Lo zodiaco ermetico di Raoul dal Molin Ferenzona (prima parte)

Questo articolo fa parte di una serie di tre.

Questa è la serie completa degli articoli:

  1. Lo zodiaco ermetico di Raoul dal Molin Ferenzona – Prima parte
  2. Lo zodiaco ermetico di Raoul dal Molin Ferenzona – Seconda parte
  3. Lo zodiaco ermetico di Raoul dal Molin Ferenzona – Terza parte

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Mi ero deciso a cercare l’arte come nel Medioevo

i Rosacroce cercarono la pietra filosofale –

l’arte, pietra filosofale del XIX secolo! (1)

Spesso, svolgendo ricerche presso gli archivi, capita che l’attenzione dei ricercatori svii dall’oggetto principale della ricerca, per imbattersi in libri e documenti dimenticati dalla cultura e dal mercato editoriale ufficiali, ma non per questo condannati all’oblio. È quel che accadde a chi scrive presso il Centro Apice dell’Università degli Studi di Milano, che attualmente ospita il Fondo Scheiwiller, le carte del giovane editore che, a partire dagli anni Sessanta, pubblicò diverse opere di Evola. È naturale che il suo archivio contenga anche materiali appartenuti al filosofo romano.

zodiacaleÈ il caso di Zodiacale. Opera religiosa, volume stampato nel 1919 in una tiratura di cento esemplari e pressoché finito nel dimenticatoio, insieme al suo autore, Raoul dal Molin Ferenzona. Alla fine degli anni Sessanta, in segno di ringraziamento per aver pubblicato la raccolta di poemi Raâga Blanda, Evola dona a Scheiwiller – da sempre interessato alle avanguardie della prima metà del Novecento (2) – una copia dell’opera, che ora si trova appunto presso il Centro. Sul frontespizio, la dedica, composta in francese, recita: «Roma, 21.11.21. Giacché non si può pervenire alla propria iniziazione che attraverso la rivelazione diretta dello spirito universale collettivo che è la voce che parla nell’interiorità. Vostro in ROSA+CROCE R. d. M. Ferenzona». Sotto queste parole, una rosa e una croce. A piè di pagina, un ex libris, che raffigura un fiore sormontato da una stella, disegnato con tutta probabilità dallo stesso Ferenzona. Sopra il cartiglio: «J. Evola».

La dedica è in francese, ma l’autore è italianissimo. Fiorentino, per la precisione. Se il revival simbolista si è dimenticato di un artista come lui, ciò è dovuto in buona parte alle zone d’ombra che presenta la sua biografia, insieme alla rarità delle sue incisioni ed opere. Un artista che si spostò continuamente, in Italia come in Europa, in cerca del proprio genio poetico, e molti dei cui materiali sono andati perduti per via di incendi o altre calamità (molti furono inghiottiti dalle acque dell’Arno durante il terribile alluvione del ’66). Le poche informazioni di cui disponiamo, tuttavia, sono sufficienti a restituire un affresco di quello che fu il suo carattere, la sua equazione personale, come scrisse Evola, che Ferenzona conobbe, come vedremo (3). Considerato tutto ciò, prima di affrontare il suo zodiaco ermetico è forse bene provare a ricostruire la biografia sommersa di questo singolare autore.

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Raoul dal Molin Ferenzona nasce a Firenze il 24 settembre 1879. La sua infanzia è segnata dall’ombra del padre, corrispondente livornese della Gazzetta d’Italia e autore di feroci libelli dal sapore piuttosto reazionario, dicono le fonti, contro Garibaldi. La sera del 19 aprile 1880, Giovanni dal Molin Ferenzona viene pugnalato a morte. La mano che lo uccide rimane ignota, ma il movente è certamente di ordine politico.

Un’ombra lunga, che si proietterà sui primi anni della sua vita, tuttora avvolti nel mistero. Sappiamo, da un abbozzo di quella che avrebbe dovuto essere una sua autobiografia, rinvenuta presso l’Archivio Sprovieri, che tenta la carriera militare, probabilmente su impulso della madre, Olga Borghini, frequentando dapprima il Collegio Militare di Firenze e, in seguito, l’Accademia Militare di Modena – progetto che, tuttavia, non ottiene l’esito sperato.

Eppure, già le prime opere note – come Primule (novelle gentili) e il racconto Mio figlio, entrambe del 1900 – contengono molti elementi che caratterizzeranno tutta la sua produzione a venire. Ad emergere è una personalità frenetica, irrequieta, in preda ad un’ossessione creatrice, una febbre poetica che mai lo abbandonerà. Costretto dal suo daimon a produrre arte, si dimostra assai prolifico sin dai primi anni. E comprende come la propria esistenza non sia separabile dall’arte: «Mai come in lui – scrive Mario Quesada – arte e vita si intrecciarono indissolubilmente, in un cammino difficile e complesso, lastricato di ascese e cadute che ne accompagnarono sia la vicenda professionale che quella umana, affettiva e spirituale» (4).

La biografia del giovane Ferenzona inizia ad arricchirsi di informazioni a partire dagli inizi del XX secolo. Prima di votarsi alle incisioni, dirige la propria attenzione verso la scultura: risale a questo periodo un apprendistato a Palermo, presso lo scultore Ettore Ximenes (che anni dopo aderirà alla Massoneria, ottenendo il grado di Maestro). Un sogno che, tuttavia, sfuma ben presto. Ferenzona abbandona Palermo, dirigendosi verso altri lidi.

È a questo periodo che risale anche la sua amicizia con il pittore e incisore emiliano Domenico Baccarini. Tra il 1900 e il 1903 questi frequenta l’Accademia delle Belle Arti di Firenze – eppure, sembra che i due si siano incontrati per la prima volta a Roma nel 1905. Ferenzona non farà mai parte del cenacolo di artisti raccoltisi attorno a Baccarini: eppure, molti elementi della sua sintassi artistica influenzano il giovane. Uno su tutti, il tentativo di colorare lo stile preraffaellitico di tonalità pascoliane. È proprio accanto a Baccarini che comparirà Ferenzona, in un articolo che vede nei due dei precursori dei Fauves (5). Sempre nello stesso periodo è assai probabile che abbia frequentato Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, insieme agli ambienti di «Leonardo» (6).

i-tre-moschettieri-di-legnoNel 1902 è a Monaco: molto probabilmente visita la Secessione di Franz von Stuck, molte delle cui opere contengono Leitmotiven che in effetti torneranno spesso nelle opere ferenzoniane. Così, ad esempio, Il guardiano del Paradiso del primo diviene, nell’universo ferenzoniano, Il guardiano della soglia, mentre la Medusa del secessionista viene tradotta dall’artista fiorentino in Sfinge e medusa. Sempre a quell’anno risale il suo primo viaggio a Roma – la capitale diverrà, nel corso del tempo, una meta costante del suo inquieto girovagare. Nei due anni successivi firma, con lo pseudonimo medievaleggiante di Sir Raul, le trentotto illustrazioni de I tre moschettieri di legno, libro per ragazzi scritto da suo fratello Fergan (7).

Un’altra frequentazione fondamentale nella crescita artistica del giovane è il poeta Sergio Corazzini, tra le altre cose studioso dei Rosacroce (8). È in compagnia sua che Ferenzona frequenta il romano Caffè Sartoris, il quale ospita un cenacolo di artisti e poeti in seno al quale nasce Cronache latine. Rivista quindicinale di letteratura e d’arte. Sarà Ferenzona a occuparsi dell’incisione che comparirà come copertina del periodico. Il Caffè Sartoris raccoglieva artisti come Alberto Tarchiani, Antonello Caprino, Alfredo Tusti, Luciano Folgore, Tito Marrone, Auro d’Alba, Corrado Govoni, Giuseppe Vannicola e Fausto Maria Martini, personalità appartenenti «a quell’area simbolista e liberty che in Italia, tra il 1895 e il 1915, si differenziò dalla Scapigliatura evolvendosi con caratteristiche proprie, avendo preso le mosse da un simbolismo rigoroso, mallarmeano e verlainiano» (9). Quella cultura francese che, mediata appunto da personalità come quelle citate, orienterà la produzione del Nostro, tanto nelle sfaccettature decadenti quanto in quelle più simboliche ed esoteriche.

Qui emerge anche una lacerazione che sempre accompagnerà l’artista, nella vita come nell’arte. Mario Quesada parla di una tensione tra due poli: «Quello esaltato e veggente che in pittura si esprime attraverso la leggenda, il mito, l’allegoria, il sogno, il lirismo; quello meditativo e di totale perdita in un Dio trovato nella bellezza che si conclude in una separazione dal mondo» (10). Una tensione che diviene ricerca di modalità espressive atte a rappresentare ciò che trascende il reale. Altro che realismo: avverso al naturalismo e al positivismo, Ferenzona non si muove nella direzione di una rappresentazione esatta del reale, ma si colloca in una dimensione colma di «enigmi e di cabale, di continue compresenze d’armonie ideali generate da sfere superiori nel loro superiore girar vorticoso» (11). Una fuga? Certamente, ma «al centro di quelle armonie, nel nucleo originario di quelle voci che Ferenzona comincerà a sentire» (12). Mai potrà abbracciare uno stile che si rifaccia al reale, né potrà condividere la scelta di quegli artisti – impressionisti e neoimpressionisti in primis – che nell’arte vedono una riflessione sulle modalità percettive (cosa che lo condurrà a numerosi scontri con Balla, Boccioni e Severini). No, non gli interessa il realismo, preferisce una poetica simbolista, decadentista, esoterica e crepuscolare.

Certo, l’Italia del tempo non offre molte sponde a chi scelga, come lui, una modalità espressiva del genere. Così, nel 1906, lo troviamo girovago per l’Europa. Risiede a Parigi, Bruges, Londra, L’Aya, in cerca di maestri e compagni di viaggio ideali: Beardsley, Khnopff, Rodenbach, Maeterlinck e Samain… A colmare la sua sete d’assoluto e d’incondizionato.

misteri-esotericiUn discorso a parte merita Joséphin “Sâr” Péladan (1858-1918), “il Balzac dell’occultismo”, come veniva soprannominato, da cui Ferenzona mutuerà parecchie tematiche di ordine rosicruciano, ma anche la generale visione dell’arte. Attento lettore di Eliphas Levi, collabora con Stanislas de Guaita (fondatore, nel 1887, dell’Ordine Cabalistico della Rosacroce) e Gérard Encausse (“Papus”, che nel 1889 fonda il gruppo indipendente di Studi esoterici e le Logge martiniste di Parigi), distaccandosene tuttavia ben presto (13). Fondatore dell’Ideorealismo, dirige il gruppo della Rose+Croix esthétique pour l’art trascendental e crea il Salon de la Rose+Croix, che ospita opere di simbolisti, facendosi crocevia di svariate tendenze, dalle leggende del Ciclo Arturiano al Rinascimento italiano, fino a giungere a Wagner. Quella che viene promossa nel salone è un’arte carica di valenze ermetiche, volta a operare concretamente sul mondo, avversa tanto alle Accademie quanto agli Impressionisti e mirata ad arrestare la deriva materialistica dell’Occidente – è quel pragmatismo trascendentale che attecchirà nell’idea ferenzoniana di un’arte intesa come Ars Regia. L’azione creatrice si carica di valenze soteriologiche, nella denuncia della caduta dell’Idea nella materia. Chiave di volta della liberazione non è dunque un astratto intellettualismo ma l’idea di un’arte superiore. Come ha scritto Marcello Fagiolo, «il suo Ordine non è a sfondo filosofico ma vuole soprattutto investire la sfera estetica: la pittura, il teatro e la musica, in una mistica trinità» (14). A ribadire la supremazia simbolica dell’estetica sulla teoretica, secondo un’opzione che verrà fatta propria da schiere di artisti e poeti (15).

Non sono certo in molti, in quegli anni, ad accorgersi di lui. Non mancano, tuttavia, affreschi della sua personalità, realizzati da persone che entrarono direttamente in contatto con lui. Valga come esempio quella di Giuseppe del Chiappa, che ai tratti fisici dell’artista ne accosta altri, spirituali: «La piccola figura corporea, dai grandi occhi pensosi quasi che una febbre continua di visioni ne abbacinasse lo sguardo; dal bianco viso emaciato come un fratello di Santo Francesco, sorride al suo mondo pieno d’azzurro e di oro. Ed il labbro, tardo nel parlare, dalla piega stanca come se in quella si nascondesse tutta la sensibilità squisita della sua goccia di veleno [è il titolo di diverse sue incisioni a puntasecca, N. d. C.] credo che sappia solo mormorare delle laudi e delle canzoni, delle preghiere e delle fiabe […]. Tale è Ferenzona, l’artista solitario e sognatore squisito, raffinatamente perverso e misticamente cristiano. Miscuglio curioso di cristiano e di pagano, di sentimentale e di sensuale» (16).

Una testimonianza diversa su Ferenzona giunge da Gino Severini, che conobbe l’artista tramite Arturo Ciacelli: «Si qualificava lui stesso preraffaellita (…), ma in realtà aveva in comune con questi pittori inglesi soltanto il rifiuto ostinato dell’impressionismo francese, ed una base estetica secondo la quale la sensazione non contava nell’ispirazione dell’opera, ma contava il sentimento, il sogno, la immaginazione» (17). Abbiamo già accennato alle discussioni sugli impressionisti avute con Severini, il quale non vede Ferenzona come un successore del gruppo di Dante Gabriel Rossetti ma come un precursore dei surrealisti. Una qualifica piuttosto approssimativa, come vedremo. Ad ogni modo, Severini lo ricorda come una persona molto sanguigna: «Una sera, nell’esigua camera di Boccioni, fu sul punto di strangolare un altro amico, un certo Vallone di Napoli che lo canzonava. Ma il più straordinario fu che Ciacelli (…), non solo provò una grande amicizia per questo tipo d’intellettuale raffinato e ultra sensibile, ma diventò anche lui preraffaellita. Boccioni e io non ci facemmo scrupolo di colmarlo di sarcasmi…» (18).

D’altra parte, uno come Ferenzona non poteva che lasciarsi affascinare dal movimento preraffaellita, nella sua riscoperta dell’arte medioevale – italiana, soprattutto – giudicata superiore a quella dell’osannato Rinascimento. Era un’autentica età dell’oro, il Medioevo dei seguaci di Dante Gabriel Rossetti, cui Ferenzona si abbeverò. Alla società atea e materialista opposero il misticismo medioevale (tra l’altro, Ferenzona conosceva e apprezzava particolarmente l’opera del preraffaellita Jan Toorop – le cui opere probabilmente conobbe tramite la mediazione di Sâr Péladan – il quale ebbe una profonda crisi mistica che lo condusse al cattolicesimo nel 1905). Il Medioevo ritrovato e antimoderno dei preraffaelliti fu una delle ultime rivolte contro quelle rivoluzioni industriali che avrebbero saccheggiato per sempre il patrimonio europeo, sfigurando il Vecchio Mondo.

La vita del giovane artista, il cui stile è ormai consolidato, prosegue tra alti e bassi. Un matrimonio fallito nel 1911, due figli nati morti, un continuo girovagare. Germania e Austria, Italia e Boemia: cerca suggestioni, idee, elementi che possano tradurre sulla tela il suo slancio verso la trascendenza. La sua quêste pare non avere fine. Forse risiede qui il suo daimon?, si chiede. Non cessa di domandarsi quale linguaggio possa tradurre quel che ha dentro, quelle voci che pian piano si affastellano nella sua mente. Nel gennaio del 1923, nel corso di una personale a Livorno presso la Bottega d’Arte gestita dai fratelli Belforte, con i quali collaborerà intensamente a partire dal 1922, diranno di lui: «Ogni tanto l’anima sua si assenta per raggiungere le anime delle creature che attendono, forse, in altre sfere lontane vibranti ad un’armonia superiore; arricchita, così, di esperienze terribili oggi, essa non aderisce più alla apparenza sensibile, tutta intesa com’è a concludere in forme di bellezza verità germinate dal mistero la cui ombra ci sfiora e ci fa tremare» (19).

Dopo il fallimento del suo matrimonio si reca a Praga, capitale dell’esoterismo del tempo ed alveo della sua diffusione – la stessa Praga magica che verrà descritta in modo assai suggestivo nel racconto Il gatto e l’oro di Zodiacale (20). Nella capitale boema, tra il 1910 e il 1912 è attivo il Sursum, simposio di artisti fondato e animato da Jan Zrzavy, simbolista influenzato profondamente dall’Arte medievale, insieme a Josef Vachal, Jan Konupek e Frantisek Koliba, e non privo di elementi di ascendenza teosofica. Non si conosce moltissimo di questo gruppo, con cui, molto probabilmente, Ferenzona entra in contatto: era una «sorta di confraternita per la spiritualizzazione dell’arte che il pubblico comune quasi ignorò e giudicò al pari di una setta di spiritisti. Molti di loro erano innegabilmente coinvolti nell’occultismo e nella teosofia» (21). (…)

Note

  1. Louis Bertrand, Gaspard de la Nuit, Garzanti, Milano 2003, p. 6.
  2. Il giovane editore non ripubblicherà Zodiacale, ma inserirà il profilo di Ferenzona all’interno della sua antologia Poeti simbolisti e liberty in Italia, curata insieme a Glauco Viazzi (All’insegna del pesce d’oro, Milano 1972).
  3. Le informazioni biografiche che seguono sono tratte soprattutto dal fondamentale saggio di Mario Quesada, Indagare il mistero, contenuto in Raoul dal Molin Ferenzona. Oli, acquarelli, pastelli, tempere, disegni, punte d’oro, punte d’argento, collages, puntesecche, acqueforti, acquetinte, bulini, punte di diamante, xilografie, berceaux, gipsografie, litografie e volumi illustrati, catalogo della mostra tenutasi presso l’Emporio Floreale di Roma nel 1978. Altrettanto importanti sono gli studi contenuti nel catalogo della retrospettiva Raoul dal Molin Ferenzona. Secretum Meum, tenutasi nella fiorentina Saletta Gonnelli nel 2002, nonché il profilo biobibliografico di Carlo Fabrizio Carli in Raoul dal Molin Ferenzona (1879-1946). Dodici mesi, dodici segni. Zodiaco simbolista, Nuova Galleria Campo dei Fiori, Roma 1997. A queste opere – purtroppo, ad oggi, introvabili – rimandiamo anche per le opere citate.
  4. Mario Quesada, Indagare il mistero, cit., p. 11.
  5. Cfr. Vincenzo Costantini, La pittura dei fauves, in «La fiera letteraria», 8 luglio 1928.
  6. Il suo nome compare infatti in una lettera di Papini a Prezzolini intestata «Firenze, 8 luglio 1901». Ora in Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini, Carteggio, vol. I, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2003, pp. 75-77.
  7. Cfr. Carlo Fabrizio Carli, Raoul dal Molin Ferenzona, cit.
  8. Alla memoria di Corazzini e Baccarini, morti entrambi di tisi nel 1907, Ferenzona dedicò La ghirlanda di stelle (Tipografia Concordia, Roma 1912). Cfr. Danila Cannamela, La ghirlanda di stelle di Raoul dal Molin Ferenzona: un’antologia neo-alessandrina tra le opere dei corazziniani poeti “fuori della legge”, in Otto/Novecento, n. 2, 2014, pp. 45-64.
  9. Mario Quesada, Indagare il mistero, cit., pp. 16-17.
  10. Ivi, p. 18.
  11. Ibidem.
  12. Ibidem.
  13. Cfr., tra gli altri, Giuseppe Gangi, Misteri esoterici, Edizioni Mediterranee, Roma 2006, pp. 241-243.
  14. Marcello Fagiolo, I grandi iniziati. Il revival Rose+Croix nel periodo simbolista, in Giulio Carlo Argan (a cura di), Il revival, Mazzotta, Napoli 1974, p. 110.
  15. Cfr. Stefano Zecchi, L’artista armato, Mondadori, Milano 1998.
  16. Giuseppe del Chiappa, Raoul di Ferenzona. Sensibilità d’artista, in «Il Telegrafo», aprile 1916.
  17. Cit. in Mario Quesada, Indagare il mistero, cit., p. 14. Cfr. anche Gino Severini, La vita di un pittore, Comunità, Milano 1965, p. 27.
  18. Cit. in Mario Quesada, Indagare il mistero, cit., p. 14.
  19. Cit. in ivi, p. 24.
  20. Sulla vita esoterica nella città boema cfr., tra gli altri, Angelo M. Ripellino, Praga magica, Einaudi, Torino 2005.
  21. Mario Quesada, Indagare il mistero, cit., p. 15.
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