L’eredità falsata di Martin Heidegger

Che Heidegger, con tutto il suo bagaglio filosofico intatto, sia stato catturato dalle sinistre ormai da qualche decennio e venga tenuto prigioniero nelle bibliografie e nelle monografie democratico-giacobine, è ormai un fatto risaputo. Da quando il marxismo si è dimostrato un ferro vecchio inutilizzabile, abbiamo assistito a un accorrere in folla dalle parti dell’ideologia nazionalpopolare europea, per sottrargli idee, concetti, approcci di pensiero, nomi e cognomi. Sulle orme lasciate da Heidegger, in particolare, hanno pestato in parecchi. E sempre con l’aria di aver fatto una scoperta. Su questa appropriazione indebita, in Italia e all’estero, non pochi ci si sono costruite carriere e cattedre di gran lustro.

Il gioco è semplice: basta far finta che Heidegger non sia mai stato davvero nazionalsocialista… in fondo, dopo appena un anno dette le dimissioni da rettore, sì o no?… rimase iscritto al Partito nazista fino al 1945, d’accordo, non ha mai detto una parola di condanna su Auschwitz… è vero anche questo… ma insomma… basta non dirlo troppo ad alta voce… poi si ripete fino alla nausea che il suo pensiero è stato travisato, ecco, è stato strumentalizzato, ma certo… è così evidente… ma per fortuna che ora ci pensano loro, gli intellettuali di sinistra, a dare la giusta lettura… ed ecco che un filosofo della tradizione, della ferrea identità di popolo, del volontarismo vitalistico, uno schietto pangermanista, uno che nelle lezioni su Nietzsche invocava «un nuovo ordine partendo dalle radici», tracciando una bella linea retta da Eraclito al Führer, ecco che dunque il filosofo della Führung diventa all’istante un santino del “pensiero debole”, dell’esistenzialismo universalista, una specie di curatore d’anime mezzo new age e mezzo dialettico… Si tratta di un gioco di prestigio per virtuosi, soltanto i migliori tra gli intellettuali di sinistra sono in grado di rivoltare Heidegger, ma anche Nietzsche o Schmitt, ma anche Marinetti o Gehlen o Jünger o Eliade… e tirarne fuori ottime figure di giacobini mondialisti…

A smascherare questi procedimenti della manipolazione professionale, nel 1988 giunse improvviso un libro di Victor Farìas intitolato Heidegger e il nazismo, pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri. Fu una bomba inattesa. Suscitò sbandamento e panico nel campo della sinistra intelligente: Heidegger, dopo centinaia di pagine di uno studio basato su fonti primarie, veniva riconsegnato di brutto al suo destino di pensatore della reazione anti-modernista europea, dimostrando testi alla mano che si trattava di un filosofo accesamente antisemita, nazionalista, forgiatore di una profonda identità tra uomo europeo del XX secolo e uomo dorico dell’antichità. Insomma, un nazista. Uno studioso che parlava di metafisica greca pensando all’esserci storico dei tedeschi degli anni Venti-Trenta, e che elaborava la moderna filosofia ontologica individuandone una concreta realizzazione nelle SA.

Da allora, Farìas – che è stato allievo di Heidegger e di Fink – è diventato la bestia nera di tutti quei mandarini rossi che intasano università, riviste scientifiche, case editrici, forum e circuiti culturali, ma che per campare si erano inventati un Heidegger quasi-marxista. Se Marcuse si era ridotto a una caricatura, si poteva sempre ricorrere a un Heidegger ben limato… Su questa faccenda l’intellighenzia progressista si è da tempo spaccata in due. Da una parte i devoti di Heidegger, in fuga dalle macerie del marxismo; dall’altra parte i demolitori di Heidegger, custodi di una più intransigente ortodossia antifascista. Per dare un’idea, potremmmo dire: sinistra post-marxista e sinistra liberale ai ferri corti intorno alle spoglie di Heidegger.

In queste faide umilianti, tra l’altro, notiamo il tracollo finale di un modo di fare sub-cultura e di essere alla guida della macchina intellettuale, che si riassume nella bancarotta ormai irreversibile del progressismo. Falsificazione, fanatismo, faziosità, delazione, intimidazione… queste le attitudini scientifiche con cui i “filosofi” post-moderni, come nani confusi di fronte a qualcuno molto più grande di loro, arraffano oppure rigettano le posizioni di quello che è stato definito il maggior intellettuale del Novecento. Qualcuno glielo dica: si stanno occupando di un personaggio che non li riguarda in nessun caso.

Oggi Farìas ne fa un’altra delle sue e scarica nuove bordate di militanza democratica, pubblicando un esplicito L’eredità di Heidegger nel neonazismo, nel neofascismo e nel fondamentalismo islamico (Edizioni Medusa). Si prevedono nuovi travasi di bile tra le truppe intellettuali della sinistra heideggeriana, in fase di crescente spaesamento e comandate con qualche difficoltà, qui da noi, da maestri del pensiero del rango di un Gianni Vattimo.

Il discorso di Farìas, ancora una volta, non potrebbe essere più chiaro: Heidegger era nazista dalla testa ai piedi. Lo era perchè amico delle SA, perchè iscritto alla NSDAP fino all’ultimo giorno, perché pubblico elogiatore di Hitler, perché si identificò nel Terzo Reich e nelle sue guerre, perchè ha relativizzato pesantemente la Shoah, ma anche perchè tutto il suo pensiero, i suoi scritti, le sue lezioni universitarie, i suoi stessi concetti e argomenti sono riconoscibili per nazisti, sia prima che – addirittura – dopo il 1945. Poi Farìas va oltre, vuole strafare e, alla maniera dei persecutori “democratici”, quelli che vogliono imporre con le buone o con le cattive il Pensiero Unico, sui due piedi crea il mostro: Heidegger padre spirituale anche del neonazismo e del fondamentalismo islamico. Heidegger padre di tutti gli incubi dell’era globale. Prende Ernst Nolte – non uno qualsiasi, ma probabilmente il massimo storico vivente… ma col difetto di non appartenere alle cosche di sinistra – e lo diffama come agente neonazista. Direte: è uno scherzo? No, non è uno scherzo. Farìas fa sul serio: «Nolte di fatto apre le porte a un neonazismo che conferma tutti i modelli sociali autoritari… Nolte afferma che Heidegger intendeva il nazismo come “socialismo tedesco”… nel suo sforzo di riabilitare Heidegger utile a riabilitare un neonazismo… nella Repubblica Federale tedesca del 1987, Nolte interpreta le lezioni su Hölderlin (1934-1935) assumendo come evidente e accettabile l’ultranazionalismo dell’esegesi heideggeriana…».

Farìas, che è una punta di diamante della lobby mondialista liberal-libertaria di matrice cattolica, odia Nolte, che è un nazionalconservatore, di un odio da Inquisizione. Non elabora la possibilità che vi sia qualcuno che non la pensa come lui. E ne ha per tutti. Vede un mondo di neonazisti. Dalla “Nuova Destra” tedesca – un tranquillo ambiente di intellettuali alla Stefan George, dove si fa cultura di nicchia – al figlio di Heidegger, Hermann, accusato di voler insinuare un pernicioso “neo-heideggerismo”… fino a certi contatti culturali tra frange della destra e della sinistra tedesche: e, ad esempio, il loro anti-americanismo, attinto da Heidegger, diventa subito un sinistro “nazionalbolscevismo”. Attacca a testa bassa la “Nouvelle Droite” francese e infama de Benoist o Guillaume Faye tacciandoli coi soliti stereotipi di pericolosità neopagana e fascistoide: e sin qui nulla di nuovo. Ma subito li mette in collegamento con certe derive da lui astutamente individuate nel pensiero “corretto”: dice che Lacan o Baudrillart erano vicini a Céline e alla Rivoluzione Conservatrice, rivela che Foucault ammirava la «spiritualità politica» dei khomeinisti iraniani, giudica Steuckers un nocivo teorico “eurocentrista” e stende un verbale delle riviste cui collabora (comprendendoci anche quelle di Marco Tarchi…), poi descrive il nuovo ecologismo (e ci mette dentro anche quello di Eduardo Zarelli…) come un nido di eredi di Klages e del Blut und Boden… e ribatte ancora che l’heideggerismo del GRECE è stato un vaso d’infusione per il peggiore degli abomini, il razzismo: «de Benoist, come Heidegger, basa le gerarchie che fondano la discriminazione non come i razzisti “volgari” e zoologisti, bensì nello “spirito”…». Da questo poderoso concentrato di aria fritta, Farìas trae le sue conclusioni, rivelando al mondo l’esistenza di una perversa congiura metapolitica, al di là della destra e della sinistra: «Così, non sorprende che in Francia il matrimonio – impensabile fino a poco tempo fa – tra il sotterraneo fascismo heideggeriano e il neomarxismo militante sia oggi una realtà».

Subito dopo, Farìas si volge da un’altra parte del suo vasto spettro di nemici e ne individua uno tra i più temibili: l’islamismo heideggeriano. E ci informa che tra un tale Sayyd Qutb morto nel ‘66 e Heidegger esisteva una grande somiglianza di concezioni anti-americane… e che l’iraniano Ahmadinejad non sarebbe altro che «un militante “heideggeriano”». Infine si dice convinto che esista una nazi-connection mondiale che unifica tutti questi ambienti al «neofascismo militarista di Chàvez», dipinto come un Caudillo antisemita, a lungo ammaestrato dal defunto politologo péronista-revisionista Norberto Ceresole, a sua volta heideggeriano di ferro e perno ideologico del complotto neonazista… Insomma, è come leggere I Protocolli dei Savi di Sion… ma all’incontrario… e con l’uguale spessore scientifico pari a zero.

Farìas è uno dei più zelanti poliziotti a difesa del Pensiero Unico. Recita alla perfezione la parte del sacerdote che veglia sull’ortodossia totalitaria e che denuncia l’eretico, indicando la forca sulla quale farlo salire. Farìas lavora come pochi per le ragioni del mondialismo censendo pensieri, parole ed opere di quanti si ostinino ancora a usare la loro testa. Segnala ambienti, rivela retroscena, denuncia frasi che a forza sottolinea come pericolose, addita libri, uomini, associazioni come letali focolai di camuffamento neonazista sub specie heideggeriana. Uno afflitto da una simile sindrome, lo direste uno studioso… o piuttosto un delatore?

Noi imparziali e inattuali vogliamo dire la nostra: Farìas fa bene quando contribuisce a rettificare le cose, tornando a collocare Heidegger in modo documentato nella tradizione di pensiero che gli compete, quella anti-progressista e radicalmente identitaria. Del resto, Farìas è soltanto più rumoroso di altri: infatti, anche prima di lui, svariati studiosi, da Hugo Ott a Philippe Lacoue-Labarthe a Bernd Martin, per citarne solo alcuni, già tra l’87 e l’88, rimisero Heidegger al suo posto, dimostrandone i nessi biografici e filosofici col Nazionalsocialismo, senza per questo mandarne al capestro la memoria. E nessuno di loro intese recitare la parte fanatica del militante antifascista a tutti costi e fuori tempo massimo. Farìas fa infatti cattiva letteratura quando, da propagandista schierato e da terrorista intellettuale, fa sibilare la frusta dell’inquisitore “democratico”, evocando ad ogni passo la reazione in agguato, il neofascismo che dilaga, il Quarto Reich alle porte… e altri simili spropositi.

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Tratto da Linea del 30 gennaio 2009.

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  1. Maurizio
    | Rispondi

    Sulla questione "Heidegger e il nazismo" mi permetto di segnalare il Libro bianco pubblicato da eudia.org e accesibile online all'indirizzo: http://www.eudia.org/index.php/libro-bianco
    Un cordiale saluto

    mborghi@eudia.org

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