La testa di Darwin

Il padre dell’evoluzionismo era convinto che i suoi studi gli avessero modificato il cranio

Hans-Joachim Zillmer, L'errore di Darwin In un passo della sua curiosa Autobiografia Charles Darwin ci offre uno spaccato sulle incredibili convinzioni della sua epoca. Racconta infatti di aver inviato una propria fotografia a una società di psicologi seguaci della frenologia, che gli avrebbero consigliato di intraprendere la vita ecclesiastica: “La forma del mio cranio era stata argomento di pubblico dibattito, e uno degli oratori aveva dichiarato che avevo il bernoccolo sacerdotale tanto sviluppato da bastare per dieci preti”. Darwin non dice nulla riguardo al modo con cui accolse l’indicazione, ma sembra, da quanto aggiunge subito dopo, che cercò, almeno inizialmente, di tenerne conto. Infatti solo poche pagine più avanti aggiunge: “E’ probabile che il mio cervello si sia sviluppato proprio nel corso delle ricerche compiute durante il viaggio: lo dimostra una osservazione di mio padre… la prima volta che mi vide dopo il viaggio, sivolse alle mie sorelle ed esclamò: “Guardate, gli è cambiata la forma della testa””.

Darwin dimostra così di credere che l’aver passato cinque anni a riflettere sull’evoluzione avrebbe in qualche modo determinato una evoluzione della sua intelligenza, tradottasi, molto concretamente, in una mutazione della forma cranica. La cosa potrebbe stupire solo chi conosca il suo pensiero attraverso i nostri ridicoli manuali della scuola dell’obbligo. Non invece chi, leggendo le sue opere originali, le ha trovate disseminate sia di affermazioni sconcertanti dal punto di vista scientifico, che di dichiarazioni apertamente classiste e razziste: ad esempio sull’inferiorità degli irlandesi, sulla necessità di limitare, come con le bestie, la riproduzione degli umani “inferiori”, o sulla superiorità mentale e fisica dell’uomo sulla donna.

Giuseppe Sermonti, Dimenticare Darwin Ma non ci si deve in realtà meravigliare: la frenologia, a cui Darwin fa riferimento nei suoi apprezzamenti sul proprio cranio, riprende le concezioni della fisiognomica, e le ripropone nelle teorizzazioni di Joseph Gall, all’inizio dell’Ottocento. Secondo Gall esiste “una corrispondenza tra l’intelligenza dell’uomo e la sua conformazione cranica”: si arriva a sostenere che la “conformazione cranica dei neri, rivelandosi eccessivamente stretta, è sinonimo di una intelligenza inferiore, paragonabile a quella delle scimmie” (Cristian Fuschetto, Fabbricare l’uomo, Armando). Di qui, da questo sfrenato e antiscientifico materialismo, sgorga, a metà Ottocento, la craniometria di Paul Broca, che facendo coincidere la superiorità intellettuale col volume cerebrale, identifica l’uomo bianco maschio come superiore, i vecchi, le donne e le altre razze come inferiori!

L’antropometria diverrà poi uno sport dei divulgatori darwinisti, da Ernst Haeckel a Cesare Lombroso, sino ai nazisti, che misuravano teste ed arti degli indigeni durante le spedizioni in Tibet, alla ricerca delle origini ariane! Il mio cervello è più grande del tuo

Giuseppe Sermonti, Il crepuscolo dello scientismo A ben vedere l’ottica materialista non offre alternative: se l’anima non esiste, se la libertà, l’intelligenza, la parola, evidentemente immateriali, non sono altro che materia casualmente evolutasi, come afferma Darwin, allora ciò che ci distingue dalle scimmie, e tra noi, non è altro che il volume cranico. Non è altro che un cervello voluminosamente più o meno ampio. Così purtroppo viene tutt’oggi insegnato ai nostri ragazzi, dal momento che i manuali di scienze ad uso scolastico mostrano, nella ridicola serie di disegnetti dalla scimmia all’uomo, solo teste sempre più grosse (e meno pelose), salvo poi affermare che “la documentazione fossile è alquanto lacunosa”, e che “non si sa con sicurezza quali spinte evolutive hanno favorito l’ingrandimento dell’encefalo” (Audesirk-Byers, Biologia, vol. I, Einaudi, 2003).

La stazione eretta e la locomozione bipede, la pelle glabra e il cervello più grande, propri dell’uomo, e non della scimmia, donde derivano, si chiede lo stesso testo? “La risposta è che nessuno lo sa”: però, forse, ha ragione Wheeler, quando “suggerisce che i nostri antenati avrebbero sviluppato la stazione eretta perché questa consente di ridurre al minimo la superficie di esposizione al sole cocente della savana”. Wheeler, capace di tanta fantascienza, ipotizza poi che “fu solo in seguito allo sviluppo della stazione eretta e della pelle glabra che la capacità di disperdere calore raggiunse livelli tali da consentire l’aumento della massa cerebrale”.

Molto più logico, e scientifico, il premio Nobel per la medicina (neurofisiologia) Sir John Eccles: “Mi vedo obbligato ad attribuire l’unicità della psiche, o anima, a una creazione spirituale soprannaturale. In termini teologici: ogni anima è una nuova creazione divina”.

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Tratto da Il Foglio del 10 novembre 2005.

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