Massimo Scaligero, medico del pensiero

Massimo Scaligero (Veroli, 17 settembre 1906 – Roma, 26 gennaio 1980)

In una splendida giornata di primavera, immaginiamo di avventurarci in aperta campagna: in lontananza, i profili dei monti si innalzano fino al cielo, immersi in un mare di luce.

Ovunque un calore vitale si riversa dall’alto verso il basso.

Chiniamo il nostro sguardo per contemplare il verde manto vegetale: teneri boccioli si aprono ai raggi del Sole, robusti alberi affondano le loro radici nella terra per strapparne gli umori e trasformarli – in virtù di una segreta alchimia – in linfa vitale.

Nell’erba, piccole creature si muovono e riposano. La lucertola orienta la sua testa con rapidi scatti; i suoi sensi sono fini e sempre vigili, perchè troppi esseri sono in agguato in un luogo che solo sulle tele dei pittori può sembrae idilliaco.

Quando al tramonto abbandoniamo questo paesaggio che abbiamo evocato con l’immaginazione e ci ritroviamo sulle strade asfaltate della nostra città, che ne è di tale mondo meraviglioso?

Qualcuno potrebbe dire che esso è ormai “dietro” di noi, qualcun altro forse più saggio potrebbe osservare che è “dentro” di noi.

Anche in una stanza buia, chiusi tra quattro mura, noi portiamo la “natura” dentro di noi.

Ognuno tocchi con l’indice e il pollice il proprio polso: sentiremo la durezza dell’osso – è la durezza di un minerale.

Nella durezza e nella freddezza del nostro scheletro noi portiamo il regno minerale, quello che non ancora conosce la vita.

Ma di una ragazza graziosa, di una bionda ragazza che con la sua bellezza rallegri la vista si dice: “è una ragazza in fiore”, è un fiore di ragazza.

Giustamente. Perchè le forze eteriche che “fuori” fanno germogliare i fiori e fruttificare gli alberi, sono le stesse forze che fanno crescere e maturare gli esseri umani. “E’ bella come un fiore”, “E’ robusto come una quercia”: la floridezza di un corpo umano sano istintivamente evoca il confronto con il regno vegetale.

Per descrivere il carattere di un individuo ci rivolgeremo però ad un altro mondo per trarre ispirazione. Un mondo che alla “vita” aggiunge “l’anima”: il regno animale.

Di una persona coraggiosa si potrà affermare che ha un “cuor di leone”, di un’altra più pavida che è un “coniglio”.

Di un uomo dall’intelligenza acuta, facilmente si noterà lo sguardo e il profilo aquilino. Come gli animali, anche l’uomo ha brame, impulsi interiori e una particolare sensibilità al piacere e al dolore.

Vi è però nell’uomo un nucleo interiore che non trova riscontri nella natura manifesta. L’uomo parla, pensa. E non vi è altro essere che in natura sia capace di articolare pensieri.

Grazie alla forza creatrice del pensare gli uomini della nostra civiltà hanno costruito computer, satelliti artificiali, aerei.

Osservare le creazioni della moderna civiltà tecnologica riempie i nostri cuori di legittimo orgoglio: vedere un aereo che si innalza verso il cielo, col suo ventre metallico costellato di luci ad intermittenza, suscita anche un senso di bellezza: evoca quella bellezza metallica che il Novecento ha saputo produrre e che già i Futuristi cantavano all’inizio del secolo.

E tuttavia cos’è un aereo dinanzi al più gracile degli uccelli, a un colibrì? Nulla in quanto a complessità, a scioltezza, a grazia, ad efficacia nel volo. Un aereo sta ad un volatile come lo scarabocchio di un bambino sta alla Cappella Sistina.

“Dietro” un aereo sta, dietro qualsivoglia invenzione vi è l’intuizione delle menti più geniali del nostro tempo, cos’è infatti un aereo se non un “pensiero” impresso nel metallo?

Ma dietro un essere vivente vi è un pensiero superiore, il progetto di una intelligenza superiore; ecco perchè il confronto tra creazioni tecnologiche e realtà viventi è improponibile.

L’uccello che vola, il fiore che sboccia sono i “pensieri pensati dagli dei”, si potrebbe dire usando una espressione “poetica”.

Il pensiero umano è una scintilla di quella immensa intelligenza che dietro ogni forma della natura continuamente tesse e crea.

La ragione – il “logos” – che nell’interiorità dell’uomo è identica, consustanziale all’intelligenza cosmica che è la dimensione interiore (la “prima dimensione”) di tutta la realtà visibile.

Ma se ogni uomo custodisce questa scintilla del Divino come è possibile che molti conducano una esistenza sotto tono ed alcuni addirittura si abbandonino alla disperazione?

Vi è chi, pensando male, giunge alla infelicità esistenziale. Vi è chi si ammala, a causa di un uso sbagliato del pensiero.

Il nodo della questione è proprio qui, l’uomo ha ricevuto in dono una mente consapevole ed un pensiero lucido; perchè egli è ben desto sulla terra, a seconda dell’uso che fa del proprio pensiero egli determina il proprio destino, fausto o infausto.

In un epoca che ha corrotto in una maniera del tutto singolare la forza del pensare, Massimo Scaligero è venuto come un medico, come un terapeuta per guarire l’uomo, guardandone il pensiero malato.

Se il nostro pensiero non fosse malato, se esso non necessitasse di quella purificazione che per gli antichi medici greci era la premessa di ogni guarigione, cadrebbe fin d’adesso il velo che oscura l’identità del nostro spirito con lo spirito universale.

Scaligero ha voluto affidare il messaggio del suo Yoga del Pensiero Puro a libri che possiedono una chiarezza geometrica.

Si legga il primo capitolo del “Manuale pratico della meditazione”, sembrerà quasi di leggere le prime pagine degli Elementi di Euclide.

Il più grave fraintendimento dell’opera di Scaligero consiste nel considerarla fredda, intellettualistica, proprio perchè incentrata sulla necessità di coltivare il pensiero.

In realtà Massimo insegna che il pensiero liberato agisce nell’uomo come nella pianta agisce quella misteriosa forza che trasforma la zolla bruna in verde linfa vitale.

Scaligero ha mostrato che tra un uomo che pensa e un fiore che sboccia vi è uno stretto legame. E ancor più stretto è il legame tra la mente dell’uomo e il pensiero universale che tesse negli spazi cosmici.

A questo si riferiva Giovanni quando nel prologo del suo Vangelo parlava del “Logos” che è in Principio. Ma ad esso si riferiva anche Eraclito quando diceva: “Per quanto tu vada e per quanto tu cerchi, mai giungerai ai confini dell’anima”.

A tal punto è profondo il suo “Logos”.

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