Le mille strade del Mare del Nord

(Dal nostro inviato) BERGEN, febbraio.

Bergen è la capitale dei mari norvegesi. Nascosta in fondo al più lungo fiordo del mondo, questa pittoresca città che sale e scende sugli scogli, irrequieta come i marinai che l’hanno fondata, è diventata, dall’inizio della guerra, il centro di raccolta di tutte le informazioni marittime, informazioni che si traducono in misteriosi segni vaganti su carte geografiche in grandissima scala. Tutte le principali compagnie di navigazione hanno la loro sede centrale a Bergen: anche Oslo è sul mare, è vero, ma ci vuole molta fantasia per accorgersene. E poi, è perfettamente inutile che Oslo si dia da fare: per i pescatori Bergen è il centro del mondo, il solo centro possibile per il loro mondo.

Prima della guerra da questa città partivano cinque « strade del mare »: la più battuta, quella di Newcastle: l’orgoglio dei norvegesi, la linea del nord America; quella dell’America Latina; quella delle Svalbard e, infine, quella diretta alla Germania e al Baltico. Ora, di tutti questi itinerari, uno solo rimane intatto, quello che conduce verso le isole Svalbard e l’estremo nord. Ma, per una ironia della… stagione, le navi che vi sono adibite non prestano servizio, perchè Longyearbyen e la Baia del Re sono bloccate dai ghiacci.

Carte geografiche arabescate

L'affondamento del vapore norvegese Kommandøren
L’affondamento del vapore norvegese Kommandøren

Ora una nave parte per Newcastle. Parte magari vuota per non urtare gli interessi bellici della Germania e nella speranza che il controblocco tedesco chiuda occhio su un piroscafo che si reca in Inghilterra solamente a prendere del combustibile assolutamente necessario alla Norvegia. Ma, logicamente, non segue la rotta di pace. Prima di tutto ci sono gli sbarramenti di mine inglesi e tedeschi, poi ci sono i sottomarini e gli aeroplani che sembra abbiano cento occhi. Allora il capitano, dopo aver navigato in grande meditazione tutto il lunghissimo fiordo, si avventura sul Mare del Nord. Sul leggìo del ponte di comando sta una grande carta del mare, con i profili delle coste proprio sui limiti e le precise linee dei paralleli e dei meridiani. Ma, a matita, sull’azzurro del mare sono segnati puntini, linee spezzate, date. I puntini vogliono dire che in quel posto, la data nave, in giorno tale, ha incontrato una mina; le crocette significano che in quel punto è stato colato a picco un piroscafo; i cerchietti indicano che è stato scorto un sommergibile; le linee spezzate segnano le presumibili rotte percorse dai sottomarini e, in ogni caso, le zone dove navigano preferibilmente. Naturalmente, sotto tutti i puntini, le crocette (sono circa quattrocento le navi colate a picco nel Mare del Nord), i cerchietti, le date, le linee spezzate e le rotte, l’azzurro cartografico che indica il mare è assolutamente invisibile. Se ciò non bastasse, ogni tanto la radio Bergen chiama: «Hallo, Hallo… MS «X…» segnala mina vagante latitudine… longitudine… Date conferma segnalazione ricevuta onda media 700 metri. Over!». Abbiamo detto «radio Bergen», ma è la radio dei pescatori, o, meglio, degli armatori. Allora, il povero capitano che aveva già minuziosamente studiato il proprio itinerario si accorge che la mina incontrata dal MS « X… » si trova proprio sulla sua strada ed è costretto a riprendere in mano il compasso e a tracciare una nuova «strada del mare». E questa è la solita storia di tutti i vascelli che navigano quassù.

L’avventura della navigazione in questo mare è resa ancora più grave dalla esistenza di quella che in tempo di pace è la grande benedizione dei mari norvegesi, cioè dalla Corrente del Golfo, la quale porta lentamente verso il nord e le coste della Norvegia tutte le mine che si staccano dagli ancoraggi dei campi delimitati. Quando una «mina incontra le onde relativamente calde del Gulf Stream diventa doppiamente pericolosa. Trovandosi in acque più calde di quanto non siano normalmente quelle del Mare del Nord, il terribile ordigno in attesa di una nave si immerge ad una profondità maggiore, e se diventa inoffensivo per i trawlers di piccolo tonnellaggio che pescano poca acqua risulta pericolosissimo per le grosse navi che non riescono più ad avvistarlo con i comuni mezzi a disposizione. Per questo, accanto ad ogni puntino che indica il ritrovamento di una mina flottante, è segnala una data e, qualche volta, anche un’ora. Il comandante, tenuto conto delle correnti, delle maree e — compito veramente improbo — del soffiare dei venti, deve calcolare dove possono trovarsi al momento del suo passaggio le mine segnalate. Non si tratta più di essere un vecchio ed esperto marinaio, ma un professore di algebra, di geometria e di meteorologia. E solo un uomo del mare può capire che peggiore maledizione non può certamente cadere sulla testa di un comandante.

Ore febbrili

Così, al posto delle «cinque strade del mare» sono sorte le «mille». Mille, in questo caso, è un numero qualunque che indica che le rotte sono assai numerose, una per ogni nave che salpa.

Dare qui dei dati sulle navi che partono e che arrivano è assai pericoloso. I norvegesi adorano i loro bei piroscafi e sono propensi a vedere in ogni segnalazione in merito qualche cosa che, se non è proprio spionaggio, lo rasenti assai. Non hanno tutti i torti e, in fondo, ai nostri lettori non interesserà eccessivamente il numero esatto delle navi in servizio, tanto più che, nelle precedenti corrispondenze, abbiamo segnalato di quanto siano state ridotte le partenze.

A Bergen abbiamo trascorse alcune ore nell’«ufficio informazioni» di una grande Compagnia. Otto impiegati stavano curvi sui loro tavolini di lavoro, intenti a riportare sulle carte marittime le segnalazioni che due radiotelegrafisti registravano su striscie di carta azzurra. Su una grande lavagna, un ragazzo tracciava delle grandi lettere: U D, U G B, M, WSGB, WSD… che significano rispettivamente sottomarino germanico, sottomarino inglese, mina, incrociatore britannico, nave da guerra tedesca, e accanto scriveva longitudine e latitudine seguite dal nome della nave dalla quale arrivava la segnalazione. Era un ragazzo molto coscienzioso, che non dimenticava mai di scrivere «nord» accanto a latitudine e «est» o «ovest», con tanto di Greenwich, dopo la longitudine. Due impiegati prendevano i dati, calcolavano il punto sulla carta, confrontavano il risultato ottenuto dalle loro misure e passavano la tavoletta a un terzo impiegato che, consultando un libretto aggiornato, vi aggiungeva i nominativi delle navi della Compagnia che dovevano trovarsi nei paraggi. La tavoletta passava quindi ad un altro impiegato, certamente di maggiore responsabilità, il quale, dopo un accurato studio sottolineava i nomi di alcuni piroscafi. Un altro giovanotto allora tracciava del messaggi, li passava ad un ragazzetto molto svelto il quale si precipitava immediatamente nella cabina di vetro del radiotelegrafista trasmettitore. La dinamo cominciava a a girare. «Hallo, hallo… Bergen chiama Sterne, Sterne, Sterne… Sterne risponda… Hallo, hallo… sentite?… Capitano U… segnala mina sulla vostra rotta, longitudine… latitudine… Sentito? Ripetete posizione!». I radiotelegrafisti di bordo devono essere sempre tutti attenti, perchè una voce rispondeva subito dal mare e ripeteva il nominativo: «…Sta bene. Modifichiamo rotta. Over!». Cosa stesse bene, questo è un vero mistero. Ma i marinai norvegesi hanno adottato il modo di dire britannico «all right» e sarebbe impossibile spiegare loro quello che vuole effettivamente dire.

«Colata a picco»

Qualche nave non risponde affatto alle chiamate che vengono ripetute ogni tre minuti per delle ore intere. Si tratta dei piroscafi di grande tonnellaggio i quali hanno delle potenti stazioni riceventi e non sarebbe possibile sfuggisse. loro una chiamata. Certi di essere intesi, gli armatori rinunciano alla risposta perchè è assai facile, col radiogoniometro, localizzare una nave che «parla» e quindi andarla a «pescare».

A queste segnalazioni di pericolo vengono intercalati ogni tanto i bollettini meteorologici, i notiziari politici, le ultime novità del mare. In questi giorni ce ne sono state di importantissime, le unità norvegesi scomparse sotto le onde del Mare del Nord piuttosto numerose. E noi eravamo assorti davanti a una aggrovigliatissima carta di navigazione, quando vennero spazzati via dalla lavagna tutti i numeri e il ragazzo scrisse in grandi lettere: «5.17 G. T. – e sotto – MS «Tempo» sunkt»: ore 5,17 tempo di Greenwich, la motonave «Tempo» è colata a picco. Tutti zittirono. Poco dopo il radiotelegrafista inviava d’urgenza un’altra striscia di carta azzurra e il ragazzo riprendeva in mano il gesso: «Ventidue morti, sei scampati». Allora gli impiegati si misero tutti al lavoro e ventidue telegrammi partirono per qualche sperduto paese della Norvegia: «Odd Olsen perito naufragio. Abbiamo il profondo dolore di darvene personale annuncio. Tutti premi e assicurazione saranno liquidati in settimana». Poi la in stancabile radio chiamava tutti i piroscafi della Compagnia in navigazione: «Hallo, hallo! Il «Tempo» è stato affondato. Bandiera a mezz’asta per 24 ore!».

Nessun commento, nessuno sprone. Perchè non ce ne sarebbe bisogno coi marinai norvegesi. «Noi — dicono quando salpano — noi abbiamo firmato un patto con la morte». Sanno i rischi che corrono, sono uomini. Gli uomini che corrono le «mille strade del mare» non hanno bisogno di essere confortati.

* * *

Tratto da La Stampa del 22 febbraio 1940.

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Felice Bellotti è stato un giornalista italiano, autore di numerosi reportage di viaggio e di guerra e di una quindicina di libri. Alcune informazioni sulla sua vita si possono leggere sul blog Huginn e Muninn.
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