L’indistruttibile realtà del sogno

“…E di tutto il sogno tu sei la sola cosa concreta che mi resta” dice Corto Maltese a un merlo, al termine di una sua avventura onirica. “La vita è un sogno, o i sogni aiutano a vivere meglio?” chiedeva invece il leggendario Marzullo. E la domanda è meno stupida di quanto si pensi: la vita è un sogno? Lo credevano gli uomini di altre civiltà e di altri tempi, non ancora legati in maniera esasperata alla materia, che questo mondo con le sue intricate vicende fosse solo l’immenso sogno di un sognatore eterno. I sogni aiutano a vivere meglio? Probabilmente, tanto che a questi sogni alcuni uomini si sono dedicati così tanto da sacrificare tutta la propria vita per farli propri. È dunque questa vita terrena l’illusione da cui è necessario affrancarsi attraverso una disciplina durissima o forse ciò che è oltre l’immediato dei sensi non è altro che cibo per menti febbrili e portate ad estraniarsi dalla realtà, per sfuggire a una vita non abbastanza appagante (foss’anche la vita di un principe di razza guerriera, come quella di colui che diventò il Buddha)?

L’incipit di Ludi africani di Ernst Jünger è significativo, a riguardo: “Alla fine, soltanto l’immaginazione ci pare l’unica realtà e la vita di tutti i giorni un sogno, nel quale ci muoviamo svogliati, come un attore turbato dal suo ruolo. È allora il momento in cui il crescente disgusto fa appello alla ragione e le pone il compito di cercare una via d’uscita”; e la via d’uscita può trovarsi nella fuga giovanile di uno spirito irrequieto verso l’Africa, passando attraverso l’arruolamento nella Legione straniera per puro gusto di avventura e scoperta, come, per coloro che momentaneamente si rassegnano alla normale vita borghese, alla lettura di un libro come quello.

O forse il sogno lo si può cercare nella solitudine, e un periglioso viaggio lo si può affrontare su un piano diverso da quello materiale: così fece il creatore della teosofia orientale (una sintesi di Islam sciita, platonismo e mazdeismo) Sohrawardi, il quale descrisse accuratamente le sue peregrinazioni che, dal riportare coordinate precise dei luoghi che stava attraversando, cominciarono a confondersi come in una tempesta di sabbia e sconfinare nel regno metafisico che l’orientalista francese Henry Corbin chiamò mundus imaginalis: un mondo concreto, ma fatto di spirito, al quale si sarebbe potuti (o si potrebbe) accedere risvegliando le facoltà “immaginali” dell’essere umano; non l’immaginazione come fantasia, così come concepita dall’uomo moderno, ma una capacità di “immaginare” infinitamente più potente e concreta. Immaginare ciò che esiste realmente su un altro piano dell’Essere.

E così anche l’asceta buddhista Milarepa, che pur di realizzare la sua vera essenza spezzando i vincoli che lo tenevano legato a questo mondo si isolò in una grotta tra le montagne dell’Himalaya, in solitudine e astinenza da qualsiasi forma di piacere o turbamento. Davvero Milarepa fu solo un pazzo? Davvero distrusse la sua stessa vita quando avrebbe potuto darsi alla baldoria, o forse la baldoria è effimera e volgare e la vita vera l’ha invece conquistata?

Un caso moderno (e letterario) è infine quello di Darrell Standing, il protagonista del bellissimo romanzo Il vagabondo delle stelle” di Jack London: un uomo che, rinchiuso in un carcere, finito in un isolamento durissimo e sottoposto per innumerevoli volte alla tortura della camicia di forza che avrebbe condotto chiunque altro alla pazzia, trova una via per sfuggire a quella terribile condizione di prigionia, dolore e sudiciume. Assumendo il totale controllo del suo corpo fino a farlo temporaneamente morire riesce e a rivivere le sue vite passate, e quelle lunghissime ore nella camicia di forza saranno per lui secoli di incredibili avventure riportate alla luce, nell’oscurità, anche morale, di un carcere. Un po’ come la casa dorata di Samarcanda, la prigione in cui fu rinchiuso Rasputin, il compagno di avventure di Corto Maltese: il nome deriva dal fatto che “l’unica maniera di evadere da quella sono i sogni dorati provocati dall’hashish”.

Voglia di una vita (fisica o metafisica che sia) più intensa? malsana alienazione? fantasie per gente poco “pratica”? dovremmo pensare solo al nostro interesse “qui e ora”? Forse, azzardando una citazione, viene in nostro aiuto Mussolini: “E’ la fede che muove le montagne, perché dà l’illusione che le montagne si muovano: l’illusione, questa è forse l’unica realtà della vita”. Già, l’illusione è l’unica realtà della vita. Difficile catturare il senso di quest’espressione profonda ma sfuggente; tuttavia lascia intravedere qualcosa, come un oscuro senso di verità. Ma per entrare in una visione più tradizionalistica, riprendiamo una frase di Baader (citata da Jünger in Avvicinamenti): “Nessuno tra i grandi naturalisti ha negato che sia vero che ogni tratto spirituale abbia il suo simbolo quaggiù e che quindi l’intera natura stia davanti ai nostri occhi come un geroglifico”. Come dire che qualcosa sta dietro il tutto, e che squarciato il velo quel mistero si mostra nudo alla nostra vista; ma ai nostri occhi ancora troppo umani tutto è un simbolo, o un simbolo di un simbolo, ed è un dono raro saperlo mostrare come tale: è la storia degli spiriti più profondi, da Dante a Blake a Pound. Da parte nostra possiamo dire che tutto ciò che è “normale” è volgare, e in qualche modo, come il giovane Jünger, bisognerà trovare una via d’uscita. Che sia nel cavalcare la tigre della libertà e nell’asprezza sotto un torrido sole dei tropici o nel decifrare finalmente il linguaggio segreto dell’Essere.

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Tratto, con il gentile consenso dell’Autore, da Rinascita del 6 dicembre 2011.

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  1. rita
    | Rispondi

    mi hai dato una idea!

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