühring. E compreso il “Corriere della Sera” che, nei giorni di Caporetto, ad esempio, fece una campagna di stampa sulla calata degli ebrei nel Friuli occupato, presentandola come un saccheggio economico. E la stessa cosa aveva fatto la stampa italiana quando, nel 1911, gli ebrei libici e internazionali vennero accusati di brigare nascostamente a favore della Turchia…

Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario Lo scoppio della rivoluzionerussa nel 1917 fu l’ora topica degli antisemiti, l’ora in cui le loro teorie sulla congiura ebraica parvero avere un fondamento reale: molte voci nel mondo accusarono l’ebraismo di aver scatenato il caos in Russia servendosi di capi bolscevichi (quasi tutti ebrei, da Trotskij a Radek a Litvinov, forse allo stesso Lenin) e di capitali esteri, pure ebraici (Rotschild, Warburg, Parvus). Il “Morning Post” e molta stampa mondiale gridarono al complotto giudaico. Ma non Mussolini, che sul “Popolo d’Italia” ebbe toni, come dice Fabre, “cauti e allusivi” e fu sempre “equilibrato”. Un “antisemita” incallito che in un simile frangente è “cauto, allusivo, equilibrato”? Proprio nel bel mezzo di eventi che parevano dar ragione ai Protocolli dei Savi di Sion? E questo, si noterà, giusto in presenza di un avvento ebraico al potere mondiale attraverso la rivoluzione comunista, che non sembra fosse un delirio degli antisemiti, se lo stesso Fabre, a pag. 123 del suo libro, se ne esce con l’incredibile affermazione che “gli ‘ebrei’ arrivarono davvero al potere almeno in un Paese, la Russia”! Questa frase – grosso lapsus freudiano, che dà ragione agli antisemiti senza avvedersene – dovrebbe sollevare d’un colpo da ogni responsabilità morale di “antisemitismo” tutti quegli europei che videro nella rivoluzione russa l’assalto ebraico alla civiltà europea e che su quest’impressione, che Fabre ratifica come storicamente autentica, fondarono la loro decisione di reagire radicalmente, opponendo “terrore a terrore”: come accadde, secondo Ernst Nolte, nel caso del Nazionalsocialismo.

Cesare De Michelis, La giudeofobia in Russia. Dal Libro del «Kahal» ai Protocolli dei Savi di Sion A questa guerra ideologica antiebraica, dunque, a quanto ci dice il Fabre, Mussolini partecipò – a differenza della gran parte dei liberali dell’epoca, compresi Clemenceau, Lloyd-George e Churchill – solo con cenni “cauti e allusivi”. E, in sovrappiù, troviamo che in quel periodo Mussolini si avvaleva di collaboratori ebrei al “Popolo d’Italia”, aveva un avvocato ebreo, la sua amica e collaboratrice Margherita Sarfatti era ebrea, ed ebrei entrarono in seguito nei Fasci senza alcuna preclusione, venendo chiamati in alcuni casi – come quello di Aldo Finzi, sottosegretario agli Interni nel 1922 – persino ad alti incarichi nel governo: razzismo? antisemitismo? È un fatto che Mussolini analizzava la situazione mondiale di quegli anni con una lucidità che altri non ebbero. Senza enfasi, ma con la capacità di verificare quanto accadeva in filigrana dietro gli eventi, egli trasse la conclusione che era all’opera qualcosa di potente: il collegamento tra capitalismo internazionale e comunismo. Con una vis profetica che oggi appare incredibile. Lo dice lo stesso Fabre: nel 1919, sul “Popolo d’Italia”, Mussolini scrisse che “la massiccia introduzione di capitalea vrebbe a quel punto condotto la vita russa a un livello parossistico, cioè inflattivo, e lo stesso comunismo sarebbe crollato, per implosione. E sarebbe arrivata al potere la vera borghesia”. Nel 1919, dunque, egli previde con esattezza quello che sarebbe accaduto settant’anni dopo, nel 1989.

Mussolini razzista? Diciamo piuttosto: geniale profeta.

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Giorgio Fabre, Mussolini razzista. Dal socialismo al fascismo: la formazione di un antisemita (IBS) (BOL) (LU)

Tratto da Linea del 31 luglio 2005.

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2 Responses

  1. Azure
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    Guarda, ho letto con molto interesse quanto hai scritto e non puoi trovarmi più d'accordo! Vergogna, si, vergogna è l'unica parola che mi viene in mente per definire il disagio che mi provoca la lettura di questi sciacalli, che purtroppo, specie nei più giovani (e/ignoranti) fanno presa…In ogni forum Razzista, antisemita della rete infatti c'è un tripudio generale, perché molti consideravano evidentemente Mussolini troppo "democratico" per i loro gusti Nazisti e "Stormfrontisti"…

    Sono allibito, fossi un parente del Duce denuncerei a piede libero questo signore….

    E poi: i diari della Petacci?? Hahahahah…Fra un po' salterà fuori anche il "video segreto" a colori rimasterizzato in Dolby Digital del nonno del cognato di Dino Grandi ad avvalorare una o l'altra tesi…..Mamma che squallore!

    Ciao e complimenti per la DOVEROSA rettifica

  2. evoliano
    | Rispondi

    Non sai quanto hai ragione,ricordo ad esempio alcuni sul forum Stormfront,consideravano veri i diari della Petacci,solo perchè lì il Duce veniva rappresentato come un fanatico razzista e antisemita,che sciocchi!

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